Progettare edifici da realizzare con stampanti tridimensionali, riparare motori e veicoli elettrici o costruire abitazioni che funzionano con elettrodomestici completamente automatizzati. Ma anche organizzare l’assistenza domiciliare degli anziani con cellulari e computer o permettere ad una persona paralizzata di ricominciare a camminare grazie a cip e micro-sensori, richiedono competenze professionali elevate che oggi non ci sono. Mentre si parla tanto (giustamente), dell’assenza di lavoro, soprattutto per i giovani, quasi nulla si dice sulle future occupazioni, sulle nuove opportunità e sugli aggiornamenti professionali che si renderanno indispensabili nei prossimi anni grazie allo sviluppo della tecnologia e dei continui aggiornamenti che questa comporta. Non è detto infatti che la progressiva e ormai inarrestabile sostituzione del lavoro fisico con le macchine, i robot e i computer, causi automaticamente anche una ulteriore perdita di posti di lavoro a scapito di chi in precedenza svolgeva certe mansioni: molto dipende dalle capacità di adattamento che ognuno saprà mettere in campo. Lo ha dimostrato una recente ricerca condotta negli Stati Uniti dove la disoccupazione era ai minimi storici (meno del 5%), fino all’inizio di quest’anno (2020): l’Ufficio Statistico sul Lavoro (Bureau of Labor Statistics) aveva calcolato che, malgrado la crisi internazionale che perdura da oltre 12 anni, oggi aggravata dall’epidemia del Covid 19, ben 143,6 milioni di americani avevano trovato un lavoro. Inoltre c’erano comunque in corso ulteriori richieste delle aziende per altri 5,5 milioni di posti.
La regione di San Francisco e la Silicon Valley sono da sempre considerate aree ad alta intensità di tecnologia “ammazza – lavoro”. Eppure in quella zona il tasso di disoccupazione, prima dell’emergenza sanitaria, si era mantenuto sotto il 3,9%, cioè ad un livello che gli studiosi ritengono fisiologico in un’economia di mercato. Per questo alcuni analisti di diverse estrazioni (professori universitari e direttori di agenzie specializzate, soprattutto) si sono fatti una domanda apparentemente banale: “Se la tecnologia e le macchine tolgono posti di lavoro soprattutto ai giovani, come mai così tanta gente sta lavorando?” La risposta è molto vicina ad una affermazione del genere: “Si continua a parlare del lavoro che non c’è e non ci sarà mai più (soprattutto per mansioni poco qualificate) mentre non si pensa mai al lavoro che ci potrebbe essere”. Spieghiamo meglio il concetto con degli esempi.
Probabilmente nei prossimi anni molti di noi continueranno a ricevere un giornale quotidiano, una rivista o un pacco contenete un libro con la posta ordinaria o per mezzo di un corriere, ma al posto di una persona, magari stressata da ore di guida, la stessa consegna potrà avvenire attraverso un drone che ci manderà un breve messaggio quando sarà nella prossimità della nostra abitazione, con tanto di codice di sicurezza per evitare che altri aprano il contenitore. Un attuale addetto alle consegne dunque è bene che cominci a studiare come si fa a progettare i droni, farli volare in sicuerezza e a controllarli da postazioni remote, se vuole avere qualche garanzia in più di mantenere il proprio posto di lavoro. Magari potrà farlo ascoltando le istruzioni proprio mentre sta ore ed ore fermo in mezzo al traffico di una città (motivo per cui sono stati inventati i droni per le consegne a domicilio), invece che stare perennemente lì a maneggiare il proprio cellulare, come spesso ci capita di vedere. Del resto ormai chi farebbe la fila in banca per ritirare dei soldi piuttosto che usare il bancomat, o quanti di noi stanno già immaginando di acquistare una macchina che si guida da sola? E solo vent’anni fa, chi di noi avrebbe immaginato di poter fare tutte le cose che oggi facciamo quotidianamente con il nostro smartphone. Esempi del genere se ne potrebbero fare a migliaia, ma non sempre la tecnologia permette una evoluzione di competenze per formare nuove capacità professionali.
E’ il caso di quelle professioni millenarie che qualcuno vorrebbe trasformate con la tecnologia in azioni meccaniche e ripetitive inserite in un computer ed eseguite con con macchinari controllati da remoto. Quella di zappare la terra, per fare un altro esempio, è forse il primo lavoro svolto dai contadini di diecimila anni fa per contrastare la crescita delle piante spontanee e permettere la crescita delle proprie colture. Come abbiamo spiegato in questo articolo; Agricoltura senza agricoltori: l’ultima tappa della follia umana, oggi ci sono dei piccoli robot alimentati con energia fotovoltaica che sono in grado di fare la stessa cosa per mezzo di un programma che gli permette di riconoscere la pianta coltivata, fornirle concime, arieggiare il terreno ed eliminare contemporaneamente le altre erbe. Si tratta quindi di una tecnologia standardizzata che non consente le tantissime variazioni operative che è in grado di fare un agricoltore biologico esperto. Tipo riconoscere che una determinata erba non è obbligatoriamente una infestante che sottrae nutrimento alla coltura, ma che invece glielo aumenta crescendo in consociazione con la stesse piante che produrranno il raccolto. Stesso discorso vale per la difesa sanitaria: con l’agricoltura tecnologizzata si effettuano i cosiddetti “trattamenti a calendario (cioè in successione dopo un numero fisso di giorni). Ma una pianta ben nutrita e non forzata nella sua coltivazione è in grado di resistere e di attivare le sue difese immunitarie contro gli attacchi parassitari senza dove ricorrere ai trattamenti. L’agricoltore biologico deve solo badare che questi attacchi non diventino massivi e per questo può ricorre, se necessario. ai predatori naturali del parassita.
La tecnologia quindi và inquadrata nella giusta logica. Le analisi che abbiamo approfondito per realizzare questo articolo convergono tutte su questo punto: solo perché la tecnologia può fare qualcosa, non significa che lo farà nel modo migliore. La differenza sta dunque nell’acquisire le competenze per poterla usare a vantaggio di più persone possibile: magari di tutti. In tal modo si crea un circolo virtuoso che offre nuove opportunità ad altre persone che sono in cerca di occupazione. Queste competenze comunque devono essere trasmissibili ad altri perché sono proprio quelle che si rendono sempre più necessarie per stare al passo con i tumultuosi cambiamenti in corso. Scienza e conoscenza quindi devono andare di pari passo ed integrarsi a vicenda, evitando di metterle in contrapposizione come qualche “scienziato” sta cercando di fare con gli OGM (leggi anche: Nutrizione e informazione manipolata). In fondo, quello in cui viviamo non è di certo il migliore dei mondi possibili e per renderlo solamente un po’ meno peggiore di adesso, nel vero senso della parola, c’è tantissimo da lavorare.