Trovare il punto di equilibrio tra la necessità di fermare la corsa del coronavirus e quella di non “ammazzare” l’economia con una nuova chiusura generalizzata delle attività, è il vero urgentissimo nodo che dovrebbe sciogliere la politica. Già questo fatto è paradossale, perché negli ultimi 15 anni almeno, quello di evitare una pandemia mondiale e il conseguente, inevitabile, tracollo dell’economia, era un obiettivo che i governi nazionali e le organizzazioni internazionali si erano dati dopo la pubblicazione nel 2005 da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del rapporto: “Responding to the avian influenza pandemic threat – Recommended strategic actions.” Sono stati spesi fiumi di denaro per pianificare questo obiettivo, ma i risultati sono quelli che abbiamo sotto i nostri occhi. Anzi, a dirla tutta, gli studi e la programmazione hanno interessato quasi esclusivamente il lato sanitario del problema (che, come abbiamo visto, non ha funzionato e non sta funzionando), mentre poca attenzione è stata dedicata alle conseguenze economiche della diffusione di una pandemia globale.
Basti pensare che nelle strategie indicate dall’OMS per lo sviluppo di un vaccino contro la pandemia, il primo punto riguardava la necessità di ridurre il più possibile il tempo tra la comparsa del virus e l’inizio della produzione commerciale. Raccomandazione evidentemente rimasta solo sulla carta.
Comunque ormai ci siamo dentro e in un’economia dei consumi come la nostra, bisogna trovare delle soluzioni a quello che è a tutti gli effetti “un cane che si morde la coda”, perché l’usuale incontro tra la domanda e l’offerta di beni (esclusi quelli alimentari e medicinali) e di cultura, allo stato attuale dell’allarme sociale, è praticamente impossibile. Le restrizioni dei tempi e degli spostamenti individuali, i licenziamenti e le perdite di reddito provocate dall’infezione e dalle quarantene, le autolimitazioni personali che ognuno di noi sta adottando (parliamo delle persone responsabili, perché gli irresponsabili sono automaticamente fuori da questi ragionamenti) determinano una persistente incertezza che alimenta a sua volta un circolo vizioso che rende rischioso introdursi e frequentare i negozi, i ristoranti, i bar, i teatri, i cinema, i musei, ecc. D’altra parte per queste attività è del tutto inutile e antieconomico restare aperti quando non ci sono clienti e frequentatori. E allora, come se ne esce? Ad esempio, trovando il modo per ricostruire l’incontro tra domanda e offerta (in una forma necessariamente diversa dal passato), come primo passo collettivo che possa permetterci di sciogliere l’intero nodo. Contemporaneamente, in attesa del miracoloso vaccino che verrà, si possono adottare misure che affrontino anche le altre emergenze globali in corso: cambiamenti climatici e inquinamento in primo luogo, che risultano a loro volta legate alla pandemia. Chiusa la parte teorica, veniamo ai fatti.
In ognuno dei casi che riporteremo qui di seguito c’è una costante che la politica ha ben tenuto presente per le proprie scelte. Affinché i sacrifici che tutti devono affrontare quotidianamente abbiano un esito positivo, occorre sacrificare di più qualcosa che fino ad oggi è stata data per scontata. Punti di riferimento sono: 1) lo spazio pubblico dedicato ai parcheggi delle auto nelle città medio-grandi e un diverso modo di organizzare il trasporto collettivo; 2) la ridefinizione dei tempi di lavoro, di scuola e di tempo libero. Per brevità di esposizione illustriamo con questo articolo iniziale un esempio del primo punto, ispirato da un articolo apparso recentemente sul quotidiano inglese “The Guardian”. Parliamo delle “Strade vivibili”, cioè di come alcune città in giro per il mondo stanno dando la priorità alle persone rispetto ai parcheggi e altri spazi sottoutilizzati, da un lato contrastando l’epidemia da coronavirus e dall’altro riscoprendo un nuovo modo di venire incontro alle attività economiche.
La zona di Witte de Withstraat (centro di Rotterdam – Paesi Bassi) è un importante punto di riferimento culturale della città perché ogni anno, nel mese di settembre, ospita un festival artistico di tre giorni (De Wereld). Come per ogni manifestazione del genere, quest’anno il rischio di annullamento era altissimo e cosi è stato riscontrato che lo spazio aggiuntivo da dedicare alla sicurezza delle persone per il distanziamento fisico, poteva benissimo essere individuato in un parcheggio da mettere a disposizione degli esercizi commerciali del posto. Il Consiglio comunale della città ha accolto l’appello dell’imprenditore Herman Hell, per l’allargamento degli spazi di suolo pubblico concessi agli imprenditori della ristorazione che cosi hanno potuto recuperare sia lo spazio perso all’interno dei loro locali, che una significativa parte del loro fatturato. In sostanza, dopo le ore 16:00 di ogni giorno, da quel posto pubblico devono stare fuori le macchine e dentro, se lo vogliono, i cittadini e i potenziali clienti: sta poi agli imprenditori dare loro l’occasione per farlo. La soluzione di autorizzare le “grandi terrazze” (pianali rialzati di legno recuperato e riutilizzato), decorate in modo elegante ed attraente, ha funzionato bene in estate, ma con semplici accorgimenti potrebbe essere adattata nei mesi freddi anche per i bar e i pub. A beneficiarne è stata anche una galleria d’arte contemporanea del luogo (nome emblematico MAMA) che ha permesso ai passanti di visionare le installazioni esposte nei locali interni con dei video/audio proiettati sulle sue vetrine.
A garantire il successo sono stati anche e soprattutto i cittadini e i visitatori che con il loro corretto comportamento hanno aumentato il senso di fiducia collettiva, ma è indubbio che sia stata la scelta politica antiburocratica e rivoluzionaria a fare la differenza. Le attività commerciali hanno potuto utilizzare lo spazio pubblico individuato di fronte alle proprie attività installandovi le “grandi terrazze” senza dover chiedere il permesso al Comune, che comunque si è riservato a posteriori la facoltà di decidere l’idoneità dell’installazione e l’eventuale rimozione. La fornitura delle “grandi terrazze” viene effettuata direttamente dal Comune e finora ne sono state installate più di mille in tutta la città. I proprietari delle auto che erano abituati a parcheggiare vicino alla propria abitazione sono stati invitati ad adeguarsi e quasi tutti, vista la situazione generale, hanno aderito di buon grado. Non solo a Rotterdam molti amministratori si sono accorti che le possibilità di agire ci sono e stanno agendo di conseguenza con soluzioni innovative.
A Oakland, in California, sono state create le “strade lente” completamente chiuse al traffico. A Londra, oggi ci sono le “Streetspace” volute dal sindaco Sadiq Khan, che comprendono piste ciclabili temporanee e marciapiedi più larghi. A Parigi, è stato varato un piano di 650 chilometri per realizzare una “corona di piste ciclabili” intorno alla citta (evidente il gioco di parole con il coronavirus) e la rimozione del 72% dei parcheggi su strada. Anche in Lituania, dove in estate ci sono spesso giornate fresche e piovose, nella capitale Vilnius alcune strade pubbliche sono state trasformate in grandi caffè all’aperto. In tutti questi casi sono stati utilizzati spazi “liberati” (parcheggi in particolare) che sono rimasti sottoutilizzati a causa del fatto che molte persone ormai lavorano da casa, non hanno bisogno di andare in ufficio e di conseguenza hanno allentato la morsa quotidiana sulla mobilità urbana. Quello che colpisce però è che queste iniziative sono state attuate con un minimo sforzo da parte dell’Ente locale. L’unica cosa richiesta è la volontà politica e la leadership. A Rotterdam il tempo trascorso tra l’adozione del provvedimento e la sua attuazione è stato di appena due settimane.
L’amministrazione comunale quindi si è proposta in un ruolo di facilitatore nella soluzione del problema piuttosto che come parte del problema. Una parte spesso predominante a causa delle lungaggini della burocrazia interna e che invece in questo caso, con la stessa scelta, ha permesso di conciliare le tante esigenze in gioco. Il programma della terrazza di Rotterdam è terminato il 1° novembre (ad oggi non sappiamo se sta proseguendo). Forse tutto finirà nel nulla nel caso le ricadute attese sulla sicurezza sanitaria, sulla tenuta dell’economia locale e sull’impatto che hanno avuto i residenti, non permetteranno la sua prosecuzione. Ma intanto è stato dimostrato che qualcosa si può fare e si deve fare.
La politica del futuro, o sarà così, oppure politica non sarà. Ne riparleremo a breve.
Comments 1