Tutti ci siamo domandati, almeno in una occasione, come mai quello che mangiamo non ha più “il buon sapore di una volta”. Raramente però abbiamo trovato qualcuno che ci spiega veramente il perché, come se all’improvviso le piante da frutta, le verdure e le colture di cereali avessero stabilito tutte insieme di produrre alimenti insipidi e poco nutrienti.
In realtà questa è stata la semplice – ma non naturale – conseguenza dell’intervento industriale nell’agricoltura, che ha reso disponibili grandi quantità di prodotti di sintesi (fertilizzanti, fitosanitari, diserbanti, ecc.), i quali hanno finito per modificare ed alterare in negativo la qualità organolettica dei nostri alimenti.
È stata compiuta, in sostanza, una forzatura alimentare attraverso fertilizzanti preconfezionati (una sorta di cibo iperproteico), distribuiti nei terreni di coltivazione e sciolti in acqua per meglio essere assorbiti dalle radici delle piante, se non, addirittura, direttamente dalle foglie. Ed a causa di una alimentazione meno sana, anche la nostra salute, direttamente ed indirettamente, è stata condizionata in peggio.
“Bombe” chimiche per forzare la natura
I tre elementi chimici principali che caratterizzano tutte le cellule vegetali dei nostri alimenti sono: l’azoto (che ne determina il numero e la dimensione), il fosforo (che caratterizza lo spessore della membrana e la “robustezza” della cellula) e il potassio (che ne determina in buona parte la qualità organolettica).
Ma in presenza di azoto solubile, le radici di una pianta si comportano esattamente come facciamo noi dopo aver fatto una corsa in una calda giornata d’estate: apriamo il frigorifero di casa e trangugiamo d’un sol fiato la prima bevanda fresca che ci capita a tiro, fino a quando sentiamo lo stomaco pieno. L’azoto distribuito nei terreni in grandi quantità determina lo stesso effetto nelle piante. In presenza di acqua, le radici ne assorbono il più possibile, facendo ingrossare le cellule vegetali a scapito degli altri elementi nutritivi, sballandone gli equilibri. Quando acquistiamo una bella (visivamente) pianta di insalata che però il giorno dopo si “ammoscia”, delle fragole dal sapore incerto e che resistono in frigo al massimo due giorni, dei peperoni senza alcun profumo, dobbiamo sapere che con molta probabilità si tratta di alimenti che sono stati “forzati” nella loro alimentazione. Li hanno “dopati”, per intenderci, con “bombe” chimiche.
Ecco perché frutta e verdura non durano
Il tutto tenendo presente che, ad esempio, normalmente una pianta di insalata è già fatta di per sé al 92% di acqua. Così si capisce perché siamo spesso costretti a buttar via del cibo ormai guasto: è gonfiato, però non ha vera sostanza. Ma non basta. Non possedendo più lo stesso equilibrio nella composizione biochimica complessiva, gli alimenti coltivati in questo modo risultano poveri soprattutto di tutti quei microelementi che danno gusto e profumo alla frutta e alla verdura; viceversa risultano abbondanti di nitrati e ammoniaca (cioè azoto), che possono dare origine a pericolosi composti nel nostro organismo.
I Rischi per la salute
L’azoto nitrico in eccesso, infatti, non potendosi legare in forma di amminoacidi e di proteine, può dar origine a composti anomali, le cosiddette “nitrosammine”, che hanno una provata azione cancerogena. E purtroppo la legislazione ancora non è molto chiara su questo aspetto. Ma anche la comunità scientifica, rispetto ai cosiddetti pesticidi residuati che si trovano nei nostri alimenti, appare alquanto disattenta. Per non parlare poi degli o.g.m. (organismi geneticamente modificati), prospettati come l’unica soluzione per risolvere il problema della fame nel mondo, attraverso sementi brevettate dalle multinazionali. Ma non è vero: in India, ad esempio, negli anni scorsi i contadini si sono indebitati per acquistare i semi ibridi – che generano piante che non danno semi riproduttivi – e i costosi fertilizzanti, magari prodotti dalle stesse ditte che creano così un feroce circolo di dipendenza. E spesso i poveri agricoltori indiani, dopo essersi indebitati fino al collo, hanno scelto il suicidio. Ma le cose nel frattempo stanno cambiando, e di parecchio!
Il biologico dà sapore e rende di più
Da oltre dieci anni uno studio di un istituto di ricerca americano (il Rodale Institute di Kutztown in Pennsylvania), che si occupa proprio di analisi scientifiche sul legame tra salute del suolo e salute umana, ha dimostrato che l’approccio scientifico e produttivo dell’agricoltura biologica – cioè senza far ricorso a prodotti chimici di sintesi – può offrire qualità, sapore, salute e prezzi accessibili a tutta la popolazione. Anzi, tale approccio è immediatamente utilizzabile in tutto il mondo per migliorare i rendimenti quantitativi delle colture.
I risultati sono stati ottenuti studiando i processi produttivi di 286 aziende (anche di piccole dimensioni) sparse in 57 Paesi diversi di tutto il mondo. Con il metodo dell’agricoltura biologica gli agricoltori hanno aumentato le loro rese produttive in media del 79%, con un netto miglioramento anche rispetto ai problemi dell’erosione del suolo, dell’assimilazione equilibrata dei nutrienti e, in generale, della struttura fisica del terreno.
Il bio può sfamare tutti
Lo studio americano, citato anche nel programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), ha rilevato che non solo l’agricoltura biologica può sfamare il mondo, ma soprattutto che può essere l’unico modo con cui siamo in grado di risolvere questo crescente problema, perché è l’unico eco-sostenibile. Altro che o.g.m.! Il documento lancia una “sfida al mito popolare che l’agricoltura biologica non può aumentare la produttività agricola”. In particolare, l’approfondimento di 114 progetti riferiti a 24 Paesi africani (tra cui c’è un importante progetto in corso nella martoriata zona del Darfur in Africa), esattamente come previsto dal programma delle Nazioni Unite, ha verificato che si è determinato un aumento delle rese produttive in qualche caso anche di più del 100%.
Il bio riduce moltissimo i rifiuti
Per gli addetti ai lavori ciò non è affatto sorprendente: l’agricoltura biologica, oltre a non fare uso di prodotti chimici, basa le sue tecniche produttive sull’aumento della fertilità dei terreni – senza dipendere dal petrolio e da sostanze tossiche – con sistematiche produzioni di sostanza organica (cosiddetta “concimazione verde”).
Ma fondamentale è anche l’apporto di sostanza organica “recuperata”. Come il compost, quel terriccio di qualità che si ottiene dalla frazione umida della nostra raccolta differenziata dei rifiuti, cioè gli scarti alimentari, le potature, ecc. Un motivo in più per chiedere ai nostri Sindaci e contribuire noi stessi che venga fatta bene.
Il bio abbassa i prezzi
La cosiddetta agricoltura convenzionale chimica dipende dal petrolio e da costosi processi produttivi (vedi l’urea agricola, cioè l’azoto, che si estrae dall’aria a temperature elevatissime): é proprio da questi processi che deriva la maggior parte dei fertilizzanti e dei medicinali agricoli (i cosiddetti fitosanitari). Dunque è un’agricolturA legata all’andamento dei prezzi dell’oro nero in borsa e il famoso barile, anche se indirettamente, fa scendere o salire i prezzi di frutta e verdura. Invece l’agricoltura biologica è basata su tecniche rinnovabili con le risorse naturali. Ad esempio alcune leguminose fissano l’azoto in modo naturale nel terreno: seminando il favino e veccia, in un ettaro si ottiene la stessa quantità di azoto che danno 2,5 tonnellate di fertilizzante chimico. Ma ad un costo quattro volte inferiore. E questa convenienza è destinata a crescere nel tempo, ma mano che si esauriranno i giacimenti petroliferi. Quindi, calando i costi di produzione, di fatto la bio-agricoltura può vendere i prodotti a minor prezzo. Semmai, eventuali costi aggiuntivi sono dovuti a chi ne cura la distribuzione e ai lunghi viaggi che spesso devono fare le merci. Ma anche quì c’è già l’alternativa: gli acquisti bio direttamente dai produttori locali, quindi a chilometri zero e possibilmente senza imballaggi che producono rifiuti non riciclabili.
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