La prima cosa che pensiamo quando acquistiamo un panino semplice da 120 grammi con un hamburger è che costa poco. La seconda cosa che ci viene in mente è la preoccupazione sul fatto che stiamo ingerendo ben 300 chilocalorie e magari ci viene anche un certo senso di colpa perché non stiamo rispettando le regole di una dieta alimentare corretta. La terza cosa da pensare però, che dovrebbe entrare di corsa nei nostri pensieri prima di fare questo tipo di acquisti, non si prospetta mai alla nostra attenzione. Ma non perché non vogliamo pensarci: semplicemente perché nessuno ci ha mai spiegato quanto ci costano effettivamente in termini economici, ecologici e sociali, le produzioni delle carni destinate all’alimentazione umana e agli animali da affezione, cani e gatti in primo luogo. Se sull’etichetta di ogni confezione fossero indicati tutti i costi reali che vengono nascosti e che stanno dietro alla produzione di un chilo di carne, ci accorgeremo subito che quell’acquisto non è affatto cosi a buon mercato come ci fanno credere e che in realtà cadiamo ogni volta dentro la stessa colossale truffa che sta uccidendo la Terra.
I sistemi di produzione industriale della carne, che in gergo tecnico si chiamano “operazioni di alimentazione animale concentrata” (CAFO – Concentrated Animal Feed Operations) sono stati messi a punto nella seconda metà del secolo scorso per produrre intensivamente carne, latte e derivati, senza ricorrere al pascolo degli animali. Si è fatto cosi ricorso a particolari tipi di mangimi, mais insilato e farine di soia in particolare, perché il loro consumo aumenta il livello delle proteine nei prodotti ricavati dagli animali. Qui c’è già una prima truffa: non ci viene mai detto che ormai da decenni in tutti i paesi occidentali la produzione di questi mangimi riceve massicce sovvenzioni di denaro pubblico. Non a caso i principali beneficiari di questi sussidi sono le grandi aziende agricole che controllano ormai la nostra economia alimentare, a cominciare dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO). Per questo motivo i mangimi stessi vengono venduti dagli agricoltori al sistema di produzione industriale della carne ad un prezzo più basso rispetto a prezzo di costo sul campo. Il prezzo del panino con l’hamburger quindi è basso perché ne abbiamo già pagato una parte con le tasse. Tasse che alimentano, in tutti i sensi, le sovvenzioni pubbliche che tengono in piedi l’intero sistema. Ma questo è solo l’inizio.
Già dieci anni fa il giornalista americano del New York Times Marc Bittman, un vero e proprio “guru” nel settore dell’alimentazione, durante lo studio eseguito nell’arco di un anno, ha calcolato che il prezzo di un hamburger doveva essere aumentato di 40 centesimi a causa delle emissioni di CO2 che comporta questo tipo di produzione. Per ogni chilo di carne prodotti con i mangimi altamente proteici, a loro volta sono ottenuti con l’uso di combustibili fossili e pesticidi, Bittman ha calcolato che si producono 25 kg di gas serra, mentre per i formaggi e latticini il rapporto è 13,5 kg di inquinanti per ogni chilo di prodotto caseario. Ma siccome i bovini in particolare producono molto metano (un gas che è 20 – 25 volte più pericoloso per il clima rispetto alla CO2), e visto che i gas serra dovrebbero essere compensati con i crediti di carbonio, al costo di ogni hamburger dovrebbero essere aggiunti altri 40 centesimi di euro. Una ONG tedesca poi (la Watch) ha calcolato che le produzioni intensive di carne di maiale producono anche l’inquinamento delle acque che ovviamente devono essere depurate: in particolare dai prodotti fertilizzanti e i fitosanitari usati per produrre i mangimi e dai medicinali veterinari usati durante l’allevamento: alla “cassa” il costo reale di un chilo di carne di maiale per questa altra causa è di 45 centesimi in più rispetto a quello che pagano i consumatori. Per la carne bovina il costo è ancora più alto (circa 60 centesimi di euro).
Ma un notevole consumo di carne, come accennato, non è la miglior dieta possibile di questo mondo. Soprattutto nei bambini rischia di provocare fin dall’infanzia problemi cardiovascolari, rischio di diabete, allergie, asma e altro ancora. E’ ormai accertato definitivamente il legame tra il cosiddetto “fast food” e l’obesità e pertanto anche il costo sanitario indotto andrebbe messo nel conto: Bittman ha stimato che per quest’altro costo andrebbero aggiunti almeno altri 36 centesimi di euro ad hamburger. Tutto questo senza contare ulteriori costi che sono difficili da quantificare: la distruzione delle foreste pluviali per ricavare terreni destinati alla produzione di mangimi per animali, l’erosione dei suoli destinati a monocolture e il ricorso al lavoro di braccianti sfruttati al limite della schiavitù nelle coltivazioni, ne sono solo alcuni esempi.
La lista delle esternalizzazioni dei costi di un panino semplice con hamburger (ma anche con un cheeseburger) è ancora lunga, ma c’è un ultimo costo che non possiamo trascurare in questo approfondimento, anche alla luce della pandemia in corso. E’ quello dell’efficacia dei medicinali antibiotici e altri antinfiammatori per il trattamento delle malattie umane. Esiste ormai una correlazione accertata tra il consumo di carne ottenuta dall’abbattimento di animali allevati a distanza molto ravvicinata in ambienti artificiali. Per portarli allo stadio della macellazione, magari dopo averli spremuti come arance per ricavarne anche l’ultimo litro di latte, a questi animali vengono somministrati sempre più frequentemente dosi sub-terapeutiche di antibiotici per evitare la malattie indotte dal confinamento in questi ambienti artificiali: luoghi dove spesso gli animali restano a lungo in contatto con i loro escrementi. Questa pratica dell’uso sub-terapeutico di antibiotici veterinari ormai rappresenta quasi la metà del consumo di tutti gli antibiotici che si usano nel mondo, inclusi quelli usati per le malattie umane. Questo è il motivo per cui sta crescendo ogni giorno dipiù soprattutto nella nostra specie, il numero di ceppi di batteri resistenti e immuni ai trattamenti antibiotici. Tanto che ormai si parla della necessità di un’era post antibiotica, in particolare nel trattamento delle infezioni potenzialmente letali per gli esseri umani.
Sommando tutti questi costi quindi, un panino semplice da 120 grammi con hamburger e che mediamentee costa poco più di 4 euro, in realtà ci viene a costare non meno di 12 euro a porzione. Ma nessun ristorante, stiamone certi, esporrà mai al pubblico questo prezzo del suo menù.
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