Osservare le barche che volano sul mare, con la chiglia completamente fuori dall’acqua, è una meraviglia che non avremmo neanche potuto immaginare solo pochi anni fa. Sono le imbarcazioni (gli Ac 75) che in questi giorni stanno gareggiando in Nuova Zelanda per l’America’s Cup, la più prestigiosa competizione velistica esistente al mondo. Sono imbarcazioni “full foiled” che utilizzando due appendici laterali (foil) e che grazie ai computer di bordo riescono ad alzarsi sopra la superficie del mare anche con una velocità del vento molto bassa: circa sei nodi. Ovviamente in questo caso si tratta di imbarcazioni da competizione e per questo sono molto leggere, ma in realtà da alcuni anni anche il trasporto marittimo pesante, tipo quello che si realizza con i portacontainer, sta riscoprendo la navigazione a vela. Con enormi risparmi sia in termini economici che ecologici. Di fatto oggi il trasporto delle merci “biologiche” da un continente all’altro senza produrre inquinamento è diventato una realtà. Ora vedremo perché usiamo le virgolette.
Oggi quasi il 90% dei beni di consumo che utilizziamo quotidianamente, anche quelli considerati ecologici, proviene da un’altra parte del mondo. Che si tratti di una confezione di gamberetti surgelati pescati nel Bangladesh, della T-shirt fatta di fibre naturali argentine, dell’iPhone riciclabile prodotto in Cina da una multinazionale americana, di un giocattolo in legno fatto in Giappone o di frutta esotica, ogni volta ci domandiamo quanto i nostri acquisti rispettino effettivamente la Natura. Ma c’è chi sta ovviando sfruttando ciò che in natura già c’è, il vento e il mare, e ciò che l’uomo ha già messo a punto, rotte di navigazione e imbarcazioni a propulsione eolica, cioè mosse dai venti.
Infatti, per coprire le lunghe distanze che separano le merci dai nostri scaffali, soprattutto quelle deperibili, occorre impiegare tanta energia – in particolare i tremendi combustibili fossili -, rendendo così quasi insignificante il vantaggio ambientale complessivo a causa dell’inquinamento prodotto. Gran parte di questi beni vengono trasportati con delle navi portacontainer che ormai hanno raggiunto dimensioni enormi: i moderni mercantili transoceanici sono lunghi quanto quattro campi di calcio messi insieme e possono trasportare fino 19mila container ciascuno. I giganteschi motori che li azionano sono alimentati per lo più a olio pesante (un raffinato grezzo del petrolio), contenente alte percentuali di zolfo.
Le conseguenze per l’ambiente sono sintetizzate da questi numeri: le 20 navi cargo più grandi oggi esistenti al mondo consumano 14mila litri di olio pesante l’ora e producono tanto inquinamento quanto un miliardo di automobili messe insieme. Inoltre, anche se questi giganti dei mari viaggiano mediamente ad una velocità di soli 15 nodi (circa 28 km l’ora) è altissima la probabilità di collisioni con le balene, che potrebbero essere per loro letali.
Il problema quindi è evidente, ma come spesso accade davanti a questioni così rilevanti, è dal mondo del volontariato che arrivano le risposte più interessanti. Pochi anni fa era per lo più una provocazione, ma nella città tedesca di Elsfeth, vicino Brema, un gruppo di persone, provenienti da 26 nazioni di tutto il mondo, hanno portato avanti il progetto “Avontuur” (“Avventura” in tedesco) con lo scopo di spedire le merci in tutto il mondo senza produrre alcuna emissione atmosferica e nessun danno per l’ambiente. Il nome deriva da un vecchio veliero ultracentenario che si trovava quasi abbandonato nella città olandese di Groningen, che è stato acquistato da un ex capitano “pentito” di grandi navi portacontainer. Nei lunghi anni trascorsi in mezzo agli oceani, il comandante tedesco Cornelius Bockermann era diventato consapevole del disastro ambientale che provocano questi enormi mezzi di trasporto ed aveva avuto modo di meditare a lungo su quale potesse essere la migliore soluzione. Aveva passato più di 20 anni nella navigazione oceanica, soprattutto in Africa (Nigeria, Ghana, Sierra Leone). Dopodiché ha deciso di emigrare con la sua famiglia in Australia.
Ha avuto così la conferma di quanto sia costoso e inutilmente inquinante questo tipo di trasporto. Si è poi preso un anno di tempo per vedere come poteva creare “posti di lavoro non familiari e socialmente accettabili”, ma ha dovuto abbandonare ben presto quest’idea.
La sua coscienza ecologica però è rimasta in cima ai suoi pensieri: il trasporto via mare doveva diventare più economico e più ecologico. Bockermann ha così deciso di fondare una società, la “Timberland Coast”, con lo scopo di realizzare un trasporto sostenibile via mare. Non avendo però a disposizione molti soldi per pagare le maestranze (gran parte di quelli a disposizione se ne erano andati per l’acquisto del veliero) l’ex comandante ha pensato bene di allestire un cantiere nella sua città di provenienza (Elsfeth, per l’appunto) cercando su Internet persone competenti in grado di aiutarlo. Queste persone dovevano proporre diverse alternative costruttive, sempre nell’ottica di emissioni zero, lavorando gratuitamente in cambio solo di vitto e alloggio. Hanno risposto in 150: oltre che dalla Germania sono arrivati dalla Colombia, da Hong Kong, dal Canada e da altri 22 paesi di tutti i continenti. L’intero scafo del veliero è stato rinnovato, mentre la stiva è stata rinforzata per trasportare almeno 60-70 tonnellate di merci a pieno carico (circa 3 container).
A bordo ci saliranno solo prodotti che rispettano la Natura: in particolare vini e olii biologici francesi e portoghesi destinati all’Australia. Il primo viaggio è previsto per la fine di quest’anno.
Il vecchio lupo di mare teutonico non è il solo ad avere avuto questa pensata. Nel 2009 due giovani velisti, il francese Guillaume Le Grand e la colombiana Diana Mesa, hanno fondato TOWT – Transoceanic Wind Transport – impresa che si occupa di trasporto di merci a vela.
La loro flotta dispone di 12 vascelli che fanno la spola coi Paesi Bassi, la Scandinavia e la Gran Bretagna e tra alcuni porti francesi. Trasportano prodotti artigianali, ecosostenibili e provenienti dal mercato equo-solidale. Ad esempio, a metà ottobre, quando il traffico estivo si dirada, la Biche, un veliero di 32 metri dei primi del ’900, fa avanti indietro tra due porti nelle regioni Bretagna e Aquitania, di antica tradizione marinara. Parte dal porto bretone di Lorient a nord-ovest della Francia carica di birra inglese e scende fino a Bordeaux. Qui vende la birra e ricarica vino, conserve di pesce e sale per risalire la Manica. La nave vichinga Biche offre anche traversate turistiche per avventurosi passeggeri.
L’idea del trasporto a zero emissioni usando i velieri non è una novità in assoluto, anche se con caratteristiche meno ecologiche. La società olandese Fairtransport Shipping & Trading ha ristrutturato un antico brigantino olandese lungo 35 metri, il Tres Hombres, costruito nei primi anni ’40 del secolo scorso, e dal 2010 ha avviato una linea di trasporto attraverso l’Atlantico, il Baltico, la Manica, le Antille e il Mare del Nord. Il veliero, senza alcun motore (nemmeno quello ausiliario), trasporta merci “bio” di qualità e del commercio equo e solidale. L’ambientalista inglese Jamie Pike con la New Dawn Traders importa nel Regno Unito alcolici, cacao e caffè. Ma l’idea interessa anche colossi dell’industria: il gigante automobilistico tedesco Volkswagen, reduce dalla figuraccia dei motori “truccati” per farli risultare meno inquinanti, è entrato in questo particolare tipo di mercato con un proprio progetto denominato Ecoliner. Di recente è nata anche la “Sail Cargo Alliance”, con l’obiettivo di rendere ecologicamente sostenibile ed equa la spedizione delle merci via mare (www.timbercoast.com).
Farsi consegnare prodotti biologici in tutto e per tutto, quindi eco-sostenibili anche nel trasporto. Hanno iniziato a farlo alcuni ristoranti di lusso, seguendo l’esempio del celebre ristorante di lusso Noma, in Danimarca, e seguita dall’eco-chef inglese Tom Hunt, che nei punti vendita della sua catena d’alta cucina a Londra e a Bristol ha aggiunto al menu una lista di vini col “bollino di garanzia verde”, che ne certifica il trasbordo sull’isola rigorosamente a vela.
Risparmiare carburante e inquinare meno attaccando alle grandi navi a motore il kite, quel tipo di vela che somiglia ad un paracadute e che vediamo d’estate in spiaggia pilotato da una persona coi piedi su un surf. Lo skipper francese Yves Parlier, asso degli sport a vela, è anche un provetto ingegnere, è stato lui, nel 1985, a concepire e installare il primo albero di carbonio per le barche, oltre ad altre innovazioni. I kite usati da Parlier sono leggeri, hanno sensori di posizione che permettono di regolarli con un sistema idraulico computerizzato, non occupano spazio né fanno peso quando non servono. Secondo lo skipper ingegnere, se utilizzati su larga scala farebbero ridurre del 20% il consumo di carburanti nei mercantili. L’interesse intorno al progetto c’è: università, laboratori, industrie stanno lavorando allo sviluppo.