Per cambiare la politica i Comuni rappresentano un “fronte strategico” che dalla dimensione locale può espandersi anche ai livelli superiori adottando una strategia di scala progressiva. Questo è quanto accaduto essenzialmente con le ultime elezioni amministrative in Francia, ma non è accaduto l’anno scorso in Spagna, dove era nato il cosiddetto “municipalismo del cambiamento” nel 2015. L’occasione per verificare questa possibilità ci sarà intanto il mese prossimo con le elezioni americane, che oltre al Presidente degli USA dovranno rinnovare anche le amministrazioni locali in cui si presenteranno anche liste formate da cittadini e movimenti. Per la primavera dell’anno prossimo poi sono programmate anche le elezioni locali in Inghilterra dove è previsto un significativo incremento di municipi ispirati dall’esperienza del Comune di Frome. Ne abbiamo parlato qui: Nella “tana del drago”, nuovi modi (vincenti) di fare politica. Proprio da questa esperienza infatti è nata l’idea di costituire un team di esperti che stanno aiutano i cittadini ad auto organizzarsi dal basso per vincere le elezioni con liste che escludono i maggiori partiti tradizionali. E’ interessante quindi capire perché queste esperienze stanno funzionando da un lato e stanno fallendo dall’altro, considerato che in tutti i casi dove ha vinto il municipalismo del cambiamento, si è realizzata una confluenza tra tante esperienze associative diverse, ma anche con formazioni politiche progressiste già esistenti. Partiamo da quelle non riuscite (almeno ad oggi).
Il “municipalismo del cambiamento” spagnolo, esploso con le elezioni amministrative nel 2015, dopo aver attirato l’attenzione di tutto il mondo perché appariva come l’unica speranza di cambiamento della politica a livello globale, in realtà è stato “impantanato” dal populismo. In particolare a Barcellona, dove comunque poi la Sindaca Ada Colau è stata rieletta lo scorso anno, ma con tantissimi “mal di pancia” tra i militanti del suo movimento originario (Le alternative politiche per risolvere la crisi globale ci sono). Si doveva trattare di un modo alternativo di prendere il governo delle città al fine di portare trasparenza, competenza, democrazia e le differenze di genere nelle istituzioni, mettendo i cittadini e i beni comuni al centro dell’agenda politica. Ma poi poche cose hanno funzionato. Il dato determinante della non riuscita del cambiamento però è stato un altro: Barcellona è la capitale della Catalogna e nella battaglia indipendentista che c’è stata due anni fa tra il locale partito nazionalista e il governo nazionale, arrivato al limite della guerra civile con espulsioni e arresti, il movimento di Ada Colau non ha preso alcuna posizione ed è letteralmente rimasto incastrato tra i due contendenti. Il localismo quindi non ha saputo/potuto fare quel salto di qualità che tutti si aspettavano.
A questo si devono aggiungere le altre aggravanti dei casi del genere. L’impatto con il governo delle città è stato tremendo. Comprendere come funzionano i meccanismi amministrativi (ammesso che funzionino), affrontare come prima emergenza i problemi di bilancio, gestire in qualche modo i servizi pubblici (quasi tutti privatizzati) e far vivere comunque la città, ascoltandola e organizzandola in nome e per conto delle stesse persone che la abitano, è stata una fatica enorme. Qualche differenza con il passato si era comunque cominciata a vedere quando le nuove amministrazioni spagnole hanno deciso di riassumere la gestione delle risorse pubbliche e dei beni comuni. Acqua, energia, spazi pubblici, rifiuti, case popolari e persino le spiagge hanno visto la partecipazione dei cittadini in tutte le fasi decisionali. Tanti gli strumenti e le infrastrutture di comunicazione messe a disposizione di chi voleva partecipare. Sono state adottate anche iniziative per la redistribuzione della ricchezza, per l’assistenza e la cura della gente più povera e/o in difficoltà, per mettere in rete la propria esperienza e confrontarle con altre città. Si era aperta così la strada per la realizzazione del programma elettorale (definita “piattaforma”). Ma lì sono anche nati i primi problemi. Le convergenze non hanno retto l’impatto e alla fine in tante città ognuno è andato per conto suo. Dove invece le convergenze hanno retto, tipo la stessa Barcellona e Madrid, tutto sommato il risultato elettorale di quattro anni prima è stato confermato, ma in Spagna i Sindaci vengono eletti dalla maggioranza dei Consiglieri comunali e non direttamente dai cittadini. Quello della Colau è stato un caso particolare: gran parte delle città conquistate nel 2015 dal municipalismo del cambiamento (Madrid inclusa) sono tornate in mano a quelli di prima con l’appoggio dei populisti e dell’estrema desta.
Invece l’alleanza tra i cittadini, gli ecologisti e la sinistra che ha vinto le elezioni municipali in Francia quest’estate, era una convergenza che è stata lanciata la prima volta a Grenoble nel 2013 da cittadini impegnati nei movimenti sociali. È stata poi sostenuta da un mix di partiti politici: EELV (il Partito Verde francese) e il Parti de Gauche (Partito della Sinistra). Il loro manifesto “120 impegni” è stato elaborato attraverso la partecipazione dei cittadini per perseguire 3 obiettivi principali: rinnovare la democrazia locale, costruire uno scudo sociale e ambientale e fare di Grenoble una città dove è bello vivere per tutti. L’organizzazione ha vinto le elezioni municipali del maggio 2014, formando un governo di maggioranza sotto la guida del sindaco Eric Piolle. Grenoble ha poi fatto da riferimento per tutti gli altri Comuni e una delle battaglie decisive per il cambiamento è stata la ri-pubblicizzazione dell’acqua. Ne abbiamo parlato in questo articolo: Sindaci senza paura delle multinazionali: il ritorno all’acqua pubblica. Non a caso in tutti in Comuni dove ha vinto questa convergenza, la destra populista della famiglia Le Pen, per anni fonte di ispirazione di tutti i leader sovranisti del mondo, è stata sonoramente sconfitta.
Lezioni che possono insegnare molto a chi vuole impegnarsi per cambiare la politica.
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