Quella del trasporto aereo di merci e persone è senza dubbio la sfida climatica più difficile da affrontare e da risolvere, anche se non si parte del tutto da zero. Il contributo di emissioni in atmosfera dato da questo settore attualmente non è elevato (siamo intorno al 2%) e anche l’eventuale aumento fino al 5% previsto entro il 2050, a prima vista non appare molto preoccupante rispetto ai contributi di gas serra degli altri settori. Il problema è che queste emissioni avvengono soprattutto ad alta quota dove i residui dalla combustione del carburante amplificano direttamente l’effetto serra. In sostanza, pur essendo quantitativamente limitate, queste emissioni sono qualitativamente le peggiori in assoluto tra quelle che contribuiscono al riscaldamento globale sl nostro pianeta. D’altra parte con i voli “low cost” il settore è diventato il più competitivo in assoluto rispetto alle altre modalità di trasporto. Per questo il concetto del TaaS (“Transport as a Service”), cioè quel “trasporto come servizio” che è in fortissima ascesa nel settore automobilistico, in questo caso non è ulteriormente sviluppabile perché di fatto il servizio è ormai molto vicino al prezzo di costo. Vuol dire che gli stessi aerei viaggiano a pieno carico di passeggeri sulla stessa tratta per più volte al giorno e spesso con lo stesso equipaggio: a queste condizioni è difficile “spremere” ulteriormente questa sorta di arancia. D’altra parte l’aviazione con motori elettrici, che sta diventando molto competitiva per le altre modalità di trasporto, in questo caso è ancora di là da venire a causa del peso degli aerei e della loro limitata autonomia di volo. A meno dell’arrivo a breve termine delle super batterie annunciate per i prossimi anni da Elon Musk, il proprietario di Tesla, non si intravvedono grosse novità. Del resto da circa 12 anni è il corso il progetto sperimentale del “Solar Impulse”, il primo aereo che utilizza solo la fonte solare per viaggiare. È stato progettato e messo a punto dai pionieri dell’aviazione svizzera Bertrand Piccard e André Borschberg che alcuni anni fa sono riusciti a circumnavigare la Terra senza usare una sola goccia di carburante e viaggiando anche di notte, grazie all’immagazzinamento dell’energia solare in apposite batterie
. Ma delle sette tappe previste per realizzare l’impresa (poi comunque avvenuta) all’atto pratico ce ne sono volute quasi il doppio. L’unica persona a bordo ogni volta era il pilota ed ogni singolo volo a volte è durato anche quattro giorni: un po troppo per qualsiasi essere umano. Di conseguenza quel 5% di emissioni previsto per il 2050, che corrisponderà a circa 2,7 miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno, rischierà di annullare buona parte dei vantaggi per il clima derivanti dalla riduzione dei combustibili fossili usati dalle altre modalità di trasporto. E allora che cosa si può fare?
Alcune compagnie aeree stanno già ricorrendo ai bio-combustibili per l’aviazione sostenibile (SAF) ricavati da flussi di rifiuti provenienti da aree urbane e da colture agricole e forestali appositamente dedicate. Attualmente vengono miscelati al 30% con i combustibili fossili e questo già comporta un significativo abbattimento complessivo delle emissioni di CO2 (anche fino al 60%): ma siamo ancora molto lontani da quel “carbon neutral” auspicato dagli accordi internazionali sul clima. Per questo altri progetti, ad esempio quello messo in campo in Germania dalla Lufthansa Technik, dall’Aeroporto di Amburgo e da altri due centri di ricerca tedeschi, stanno puntando a realizzare aerei di grandi dimensioni (tipo l’Airbus A320) che useranno l’idrogeno: il combustibile considerato il più pulito in assoluto. Ma per produrre idrogeno, come è noto, serve tanta energia elettrica che a sua volta deve essere prodotta in modo sostenibile oltre che economico. Questo si può fare usando l’energia eolica e fotovoltaica ottenuta in eccesso rispetto ai fabbisogni della rete.
E questo si può fare ancora meglio e più economicamente “riciclando” letteralmente quelle piattaforme in mare aperto che un tempo venivano utilizzate per estrarre combustibili fossili dal sottosuolo. In mare aperto infatti sole e vento non mancano quasi mai e quindi la produzione di grandi quantità di idrogeno risulta decisamente poco costosa se realizzata direttamente sulle piattaforme. Del resto anche l’acqua non manca (l’idrogeno si ottiene per elettrolisi scindendo i due atomi che in ogni molecola sono legati ad un atomo di ossigeno); basta solo demineralizzare l’acqua di mare. C’è già qualcuno che ha calcolato che riconvertire in questo modo anche le piattaforme già esistenti e ancora funzionanti potrebbe essere economicamente più vantaggioso che continuare a estratte petrolio. Comunque sia in questo modo riacquisterebbero valore economico quelle infrastrutture marine ormai arrivate alla fine del loro ciclo di vita e che diventerebbero pericolose se abbandonate a se stesse. In questo modo anche il delicato settore dell’aviazione si allineerebbe agli obiettivi globali sul clima e il tutto potrebbe avvenire in pochi anni. Giusto quelli che ci mancano per evitare i la catastrofe climatica.
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