Non glielo ha ordinato il Sindaco della loro città (Brockham, in Inghilterra) o il Governatore della Regione o il Presidente del Consiglio dei Ministri e neppure glielo hanno chiesto. Si sono semplicemente organizzati da soli per il contrasto alla pandemia perché quando è arrivata erano già molto organizzati per le altre emergenze, secondo i criteri della sussidiarietà e della responsabilità collettiva. Si erano già profondamente radicati nelle istituzioni e nelle reti locali ed avevano sviluppato un rapporto funzionale, quasi simbiotico, con la comunità e le amministrazioni locali. Per questo il loro slogan, “Immunità della Comunità” ha avuto subito successo. La popolazione interessata non è molto numerosa (circa 3mila abitanti) ma è il classico esempio di come si affrontano queste situazioni, senza alcun tipo di speculazione politica, ma semplicemente mentendo in campo un’azione condivisa e coordinata proprio per risolvere un problema che riguarda tutti. Un po’ com’è successo in Friuli con il terremoto del 1976 e con l’alluvione di Firenze del 1966. In questo caso si tratta di un gruppo di volontariato, il Brockham Emergency Response Team (BERT), gestito direttamente dalla comunità locale, nato a seguito delle gravi inondazioni verificatesi nel loro territorio nell’inverno tra il 2013 e 2014 e che ha dovuto affrontare una sorta di privatizzazione al contrario: cioè di come si socializzano le perdite, lasciando i guadagni ai privati.
Era successo che il governo centrale inglese, con la solita politica dello “scarica barile”, visto che le inondazioni si facevano sempre più frequenti, aveva deciso che la manutenzione dei canali e dei fossati rurali (in particolare il loro drenaggio) non spettava più alle autorità locali, ma i proprietari dei terreni serviti o comunque limitrofi ai corsi d’acqua. Questo anche se quei proprietari non avevano nessuna competenza e/o una qualche pallida idea di come quella manutenzione si doveva effettuare. In sostanza ogni proprietario se la doveva cavare da solo per ogni singolo tratto del corso d’acqua di sua competenza. Come era intuibile, le inondazioni si sono intensificate, finché nel 2013 sono state evacuate 90 case e riscontrate pesanti conseguenze economiche per tutti i residenti. E’ nata cosi la proposta di risolvere il problema attraverso un’azione collettiva condivisa che ha messo in piedi in breve tempo una rete di volontariato. I volontari si sono interessati di tutte le fasi per della prevenzione e dell’attenuazione del rischio di inondazioni con un meccanismo di mutuo soccorso reciproco. Quando non debbono rispondere direttamente ad un’emergenza, i volontari informano i proprietari dei terreni sul da farsi e mettono in comune i mezzi e le risorse per una manutenzione ottimale lungo l’intero corso d’acqua. Di li a poco, vista la totale inefficacia delle misure adottate dal governo centrale anche su altri temi, hanno trasformato il BERT in un ente di beneficenza ed hanno cominciato ad occuparsi del sostegno agli anziani e dei residenti malati, del supporto alla gestione dell’ambiente e degli spazi verdi per conto del Comune e dell’assistenza alla comunità durante eventi meteo significativi (ad esempio per le interruzioni di energia elettrica).
In pratica questa organizzazione è diventata il simbolo di quello che è un concetto che oggi va molto di moda, la resilienza di una comunità locale, ma che non risulta molto attuato.
E con l’arrivo della pandemia da coronavirus è stato quasi naturale per il BERT integrare i servizi anche per questa emergenza, creando i Gruppi di supporto al Covid 19: “In fondo – sostiene il suo attuale presidente – sempre di paura e di prevenzione si tratta“. Cosi c’è chi accompagna il cane della persona anziana a fare una passeggiata, chi porta viveri alle persone sole e/o malate, chi si occupa delle prescrizioni mediche e chi risolvere ogni piccolo problema individuale. Ma soprattutto, sono i volontari a chiedere sistematicamente alle persone se i vicini e loro stessi hanno problemi di salute e in caso di risposta affermativa effettuano una sorta di tracciamento preventivo dei contatti avuti negli ultimi tempi. Come disinfettante usano un prodotto naturale che si troova già nel corpo umano e normalmente si usa per la conservazione del pesce e della carne fresca. Sul loro sito Internet (visitato per questo articolo) ci sono tutte le risposte del caso. E non c’è nessuna violazione della privacy perché la gente li conosce benissimo e si fida di loro. In sostanza quelli del BERT non devono andare ad identificare i contagiati, in particolare gli asintomatici, una volta che il coronavirus ha iniziato a diffondersi tra la popolazione. E’ un pò quello che è successo all’inizio in Italia nel Comune di Vo Euganeo, ma poi chissà perché si è cambiato strada. Gli amministratori locali erano convinti che con un approccio simile molte comunità locali sarebbero uscite presto dall’incubo del Covid-19, o che comunque il contagio sarebbe stato più limitato, allentando così la pressione sulle strutture sanitarie intasate dai ricoveri nelle grandi città. Avevano ragione perché i dati che abbiamo consultato domenica 25 ottobre indicano che il tasso di contagio in quella zona (la Contea di Surrey) è circa la metà del resto del Regno Unito, ma soprattutto non c’è stato alcun morto. Non a caso questa iniziativa sta diventando l’esempio di quelle che ormai in Inghilterra vengono definite le “comunità contro il coronavirus”, dette anche, molto appropriatamente, le comunità dell’immunità.
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