Il pesce di allevamento nel mondo sta progressivamente sostituendo la pesca in mare aperto perché le riserve ittiche si vanno man mano esaurendo. Nel frattempo la domanda di prodotto fresco a livello globale è in continuo aumento ed attualmente, ad esempio, oltre il 70% del salmone consumato a livello mondiale proviene da tali allevamenti. Era rarissimo trovarlo sulle tavole fino a quaranta anni fa, ma oggi viene data per scontata la presenza di questo prodotto nelle nostre cucine. Il prodotto è molto richiesto perché ha un’alta percentuale di acidi grassi omega-3 e per questo viene indicato nelle diete per le persone in sovrappeso. Entro i prossimi anni è prevista la totale sostituzione delle specie selvatiche più richieste, che saranno rimpiazzate da quelle prodotte in allevamenti appositamente attrezzati. In pratica di tratta di vere e proprie fattorie realizzate con reti metalliche e gabbie sommerse, che vengono ancorate sul fondo del mare a poche centinaia di metri dalle coste. Norvegia, Cile e Scozia dominano la produzione su scala globale perché le specie allevate preferiscono acque fresche, riparate e soggette alle maree per massimizzare i tassi di crescita e attenuare gli effetti delle malattie. L’industria dell’allevamento del pesce però è cresciuta freneticamente a partire dagli anni Settanta del secolo scorso e di fatto oggi si stanno determinando problemi e danni simili a quelli che si sono verificati con le coltivazioni industriali dei terreni agricoli e con le produzione intensiva di bestiame da allevamento.
Anche nell’industria dell’acquacoltura il copione è sempre lo stesso: fare le cose contro Natura e il modo più facile per perdere le battaglie contro la Natura, perché negli ambienti confinati dalle gabbie si creano delle condizioni artificiali dove i pesci vengono alimentati con appositi mangimi, spesso contenenti anche OGM, erogati tramite dei lunghi tubi immersi nell’acqua di coltura. In un primo momento sembrava che questo metodo potesse favorire il ripopolamento delle specie per via naturale negli oceani, ma siccome questi mangimi sono prodotti in buona parte con lo stesso pesce selvatico di cui si nutrono gli esemplari liberi, ben presto ci si è accorti che l’effetto positivo rischiava di scomparire in poco tempo. A questo problema si è poi aggiunto l’uso di prodotti chimici per il trattamento di alcune patologie che, per restare nell’esempio, colpiscono soprattutto i salmoni adulti allevati in cattività; per questa causa recentemente si sono riscontrati problemi di deterioramento genetico, anche per le popolazioni selvatiche, a causa dell’inevitabile fuga di alcuni esemplari dagli allevamenti. Inoltre la sedimentazione nei fondali marini dei mangimi non consumati, sta comportando un progressivo inquinamento biologico dei luoghi dove vengono collocate le gabbie e per questo è necessario spostarle dopo un certo numero di anni.
Negli ultimi tempi i problemi sono aumentati esponenzialmente e per questo si è determinata così una sorta di “corsa agli armamenti” chimici nei mari, creando quell’effetto resistenza che si è già creato negli allevamenti terrestri con gli antibiotici usati in zootecnia e i pesticidi nelle produzioni agricole: rispetto a pochi anni fa il consumo di alcuni prodotti chimici in itticoltura è aumentato di 10 volte. Per risolvere il problema dei pidocchi di mare, i principali patogeni dei salmoni e che causano le malattie divenute ormai fuori controllo proprio a causa dell’uso indiscriminato degli antibiotici, nell’ultimo periodo alcuni allevamenti sono ricorsi al cosiddetto idrosciacquo: grandi impianti di “lavaggio” dei pesci colpiti da patogeni che vengono trattati con acqua calda sparata a pressione nel tentativo di staccare dalla loro pelle i parassiti. Le perdite di prodotto sono altissime e i costi esorbitanti e per tale motivo si è anche affacciato lo spettro del salmone OGM: una società statunitense infatti ha ottenuto il permesso di sviluppare salmoni geneticamente modificati. Ma invece che essere risolto, il problema si è aggravato sempre di più. Nella sola Scozia il pidocchio del salmone, che di solito non costituisce un problema in mare aperto, ora infesta quasi la metà degli allevamenti e i costi per controllarli (non debellarli) si aggirano orami tra 300 – 400 milioni di sterline l’anno.
Per tutti questi motivi una serie di organizzazioni di volontariato (tra le quali c’è il WWF), alcuni scienziati di biologia marina e di itticoltura ed un gruppo di industrie del settore, hanno elaborato una sorta di prontuario medico per la prevenzione dei fattori di rischio sanitario. Anche in questo caso il principio della prevenzione prevale su quello della cura dopo che si è determinata una malattia o un’infezione. Sono stati eliminati gli OGM e stabilito un tetto massimo di pesce selvatico nei mangimi, con l’introduzione del divieto di usare per scopi profilattici gli antibiotici (cioè anche in assenza di malattia); inoltre non si deve superare la soglia massima di 300 esemplari fuggiti per ogni ciclo di produzione. Se questi standard non vengono rispettati l’intero allevamento deve essere eliminato. A vigilare sull’intero sistema sono stati chiamati dei veri e propri “medici dei pesci” che hanno compito di monitorare le varie fasi della produzione. Non tutti erano convinti che queste norme fossero sufficienti, in particolare per quanto riguarda l’uso dei pesci selvatici nei mangimi, ma vista la vastità del problema nel suo complesso, da qualche parte si doveva pur cominciare.
E’ stato così che un allevatore norvegese, Jan Børre, su consiglio dei “medici dei pesci”, ha sperimentato l’uso di una specie particolare, il lompo, che vive spontaneamente nelle gabbie dei salmoni nutrendosi dei pidocchi. La sua fattoria marina, che si trova vicino all’isola norvegese di Skjervøy, è diventata una delle prime a ottenere un accreditamento etico volto a limitare tali problemi. Sul problema dei mangimi inoltre l’azienda di questo allevatore ha già sperimentato fonti alternative di proteine: in particolare alcuni tipi di alghe. Sono quest’ultime infatti a fornire ai salmoni ed in generale ai pesci le alte percentuali di acidi grassi omega-3 di cui sono dotati. Dai primi riscontri sembra che in effetti i livelli di malattia dove sono state adottate queste misure preventive sono di colpo diminuiti e in qualche caso sono addirittura scomparsi. Circa due anni fa inoltre, coordinato dall’Università di Bologna, è stato avviato un esperimento per la produzione di nuove tipologie di mangimi biologici e a impatto zero per gli allevamenti, l’utilizzo di sistema basati sull’intelligenza artificiale per potenziare il controllo della diffusione di parassiti nocivi, soluzioni tecnologiche per migliorare la sostenibilità ambientale dei vivai di molluschi e pesci. Saranno sviluppate inoltre nuove tecniche di allevamento per ottenere pesci, molluschi e microalghe di maggiore qualità, e nuove tecniche per ottenere prodotti ittici di alta qualità in modo sostenibile, valorizzando anche gli scarti di produzione. Ancora una volta quindi si dimostra che fare le cose in favore della Natura e il modo più facile per vincere le battaglie insieme alla Natura.