Nel periodo storico che stiamo attraversando, è diventata la parola più usata al mondo. La utilizziamo cosi frequentemente che ormai non facciamo più caso al contesto in cui la pronunciamo, del resto quasi sempre a proposito, viste le condizioni attuali in cui versa l’intera umanità. Che si tratti della qualità della nostra vita in generale, dei rapporti che abbiamo con gli altri in particolare, della valutazione che diamo della classe politica che ci (s)governa, dell’obiettività inesistente dell’informazione che riceviamo, dei meccanismi economici nella società in cui siamo costretti a vivere o del nostro stesso lavoro (ammesso che ne abbiamo uno), l’abbinamento agli escrementi umani durante una conversazione o una riflessione personale avviene cosi spesso in un modo spontaneo e irrefrenabile che neanche ce ne accorgiamo. Come se la necessità di evacuazione fosse diventata ancor prima psicologica che fisiologica. Con una pandemia che quasi sicuramente si ripresenterà puntuale anche nel prossimo inverno con gli effetti che ben conosciamo, un’altra guerra nel centro dell’Europa di cui nessuno conosce il senso (vedi l’uccisione di migliaia di vittime innocenti) ma dove tutti poi ne dobbiamo pagare le conseguenze (vedi l’aumento incontrollato del prezzo delle fonti energetiche fossili), le emergenze planetarie che continuano a condizionare la sopravvivenza di miliardi di persone su questo pianeta e che non ricevono il necessario sostegno verso una qualche soluzione, è impossibile non essere d’accordo sul fatto che stiamo vivendo proprio in un “mondo di merda”. Soprattutto per quanto riguarda il futuro dal quale le nuove generazioni sarà praticamente impossibile sfuggire con le attuali condizioni sociali, economiche e ambientali globali. Condizioni che per la prima volta nella storia dell’umanità saranno molto peggiori rispetto a quelle delle generazioni che le hanno precedute.
A ben vedere però potrebbero essere proprio i giovani a determinare le condizioni per capovolgere il “futuro di merda” che li attende. Proprio la sostanza organica che viene espulsa da ogni essere vivente dopo esser transitata nel rispettivo apparato digerente, rappresenta oggi, così come lo è stata in passato, la principale risorsa per la riproduzione della vita su questo pianeta; ma allo stesso tempo oggi questa sostanza organica rappresenta una fonte inesauribile di conoscenze per risolvere le attuali crisi planetarie, inclusa quella del Covid 19. Il nostro corpo infatti è a tutti gli effetti un ecosistema all’interno del quale nascono vivono e muoiono costantemente miliardi di esseri viventi. E’ di fondamentale importanza quindi riscoprire ciò che entra (la qualità del cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo) ma anche e soprattutto ciò che esce dal nostro organismo, sia dall’apparato respiratorio (oggetto di attenzione esclusiva di questa pandemia) che dallo nostro stomaco. Quest’ultimo è il luogo della microflora intestinale, il cosiddetto microbiota, dove sono presenti ben 140 mila nuovi di virus, metà dei quali completamente sconosciuti, come ha dimostrato un recente studio eseguito su individui abitanti in tutto il mondo e appartenenti a vari estrazioni sociali. Anche in questo caso comunque la conoscenza aveva già dimostrato ciò che oggi scopre la scienza.
Pochi sanno che un tempo nel Nord Italia esisteva una professione, quella degli assaggiatori di letame, che era molto considerata dalle aziende agricole, perché ci si poteva arrivare solo dopo una lunga fase di apprendimento: in sostanza, bisognava assaggiare tanta merda, prima di essere riconosciuti come dei professionisti esperti (i cosiddetti “saggiamerda”, dei veri e propri sommelier degli escrementi). La prestazione consisteva nel prelievo con un bastoncino delle deiezioni animali accumulate in un letamaio, proprio come si fa con i formaggi, per valutarne le caratteristiche organolettiche e sensoriali: colore, odore, gusto, consistenza e friabilità. In questo modo si valutava il suo grado di maturazione e si davano indicazioni per l’uso in base alle esigenze colturali dell’azienda interessata. Fino a poche decine di anni fa il letame era praticamente l’unico fertilizzante che gli agricoltori avevano a disposizione ed era molto importante conoscerne non solo le potenzialità di concimazione, quantificata dal numero dei lombrichi presenti, ma anche e soprattutto il carico virale e batterico residuo.
Il letame infatti non veniva mai utilizzato subito dopo esser stato allontanato dalla stalla, ma solo a seguito di un adeguato periodo di stabilizzazione. L’apparato digestivo degli animali erbivori, in particolare dei ruminanti, è un vero e proprio laboratorio di trasformazione alimentare dove convivono e si integrano a vicenda miliardi di batteri, funghi e virus, che in parte vengono espulsi con le feci. Alcuni di questi da sempre sono conosciuti come estremamente pericolosi per la salute umana (vedasi ad esempio il botulino) che però non sopravvivono alla fase di compostaggio del letame, quando la temperatura all’interno dell’ammasso sale anche fino a 50 – 60 gradi centigradi. Per questo si deve procedere frequentemente a rivoltare l’ammasso stesso al fine di ottenerne una buona stabilizzazione complessiva.
Il pericolo del passaggio diretto dei patogeni dagli animali agli esseri umani, in particolare dei virus (quello che oggi si chiama spillover) è conosciuto da migliaia di anni dal mondo agricolo e non è mai stato sottovalutato in tale contesto. Diverso è il discorso delle pandemie che in passato si sono scatenate soprattutto a causa delle pessime condizioni igieniche presenti negli ambiti urbani che si andavano espandendo in modo incontrollato senza acqua potabile e fognature (sul punto torneremo con un altro approfondimento su questo sito). Questa sottovalutazione invece si è verificata in modo imponente in epoche recenti con l’uso eccessivo di prodotti chimici e presunti igienizzanti che di fatto stanno progressivamente annientando l’enorme biodiversità che esiste e funziona benissimo all’interno del nostro organismo. A farne le spese nel suo complesso è il sistema immunitario che non è più in grado di produrre le risposte adeguate in caso di attacco di patogeni, soprattutto nei soggetti affetti da malattie pregresse.
Per questo l’attenzione del mondo scientifico (finalmente, verrebbe da dire) si sta spostando sempre di più alla merda che producono altri esseri viventi. In particolare quella dei pipistrelli, ingiustamente accusati di aver provocato il salto di specie del Covid 19, ormai tre anni fa. Solo ora in realtà si sta scoprendo che i pipistrelli hanno una caratteristica fondamentale che non è presente nella specie umana: il loro sistema immunitario è sempre attivo perché riesce a convivere benissimo con la sterminata quantità di virus e di altri patogeni presenti nei loro intestini. Dai loro escrementi si comincia a capire perché questa convivenza funziona cosi bene e determina il risultato di un sistema immunitario cosi potente. Le ultime ricerche internazionali hanno dimostrato che non c’erano pipistrelli portatori di SARS 2, responsabile Covid 19, a Wuhan, in Cina,
da dove è iniziata la pandemia, mentre altre ricerche invece stanno dimostrando perché tutto è partito da quei luoghi. A causa dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale in corso si è riscontrato che nelle regioni meridionali della Cina il numero delle specie di pipistrello è aumentato di decine di unità negli ultimi decenni: un fenomeno che potrebbe essersi esteso proprio alla zona di Wuhan, che si trova nella parte centrale della nazione cinese. In pratica oggi esistono circa 40 nuove specie di pipistrello (il numero è destinato ad aumentare) e grazie alle loro deiezioni si comincia a capire che questo aumento è determinato anche dalle nuove forme di convivenza che riescono ad attivare con i loro “amici” virus. Ecco perché pensare di programmare, invece che si subirlo, un “futuro di merda” potrebbe essere una buona occasione per capovolgere l’evoluzione in corso di questo “mondo di merda”, soprattutto grazie ai giovani. Prossimamente ci occuperemo di altre interessanti storie di merda.
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