Il tempo passa e di azioni concrete per affrontare l’emergenza climatica ancora non se ne vedono. In Europa il finanziamento del programma Next Generation EU è stato avviato ma, come immaginavamo, di programmi che ci porteranno effettivamente nell’era dell’economia circolare si contano con le dita delle mani. Il rischio di finanziare in realtà un gigantesco “greenwashing” si fa sempre più imminente. Il problema principale sta nel fatto che si sta puntando a finanziare investimenti “incrementali” dell’attuale modello di economia lineare, piuttosto che progetti realmente trasformativi di questo stesso modello. Per essere chiari, si può pensare di aumentare quanto si vuole l’efficienza energetica di una centrale termoelettrica alimentata a gas metano (quelle atomiche e quelle alimentate a petrolio e carbone proprio non le prendiamo in considerazione), ma in questo modo si cerca solo di guadagnare tempo perché prima o poi anche i giacimenti di metano si esauriranno. Si stanno in sostanza finanziando progetti già nati vecchi, nella vaga speranza che con le nuove centrali a gas, con nuovi cementifici e con nuove linee di impianti altamente energivori (la conversione dell’ILVA di Taranto, ad esempio) si possa risparmiare qualche tonnellata di CO2 da immettere in una atmosfera già satura di questo gas. Un classico esempio di questa impostazione adattativa/adesiva e per nulla trasformativa dell’attuale modello di economia lineare sono i due giganteschi gasdotti (il North Stream e il South Stream) che sono attualmente in fase di ultimazione in alcuni paesi europei, tra i quali Italia, Austria e Germania.
Sono accordi commerciali firmati con la Russia e che risalgono ormai ben 15 anni fa, quando la questione climatica era solo una noiosa diatriba tra scienziati di diversa opinione. Risulta quindi evidente anche ad uno studente al primo anno di università nelle facoltà economiche, che un investimento del genere può avere solo due sbocchi in termini monetari: 1) per ragioni economiche sugli investimenti effettuati, si continuerà a bruciare grandi quantità di gas prelevato nel sottosuolo per immettere poi le relative emissioni in atmosfera, con buona pace di noi tutti perché “così vanno le cose a questo mondo”; 2) se si deciderà di far chiudere questi impianti in base agli accordi internazionali vigenti sul clima (Accordo di Parigi, firmato da 195 paesi) bisognerà “rimborsare” i proprietari dei medesimi impianti sia del costo degli investimenti realizzati che dei mancati guadagni programmati. Esattamente come già avvenuto e sta avvenendo con l’uscita dei singoli paesi dalla folle avventura dell’energia di fonte nucleare.
E’ ormai chiaro ed evidente che questa impostazione non ci porterà mai, nei tempi stabiliti e programmati (entro il 2030 e il 2050), agli obiettivi riduzione delle emissioni programmate. Malgrado la pandemia da Covid 19, nel mondo ancora oggi si estraggono dal suolo e dal sottosuolo oltre 80 miliardi di tonnellate di materiali all’anno. Di questa quantità solo il 7-8% viene in qualche modo riutilizzato e riciclato. Circa il 21% delle risorse prelevate sono combustibili fossili utilizzati per estrarre, trasportare e lavorare altri materiali che poi devono essere consegnati, utilizzati e smaltiti infine sotto forma di rifiuti. E’ stato stimato dalle agenzie dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) che la movimentazione e la gestione di questi materiali, rappresentano circa due terzi delle emissioni globali di gas serra. E’ stato stimato inoltre dalle stesse agenzie che ogni anno vengono prelevati 3.928 chilometri cubi di acqua dolce dal suolo e dal sottosuolo terrestre (cioè quasi 4mila miliardi di litri – oltre 530 litri a persona), di cui il 56% viene rilasciato nell’ambiente come acque reflue che non ricevono alcun tipo di depurazione. Insistere quindi nel correggere o semplicemente attenuare gli effetti di un modello economico insostenibile, non ci parta da nessuna parte.
Proprio in un contesto così preoccupante comunque, l’economia circolare può permette una drastica inversione di tendenza, a patto che si scelgano e si portino avanti progetti realmente trasformativi dell’attuale modello “usa e getta”. Uno dei fattori decisivi è rappresentato proprio dal trasporto e dalla gestione dei materiali estratti.
Fino ad oggi è stata completamente trascurata e sottostimata, soprattutto in termini di finanziamenti, l’opportunità di utilizzare i materiali a basse emissioni di carbonio. Anzi, potremmo dire che è stata del tutto ignorata (volutamente?) la potenzialità d’uso di materiali che non solo emettono poco carbonio quando vengono utilizzati, ma che addirittura permettono di prelevarlo dall’atmosfera e di stoccarlo in grandi quantità per lungo tempo. Stiamo parlando in particolare del legno, che può essere utilizzato in modo sostitutivo del calcestruzzo e dei materiali edili per la costruzione e la ristrutturazione degli edifici. I materiali a base di legno hanno già dimostrato di saper resistere molto meglio di quelli convenzionali persino ai terremoti e agli incendi di vaste proporzioni. Inoltre si potrebbero stoccare in tal modo e per tempi molto lunghi grandi quantità di gas serra prelevati dalle piante direttamente dall’atmosfera e utilizzate poi come materiali da costruzione. Questo sì che sarebbe un progetto da adottare e finanziare nell’ottica di una vera economia circolare. Tra l’altro non servirebbero neanche particolari interventi legislativi. Basterebbe che ogni Comune rendesse obbligatorio, nel proprio regolamento edilizio e nei permessi a costruire soggetti ad autorizzazione amministrativa, l’uso prioritario del legno tra i materiali di costruzione e ristrutturazione. L’obbligo normativo dovrebbe riguardare una percentuale minima iniziale (ad esempio 1/3 entro 5 anni), che poi diventerebbe sempre più alta e fino al sostituzione totale (ad esempio entro 10 anni dall’adozione del provvedimento). Si darebbe in tal modo nuovo ossigeno anche ad un settore, quello delle costruzioni, destinato a soccombere definitivamente nel caso si continuasse a perseverare con l’attuale modello economico insostenibile. Torneremo a parlare, con altri esempi, di come l’economia circolare (quella vera) offre buone idee e soluzioni innovative, per lo più inesplorate, che diventano giorno dopo giorno sempre più necessarie.
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