L’obiettivo di contenere entro il 2030 il riscaldamento globale del pianeta a 1,5 gradi è diventato ormai irraggiungibile. Lo sapevamo già, ma con il sesto rapporto dell’IPCC dell’ONU (Intergovernmental Panel on Climate Change) redatto dopo sette anni di lavoro da 234 scienziati del clima di tutto il mondo, è stato documentato che ormai siamo fuori tempo massimo. E anche l’obiettivo di contenere l’incremento a 2 gradi entro il 2050 sta diventando sempre più remoto. Con modelli matematici e studi diretti sul campo gli scienziati hanno dimostrato che ormai è andato “fuori giri” il circolo polare artico, che costituisce il grande regolatore delle temperature che si registrano sulla Terra. Un pò come fa il termostato dentro il nostro frigorifero. In questa zona il riscaldamento sta procedendo ad un ritmo tre volte superiore rispetto a tutte le altre aree del pianeta. Ad aggravare la situazione, ci si è messo anche lo scioglimento del permafrost, dove sono immagazzinate enormi quantità di metano che ora vengono rilasciate direttamente in atmosfera. Questa è sostanzialmente la causa dell’amplificazione del riscaldamento in corso perché il metano è dalle 20 alle 30 volte peggiore dell’anidride carbonica come gas serra. Sono queste le principali cause anche dell’accelerazione della frequenza e dell’intensità dei fenomeni climatici catastrofici ai quali stiamo assistendo impotenti, mentre i miopi “potenti” della Terra continuano ignorare e rimandare le loro responsabilità politiche.
Questa irresponsabilità continua a rinviare l’entrata in vigore degli impegni assunti a livello globale a Parigi nel dicembre del 2015, anche se in realtà i provvedimenti per ridurre del 90% le emissioni di gas serra nei prossimi 15 anni (quindi entro il 2035) potrebbero essere assunti in pochissimo tempo. Lo ha dimostrato un ulteriore studio dell’organizzazione americana Rethink X: una “think tank” indipendente che produce analisi basate su dati scientifici inoppugnabili, indicando le scelte fondamentali che dovrebbero essere fatte da investitori, imprese, responsabili politici e dirigenti civici per contrastare i cambiamenti climatici.
Lo studio parte dalla considerazione che tre grandi settori produttivi attuali (energia, trasporti e agricoltura industrializzata) rappresentano circa il 91,6% delle emissioni globali di carbonio. Spegnendo l’interruttore economico/predatorio che le alimenta, queste emissioni possono essere portate da subito a zero perché esistono già tutte le tecnologie e le conoscenze per sostituire integralmente le varie tecnologie produttive. Anche questa è una “sparata” di quelle che si trovano su questo sito? Gli analisti di Rethink in realtà spiegano come spesso vengono fraintese strumentalmente le dinamiche fondamentali dei cambiamenti economici e sociali. Nel settore dei trasporti, ad esempio, l’interruzione dell’uso dei cavalli come mezzi di locomozione (che durava da migliaia di anni) e la loro sostituzione con le automobili è avvenuto in appena 13 anni. Questa sostituzione ha poi comportato repentine innovazioni nella produzione di acciaio per i telai e le carrozzerie dei veicoli e della gomma per i pneumatici. Il motore a combustione e le catene di montaggio hanno poi comportato un drastico cambiamento nella produzione di combustibili da fonti fossili anche per produrre energia elettrica. Tutto questo malgrado non esistessero all’epoca strade asfaltate, distributori e sistemi di approvvigionamento del carburante. Da una piccola nicchia, l’industria automobilistica è diventata in breve tempo il settore trainante dell’intera economia mondiale facendo entrare in una crisi irreversibile l’utilizzo dei cavalli e delle carrozze come mezzi di trasporto. Nell’epaca che stiamo attraversando è possibile che accada qualcosa di simile e ma in senso inverso.
Da sole però le misure per eliminare le emissioni di carbonio in atmosfera non saranno sufficienti. Ciò che sta succedendo nel circolo polare artico e con lo scioglimento del permafrost ci insegna che per evitare lo scenario “Terra Serra” occorre abbassare drasticamente da subito gli attuali livelli di gas presenti nell’atmosfera: per portare il sistema ad un livello di sicurezza bisogna abbassare le concentrazioni di carbonio di circa 70 ppm (parti per milione), passando dalle 420 ppm attuali a 350 ppm entro il 2035. La riforestazione giocherà un ruolo decisivo in questo scenario. Rethink X ha stimato la sola sostituzione degli attuali sistemi di produzione agricola industriale liberebbe l’80% dei terreni agricoli (circa 3,3 miliardi di ettari) destinati all’alimentazione degli animali da carne. Si tratta di 2,7 miliardi di ettari equivalente ad una superficie grande quanto gli Stati Uniti, la Cina e l’Australia messi insieme. Anche senza prendere misure attive per il rimboschimento di questa terra, la semplice non coltivazione e la ri-naturazione spontanea di questi terreni, con una sorta di rimboschimento passivo, determinerebbe il sequestro di una grande quantità di carbonio sia nel suolo di superficie (come biomassa) che nel sottosuolo (sotto forma di humus). Con una riforestazione attiva, anche solo parziale, dei terreni attualmente dedicati all’alimentazione animale, il sequestro avverrebbe in modo complessivamente più veloce, anche se con fasi alterne.
Si otterrebbe in sostanza un effetto “rinfrescante” dell’atmosfera, grazie ad una amplificazione diametralmente opposta a ciò che sta avvenendo attualmente. Dal prossimo 31 ottobre al 12 novembre a Glasgow, in Scozia, si terrà il Cop26: il nuovo summit internazionale che dovrebbe fare il punto degli impegni assunti a Parigi sei anni fa. A fare da “padroni di casa” saranno il Primo Ministro inglese Boris Johnson per il paese ospitante (Regno Unito) e il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano Mario Draghi in rappresentanza dei governi dell’UE. Augurandoci che vengano prese decisioni rapide e risolutive nella direzione che qui abbiamo rappresentato, speriamo che anche loro, come facciamo noi da anni, decidano di iniziare questo summit decisivo con la piantumazione di alberi con le loro mani. Perché proprio quelle mani dovranno scongiurare lo scenario “Terra Serra”.
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