Improvvisamente tutte le aziende di questo mondo, anche le più inquinanti e predatorie delle risorse naturali e umane, sono diventate “verdi”. In realtà non si tratta di una reale consapevolezza dell’insostenibilità del modello produttivo finora seguito da queste stesse aziende ed ormai imposto a livello globale, ma un nuovo modo, anzi, di una nuova moda, per convincere i consumatori ad acquistare il loro prodotti sotto mentite spoglie. Il che vuol dire, sostanzialmente, che cercando di inseguire la nuova moda dell’ecologia apparente, tutti noi continueremo a far parte più del problema che sua della soluzione. E’ oggettivamente difficile orientarsi tra le verità di facciata che ogni giorno ci vengono proposte anche con impostazioni altamente credibili, ma con un po’ di attenzione e di informazione oculata (questo sito è nato con questo scopo) è possibile districarsi abbastanza agevolmente nei tanti meccanismi dell’inganno programmato e pianificati a tavolino. Quello di cui ci occuperemo in questo approfondimento è quello che possiamo definire il “mercato delle opinioni” (l’esatto contrario delle opinioni di mercato), cioè dei gruppi di facciata spacciati per organizzazioni di volontariato auto-organizzate e di aziende di pubbliche relazioni che ne gestiscono l’attività sotto il controllo delle multinazionali che devono difendere i propri prodotti. Un sistema che mette in discussione sistematicamente tutto cciò che è contrario ai loro interessi attraverso una generica “libertà di opinione” che, in primo luogo ha il preciso scopo di confondere le idee agli ignari consumatori ed in secondo luogo, ancora più importante, a tenere ben nascosta la verità.
E’ con questo meccanismo mediatico si sta cercando di presentare il glifosato “Roundup” (l’erbicida disseccante più venduto al mondo prodotto da decenni dalla Monsanto – oggi Bayer) come un’ottima soluzione per il contrasto ai cambiamenti climatici e per avere una soluzione definitiva al problema della fame nel mondo. Il prodotto era diventato famoso già ai tempi della guerra in Vietnam con il nome di “agente Orange” , aveva come componente inquinante tossico la diossina e veniva usato per disseccare la foresta pluviale che poi sarebbe stata bombardata con le bombe incendiare al Napalm al fine per uccidere e stanare i combattenti “Viet Cong”. E’ divenuto poi il fattore decisivo per il brevetto delle sementi OGM, proprio mentre scadeva il brevetto internazionale per la sua produzione: il primo seme geneticamente modificato registrato al mondo infatti si chiama “Mais RR”, dove RR sta per Roundup Ready (adatto al Roundup). Ma con il fatto che l’Unione Europea si stava orientando verso il divieto d’uso dopo che Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) – il braccio operativo nel settore per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità OMS) – nel 2015 aveva prodotto un rapporto analitico molto critico sull’impiego di questo prodotto, come d’incanto era sbucata fuori l’organizzazione di presunti agricoltori “Freedom to Farm” (Liberi di coltivare) che ha immediatamente messo in discussione le conclusioni alle quali era giunto il rapporto stesso. Questa organizzazione ha iniziato a comparire in occasione di mercati, fiere ed eventi dedicati all’agricoltura in tutti i paesi dell’UE. Il messaggio rivolto ai malcapitati coltivatori era abbastanza semplice e di facile comprensione: il glifosato non aveva mai ammazzato nessuno e la sua limitazione d’uso costituiva una forte minaccia per l’intero mondo dell’agricoltura moderna. Volevano per caso tornare all’epoca dell’aratro trainato dai buoi e delle erbe infestanti eliminate a colpi di zappa? Volevano negare il progresso che comunque aveva comportato l’uso dell’erbicida così utile e che ormai tutti si erano abituati a spargere nei campi prima della semina?
Ovviamente negli stand e negli opuscoli informativi il nome della Monsanto non compariva da nessuna parte e pochi fecero attenzione sul fatto che quelle persone così eleganti e molto socievoli non sembravano dei veri agricoltori. Ma intanto il dubbio sulla effettiva pericolosità del glifosato era stato inculcato in tantissime menti umane: soprattutto in quelle di tanti politici incompetenti che avrebbero dovuto adottare la decisone finale. Due anni fa però l’associazione degli accademici americani indipendenti “U.S. Right to Know” (https://usrtk.or) ha scoperto l’esistenza di un rapporto settimanale, confidenziale ad esclusivo uso interno, preparato per conto della Monsanto dalla società di pubbliche relazioni Fleishman-Hillard, nel quale si rivelavano le caratteristiche, la portata dell’operazione e le organizzazioni “fantoccio” da mettere in piedi negli otto stati europei più favorevoli ad impedire l’uso del glifosato nei propri confini: Francia, Germania, Italia, Regno Unito (prima della Brexit), Paesi Bassi, Polonia, Romania e Spagna. In tutto si trattava di quasi 40 assunti a tempo pieno e di altri 56 collaboratori che avrebbero promosso la loro “libertà di coltivare” le proprie produzioni agricole. Era loro facoltà reclutare e addestrare in ogni stato ulteriori aderenti all’iniziativa, incluse le organizzazioni nazionali del settore, adducendo l’incontestabile sostenibilità ambientale del prodotto anche in funzione di contrasto ai cambiamenti climatici. Era stata prevista anche la compilazione di un database di “sostenitori VIP” – importanti personalità di parti terze che sarebbero stati disponibili a sostenere la campagna. Per coordinare i vari gruppi di pressione è stato creato un team composto da dipendenti della Monsanto e della società di pubbliche relazioni Fleishman-Hillard, con il preciso compito di creare contatti e appositi rapporti di collaborazione con gruppi di parti interessate, inclusi agricoltori tradizionali, consumatori definiti “conservatori”, appaltatori municipali, scienziati, ecc. Per tenere i contatti sono stati creati in ogni paese degli indirizzi di posta elettronica che nelle rispettive lingue facevano riferimento all’espressione “libertà di coltivare” e a completate il tutto è stato l’allestimento di un apposito sito su Internet gestito dall’organizzazione di “volontariato Freedom to Farm”. In questo modo sono stati reperiti centinaia di decisori e “influencer” (gruppo definito Market Intelligence nel rapporto) che hanno provveduto, tra l’altro, a criticare aspramente quegli esponenti politici (in particolare dei Verdi), che si erano espressi a favore del divieto d’uso dell’erbicida. Ad esempio è successo in Francia nel dicembre 2016 durante una trasmissione televisiva che si occupava del confronto tra i candidati del centro-sinistra alle elezioni primarie per il Presidente della Repubblica nella successiva primavera. In Spagna addirittura era stato creato un contatto con l’organizzazione COAG (Coordinamento delle associazioni agricole e zootecniche) che risultava “vicina al partito di estrema sinistra Podemos”. Molto favorevolmente invece venivano commentate le posizioni contrarie al divieto di alcuni deputati conservatori del Regno Unito.
Con un aggiornamento effettuato nei mesi scorsi gli accademici americani indipendenti hanno poi preso in considerazione migliaia di pagine di documenti aziendali interni rilasciati durante azioni legali intentate da agricoltori, giardinieri e manutentori del verde pubblico e privato che tutti i giorni avevano utilizzato il prodotto e che avevano citato in giudizio la Monsanto con accuse secondo le quali l’esposizione al Roundup aveva causato loro lo sviluppo di un tumore. Gli scienziati indipendenti hanno infine dimostrato che i sette gruppi di facciata nominati nei documenti della Monsanto e le sei delle associazioni di categoria che avevano aiutato l’azienda in questo “mercato delle opinioni” hanno speso più di 1,4 miliardi di dollari in cinque anni (2013-2019) in iniziative di difesa del prodotto, sostenendo tesi contrastanti a quelle sviluppate dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. Anche quella della disinformazione scientifica è ormai diventata un’industria. Avremo modo presto di illustrare altri casi di questo tipo.
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