Anche nel 2021, cioè dopo quasi 30 anni dalla Conferenza sul Clima di Rio de Janeiro, oltre l’80% dei consumi energetici primari sarà coperto dalle fonti fossili: petrolio, carbone e gas. A causa del persistere della pandemia, che le ha fatte calare nel 2020, probabilmente le emissioni climalteranti di CO2 quest’anno non raggiungeranno il livello record del 2019, quando furono di 33 miliardi di tonnellate su scala mondiale (circa 4,5 tonnellate per ogni abitante della Terra). Gli scenari attuali, l’ultimo è del World Energy Outlook, prevedono che il ricorso a queste fonti calerà di appena il 3% entro il 2030. Di conseguenza gli obiettivi di eleminare il ricorso alle fonti non rinnovabili entro il 2050, che erano già a forte rischio quando sono stati fissati da tutti i paesi a livello mondiale, ogni giorno che passa stanno diventando sempre più irraggiungibili a causa dell’irresponsabilità dei leader politici che sono andati al potere in questi ultimi anni. Ed invece di ammirare governi e parlamenti che si prodigano nel prospettare e attuare le relative soluzioni, siamo costretti ad assistere a nuovi e penosi spettacoli allestiti dai teatrini della politica.
Noi siamo contenti che una persona seria e preparata come Joseph Robinette Biden Jr., detto “Joe”, si è insediato in questi giorni nel ruolo di 46° Presidente degli Stati Uniti d’America. Con lui arriva per la prima volta al governo della nazione più potente al mondo una donna, Kamala Harris, in qualità di Vicepresidente. Tornano cosi a ricoprire quegli importantissimi incarichi dei leader affidabili per saggezza, esperienza, competenza e capacità innovativa su tutti i temi all’ordine del giorno dell’agenda mondiale: sia sulle questioni socio-economiche che quelle ambientali. Non a caso uno dei primi provvedimenti adottati è il rientro degli USA nell’Accordo di Parigi sull’emergenza climatica siglato nel dicembre 2015. Per questi motivi siamo contenti anche per il pianeta che ci ospita, che finalmente non vedrà più ripetersi le oscenità messe in campo dal suo predecessore: sulla catastrofe climatica in primo luogo, ma anche sul mancato rispetto dei diritti umani, sull’esasperazione dei conflitti tra i popoli e delle rispettive religioni, sulla negazione della democrazia con l’assalto al palazzo del Congresso americano e tanto altro ancora. Il sipario è definitivamente calato sull’indecorosa rappresentazione teatrale messa in scena negli ultimi quattro anni da Donald Trump e speriamo la stessa cosa accada prima possibile anche per i suoi emuli sovranisti, sparsi per in tutto il mondo e ormai rimasti senza il loro incompetente e spocchioso punto di riferimento.
Una speranza che però può dirsi ancora vana nel paese dove abitiamo, l’Italia, dove proprio in questi giorni, il 19 gennaio 2021 per la precisione, presso l’aula del Senato della Repubblica è andata in scena l’ennesima rappresentazione di quella politica autoreferenziale che ormai non serve più a nessuno, tranne che a se stessa. Anche se non c’è più tempo da perdere, anche se abbiamo sempre meno tempo a disposizione, la politica italiana riesce sempre a trovare tanto, troppo tempo da perdere. E questo ne è un classico esempio.
La messa in scena riguarda una crisi di governo che, viste la quantità, l’ampiezza, l’urgenza e la gravità delle problematiche da affrontare che sono state esasperate dalla pandemia in corso, nessuno ha ancora capito. Il governo presieduto da Giuseppe Conte ha ottenuto la maggioranza di 156 voti a favore e quindi, avendo già ottenuto la fiducia anche nell’altro ramo del Parlamento (la Camera dei Deputati) in teoria potrebbe adare avanti per raggiungere gli obiettivi fissati in sede di Unione Europea. Soprattutto con quelli del programma “Next Generation 2.0” (impropriamente definito prima “Recovery Fund” e ora “Recovery Plan”). Dei 750 miliardi di euro stanziati la scorsa estate a livello comunitario, l’Italia ha ottenuto la “fetta” piu grossa con 209 miliardi: circa il 28% del totale corrispondenti a quasi 3.500 euro per ogni abitante di questo paese, neonati e anziani in terapia intensiva inclusi. Di questa enorme cifra, che tutti si aspettano che venga utilizzata il prima possibile, circa un terzo dovrà andare alla riconversione ecologica dell’economia nazionale, ad iniziare proprio dal contrasto ai cambiamenti climatici. Ma, dicevamo, tutto questo ora deve attendere la soluzione di stupidissimo problema politico.
A seguito della medesima votazione al Senato anche colui che ha provocato la crisi di governo, l’ex premier Matteo Renzi, canta vittoria per il fatto che gli altri 156 senatori presenti in aula (140 contrari e 16 astenuti) non hanno votato la fiducia al governo. Con una offensiva mediatica martellante, prontamente assecondata dai media nazionali (in particolare dalla televisione pubblica controllata da una società per azioni che da statuto deve produrre profitti) non c’è stata una sola santa ora di ogni santo giorno in cui non lo abbiamo visto apparire in qualche trasmissione televisiva e radiofonica. Una noia quasi letale per ogni individuo dotato di buona pazienza ed allestita solo per dire sempre e solo le stesse cose. In sostanza avrebbero vinto entrambi gli schieramenti, o perlomeno nessuno dei due avrebbe perso, anche se nel conteggio non sono stati inseriti i senatori che non hanno partecipato al voto (8 in tutto): fatto decisivo per le valutazioni e le mosse politiche che si determineranno nei prossimi giorni. Si vantano numeri decisivi e si impongono le condizioni per ottenerli.
Ci siamo dovuti chiedere quindi come è stato possibile che abbiano vinto, o non perso, entrambi i contendenti. Semplice: questo è uno dei tanti “giochetti all’italiana” che proprio il teatrino della politica tiene rigorosamente nascosto alla conoscenza e alla comprensione dei cittadini, anche grazie alla sua collaudata capacità di non fornire le informazioni che riguardano il funzionamento dei lavori parlamentari. Ci spieghiamo con cenni brevi.
Nei due rami del Parlamento italiani, ma è così anche in altri paesi, vige un sistema che solo apparentemente è uguale: ogni deliberazione può essere votata in senso positivo o contrario e vince la parte che ottiene anche un solo voto in più rispetto all’altra. Solo che nella Camera dei Deputati italiana (art. 48 del Regolamento) “sono considerati presenti coloro che esprimono voto favorevole o contrario” e quindi nel conteggio non vengono considerati gli astenuti. L’esempio ce lo fornisce la foto pubblicata qui sotto, riguardante l’esito della votazione che il gorno prima, il 18 gennaio, il governo Conte ha chiesto ed ottenuto sulla stessa richiesta di fiducia. Erano presenti 607 deputati (il numero legale per la validità di ogni seduta alla Camera è di 316) e 27 di essi si sono astenuti al momento del voto. Pur presenti gli astenuti quindi sono stati sottratti al numero complessivo dei votanti che è cosi risultato di 580: conseguentemente la maggioranza richiesta nella votazione non è stata quella dei presenti (607), ma quella di coloro che si sono espressi per il si o per il no alla fiducia: 580/2 +1 = 291.
Il Regolamento del Senato invece (art. 107) stabilisce che ogni deliberazione è presa “a maggioranza dei senatori che partecipano alla votazione”. Apparentemente anche in questo caso gli astenuti non dovrebbero essere conteggiati, ma la prassi adottata da tanti anni ha voluto che gli astenuti, non avendo votato a favore, vadano comunque contati per determinare la maggioranza. Sono decenni che nel Parlamento giacciono proposte di legge per eliminare questa stupidaggine, ma finora non se n’è mai fatto nulla. Ecco spiegato perché, avendo ottenuto entrambi gli schieramenti 156 voti (ripeto, senza considerare gli 8 che non erano presenti in aula) soprattutto Matteo Renzi può raccontare la favola di aver vinto, anche se in realtà è tutta la politica, ancora una volta, ad uscirne pesantemente sconfitta. L’attuazione delle misure già finanziate con il programma “Next Generation 2.0” rischia quindi di slittare ulteriormente nel tempo e di essere assoggettata alle maggioranze variabili che di volta in volta il governo riuscirà, se ci riuscirà, a portare a casa. Un danno irreversibile alla credibilità delle istituzioni che non ha paragoni nel resto del mondo.
Come scriveva un autorevole commentatore italiano alcuni giorni fa (Michele Serra su “La Repubblica” – 15 gennaio 2021) con tutti i teatri chiusi a causa del Covid 19, l’unico che è rimasto aperto è proprio il teatrino della politica. Ed alla luce delle incombenze planetarie che stanno attanagliando la nostra epoca, nessuno sopporta ancora di assistere a questo tipo di spettacoli, tranne che chi li allestisce.
Leader seri e preparati come Joe Biden e Kamala Harris, da queste parti, sono ancora una chimera, ma i giovani che prossimamente saranno costretti a tornare in piazza per manifestare per il clima del pianeta e per il loro futuro, di sicuro non se lo scorderanno.