Ancora non è stato messo in produzione il vaccino per il coronavirus e si è già riaperto lo scontro tra i sostenitori e i contrari al suo impiego. E’ una polemica che dura ormai da 150 anni, da quando le vaccinazioni, soprattutto dei bambini piccoli e in età scolare, sono state introdotte nei sistemi sanitari dei paesi occidentali. Lo scontro si riaccende ogni volta non tanto sull’utilità o meno dei vaccini, che nessuno mette in dubbio, tranne qualche caso isolato, perché è ormai dato per acquisito che le auto-immunizzazioni determinate dalle vaccinazioni hanno portato vicino a zero il rischio per gli esseri umani di contrarre gravi malattie infettive, anche in età adulta.
Non è nostra intenzione prendere una posizione tra pro-vax e no-vax , anche perché non siamo medici e non abbiamo le competenze, ma proviamo umilmente ad indicare una “terza via”, visto che ci occupiamo quotidianamente di questi temi e che la contrapposizione attuale potrebbe essere superata definitivamente da un nuovo processo produttivo dei vaccini ispirato dalla Natura. La contrapposizione infatti, verte ogni volta sul come si debba innescare l’autodifesa immunitaria, piuttosto che sulla necessità di determinarla in qualche modo: più che altro si tratta di una questione etica, con molti, troppi, sconfinamenti ideologici e politici, là dove invece c’è bisogno di sostanza. Vista la gravità dell’emergenza sanitaria in corso sarebbe il caso di evitare di strumentalizzare la situazione, come invece sta avvenendo, purtroppo, quasi in ogni programma televisivo dedicato al tema.
I vaccini in pratica sono degli antigeni, cioè organismi patogeni naturali, quali virus e batteri, che vengono “indeboliti” attraverso specifici processi industriali, per poi essere introdotti nel corpo umano: in tal modo la risposta auto-immunitaria si determina attraverso delle cellule che conservano la “memoria” del patogeno e consentono una reazione più rapida ed efficace nel caso di nuovo attacco. Affinché la “memoria” si produca però gli antigeni devono restare “vivi” al momento del trattamento e questo di solito avviene attraverso costosi processi di refrigerazione. La vaccinazione estesa su tutta la popolazione con questo metodo determina la cosiddetta “immunità di gregge” (o di gruppo) che è stata proposta dal primo ministro inglese (improvvidamente come poi si è visto), all’inizio della pandemia. In buona sostanza l’immunità di gregge, una volta effettuata una vaccinazione di massa, fornisce una tutela anche agli individui che non hanno sviluppato direttamente l’immunità, prevenendo così il rischio di contagi diffusi nella popolazione. Coloro che sono contrari a questo metodo invece sostengono che l’immunizzazione debba avvenire sostanzialmente per via diretta, cioè determinata da un contagio vero e proprio, anche perché i vaccini comportano l’introduzione nel corpo di sostanze estranee, spesso di origine chimica, ritenute a loro volta pericolose per la salute umana.
Il problema principale sta nel fatto che molti vaccini perdono efficacia a causa di interruzioni nella refrigerazione durante la spedizione e il trattamento. Per questo si debbono aggiungere degli additivi che ne prolunghino la conservazione. E’ proprio da questo punto che qualcuno ha pensato di partire per fare un ragionamento molto semplice e risolvere il problema: la Natura non può far tornare in vita i morti, ma può rianimare l’apparentemente morto. E in Natura ci sono i cosiddetti “tardigradi”, circa un migliaio di specie di organismi animali invertebrati che hanno la capacità di sopravvivere anche in condizioni estreme; quali, ad esempio, persistenti temperature molto elevate. In pratica questi organismi riescono a tornare in vita grazie all’apporto di acqua dopo essere rimasti secchi e inanimati fino a 120 anni. Il processo si chiama “anidrobiosi” e consiste nella sospensione momentanea delle attività vitali che danno la possibilità ad un organismo animale e/o vegetale di sopportare una disidratazione di lunga durata. Questo processo protegge il cuore bio-chimico delle cellule dei tardigradi (DNA, RNA e proteine) per mezzo di una semplice molecola di zucchero, il trealosio, che sostituisce l’acqua a protezione della membrana cellulare fino a quando torna l’acqua stessa e l’organismo torna a rivivere.
La società americana Biomatrica di San Diego (California), ha adattato questo processo sviluppando un prodotto che protegge i vaccini vivi in modo che non debbano più essere refrigerati. A sua volta poi l’azienda inglese Nova Laboratories di Leicester, ha sviluppato una tecnologia che protegge i vaccini in un involucro di vetro fatto di zuccheri; più o meno come avviene nella produzione di caramelle ripiene alla frutta, al cioccolato o con altre prelibatezze molto gradite ai bambini. Il rivestimento, prodotto con trealosio, mantiene il vaccino efficace per 6 mesi a una temperatura ambiente fino a 45 gradi centigradi. Un tempo che è utile per vaccinare intere popolazioni vulnerabili persino nelle aree tropicali del pianeta, dove le malattie infettive sono ancora un flagello per le comunità locali più povere.
All’inizio di quest’anno, proprio mentre scoppiava la pandemia, la Nova Laboratories ha acquisito le attività di Cambridge Biostability, uno sviluppatore britannico di vaccini liquidi termostabili, inclusa la proprietà intellettuale di due tecnologie chiave (denominate VitRIS). Queste tecnologie, oltre ad eliminare la necessità di refrigerazione di prodotti farmaceutici e conservare prodotti instabili per lunghi periodi, permettono anche l’uso delle siringhe quando si rende necessario l’iniezione in forma liquida nel paziente. I test hanno dimostrato che tali tecnologie possono essere applicate con successo anche ad altri preparati farmaceutici: insulina, anticorpi monoclonali, ormoni della crescita ricombinanti, proteine, enzimi e acidi nucleici. Ma le possibilità non finiscono quì.
Un altro uso di questa tecnologia ispirata dalla Natura potrebbe essere quella di congelare gli alimenti deperibili soggetti a lunghi trasporti. Potrebbe anche essere utile per prolungare la durata di conservazione delle piastrine utilizzate per fermare il sanguinamento e accelerare la guarigione delle ferite. Le piastrine sono difficili da conservare perché la refrigerazione le rende inutilizzabili, quindi devono essere mantenute a temperatura ambiente, ma ciò riduce drasticamente la durata della loro efficacia a circa 3-5 giorni. Anche in tal caso infatti, le cellule potrebbero essere contaminate da funghi, batteri o virus e il rivestimento fatto come le caramelle potrebbe evitare questo rischio perché il tardigrade ha la capacità di produrre “molecole di vetro” in una vasta gamma di temperature. I ricercatori hanno scoperto inoltre che le molecole vetrose di questi materiali sono tutte orientate nella stessa direzione, il che è particolarmente raro per le strutture in vetro. Data questa struttura i ricercatori stanno studiando l’uso di un processo industriale per produrre un nuovo tipo di vetro nell’ottimizzazione di celle solari e luci a LED.
Infine una curiosità. Forse non a caso i “vaccini caramelle” sono stati messi a punto nella città inglese di Leicester: la prima dove la popolazione, a partire dal 1871, rifiutò in massa l’obbligo della vaccinazione contro un’epidemia di vaiolo: un rifiuto che culminò in una grande manifestazione nel 1885. Il “Metodo Leicester” consisteva nel mettere in quarantena per i pazienti affetti da vaiolo e alla disinfezione completa delle loro abitazioni. L’esperimento è durato più di 60 anni ed oltre ad aver attestato il successo del metodo, ha anche dimostrato che un pensiero scientifico considerato già comprovato in realtà poteva essere in errore. Il cambiamento di impostazione per affrontare il problema fu determinato da un rovesciamento del governo della città. Fu l’inizio di un dibattito politico e di uno scontro, no-vax contro pro-vax, mai terminato.