Parliamo di scienziati di parte che usano il loro titoli accademici per insinuare dubbi sulle nostre scelte. Quello alimentare, in particolare sugli OGM (Organismi Geneticamente Modificati), è sicuramente settore più praticato per questo tipo di disinformazione con argomenti del genere: i cibi biologici non sono veramente più nutrienti di quelli tradizionali prodotti con i pesticidi; pensare che la fame nel mondo può essere risolta con l’agricoltura biologica è pura utopia; anche le produzioni eco-compatibili usano prodotti che sono dannosi per l’ambiente e la nostra salute (leggi: Montagne di soldi rubati all’agricoltura sostenibile’). E poi: il caffè fa bene o fa male alla nostra salute? E la cioccolata, ci fa veramente ingrassare come spesso si sente dire in giro? Che dire inoltre della generica indicazione di mangiare tanta frutta e verdura ogni giorno, “perché ricca di fibre”, anche se abbiamo a che fare con ulcere o gravi problemi di digestione? Sono tutte domande che ci poniamo, spesso inconsciamente, quando ascoltiamo notizie di ricerche scientifiche o affermazioni di esperti che dicono l’esatto contrario di quanto affermato da altri. Di solito restiamo spaesati, con un senso di fastidio che ci fa venir voglia di non dar retta a nessuno: un po’ come avviene con le sistematiche e odiose risse televisive tra i politici, che contemplano solo il proprio punto di vista. In Italia abbiamo un consistente numero di soggetti specializzati nell’usare il loro ruolo professionale per smentire acquisizioni scientificamente già largamente provate. In questo paese, ma anche nel resto del mondo, questi soggetti spesso li fanno diventare Ministri della Salute e/o parlamentari. Quest’ultimo è il caso di una biologa nominata anni fa senatrice a vita (all’età di 51 anni e non si sa bene per quali meriti scientifici), che interviene sistematicamente sui giornali nazionali per dimostrare quanto sono belli, buoni e puliti gli OGM e viceversa quanto è sporca, brutta e cattiva l’agricoltura biologica, anche se probabilmente non ha mai usato una zappa in vita sua. L’ultimo articolo da lei scritto sostanzialmente dice che i suoi colleghi senatori (divenuti tali perché scelti dai cittadini con il voto), sono dei pazzi a voler introdurre degli incentivi statali che favorisca la transizione delle aziende proprio all’agricoltura biologica.
Soprattutto in questo periodo di pandemia l’affidabilità di ciò che ci trasmettono gli organi di informazione, è un problema che sta diventando sempre più grave e d’attualità. Non riguarda solo le notizie sulla nostra salute, ma interessa ormai l’intero sistema della comunicazione. È un problema che, secondo l’opinione di molti analisti – uno per tutti il celebre teorico delle comunicazioni americano Noam Chomsky (nella foto qui sotto) – è causato dalla tendenza sempre più diffusa del mondo dell’informazione a non controllare più l’autenticità e l’autorevolezza delle notizie che si danno ai cittadini. In sostanza, si riferisce ciò che hanno scritto e detto altri, senza alcuna verifica dell’attendibilità della fonte, presupponendo che questi altri lo abbiano già fatto di loro iniziativa, mentre in realtà non è così. Soprattutto nel sistema televisivo si bada ormai solo al sensazionalismo e al clamore che tali informazioni potrebbero determinare tra i telespettatori, perché questo aumenta gli ascolti e gli introiti pubblicitari; con la conseguenza, spesso voluta, di aumentare la nostra incertezza e la nostra sfiducia verso il mondo della comunicazione nel suo complesso. Il sito dove vi trovate è nato anche per questo. Purtroppo ormai anche gli scienziati e gli esperti (o presunti tali) ce la stanno mettendo tutta per amplificare queste sensazioni poco gradevoli. La vicenda che illustriamo qui di seguito, che riguarda proprio le affermazioni sui cibi biologici che abbiamo indicato all’inizio, oltre a chiarire perché parliamo di incertezza “voluta”, ci aiuta a capire come possono essere travisate informazioni sullo stesso argomento. Informazioni che già di per sé erano partite male, non avendo i divulgatori evidenziato aspetti fondamentali riguardanti la fonte, pur arrivando poi a conclusioni molto perentorie.
Nel luglio del 2014 è apparso sulla prestigiosa rivista scientifica inglese The British Journal of Nutrition uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Newcastle, guidati dal professore e agronomo inglese Carlo Leifert. La ricerca aveva confrontato 343 studi realizzati in tutto il mondo che avevano a loro volta messo a confronto gli alimenti biologici con quelli convenzionali. Il risultato è stato chiarissimo: avendo i prodotti biologici molti meno residui di trattamenti antiparassitari e risultando più ricchi di sostanze antiossidanti (acidi fenolici, flavonoidi e antociani), vuol dire che chi mangia questi cibi può assumere giornalmente meno frutta, verdura e cereali in quanto più sani di quelli convenzionali. Oltretutto, mangiandone di meno, si pareggia anche il relativo maggior costo del biologico. Questa ricerca in sostanza smentiva alla radice due precedenti studi, rilanciati con clamore dai mass media. Uno è stato condotto dall’Università americana di Stanford nel 2012 e l’altro dalla Food Standards Agency inglese del 2009. Entrambi non avevano riscontrato differenze nutrizionali tra gli alimenti bio e quelli convenzionali. Tali studi in particolare sostenevano nelle conclusioni che la salute pubblica sarebbe stata garantita meglio convincendo la gente a mangiare più frutta e verdura, piuttosto che stare lì a guardare quali metodi di coltivazione, biologico o non biologico, vengono adottati dagli agricoltori. Queste due ricerche quindi sono state smentite da quella successiva effettuata dal team del prof. Leifert.
Anche se ci siamo fatti un’idea, non spetta a noi stabilire quale tra le due posizioni abbia ragione, ma ci preme sottolineare tre aspetti connessi al “vizio”, ormai planetario, di non controllare la fonte di informazioni molto importanti per la qualità della nostra vita e che incidono notevolmente sull’economia e possono danneggiare interi settori produttivi. Il primo riguarda l’enorme sproporzione di spazio e di contenuti che il sistema informativo globale ha riservato all’uscita delle tre ricerche.
A quelle realizzate dalla Stanford University e dalla Food Standards Agency – le cui conclusioni erano che non vi è nessuna differenza nutrizionale tra bio e non bio – soprattutto i principali quotidiani nazionali, in particolare quelli legati a gruppi imprenditoriali che, specie in Italia, hanno forti interessi nella sanità, hanno riservato intere pagine dei giornali con titoli a caratteri cubitali: la notizia “clamorosa” è stata poi rilanciata e amplificata dai soliti codazzi televisivi. Della successiva ricerca condotta dal team del Prof. Leifert invece (conclusione: le differenze ci sono e pure molto significative) se ne sono occupate solo le riviste salutistiche e le pubblicazioni del settore agricolo. In sostanza: due pesi, due misure.
Il secondo aspetto riguarda il fatto che queste ricerche, senza distinzione, risultano “inquinate” da pregiudizi di fondo che interessano coloro che le hanno condotte. La ricerca del Prof. Leifert infatti è stata finanziata dall’Unione Europea e da un’associazione che si occupa della valorizzazione dei prodotti biologici, mentre quella della Stanford University, ad esempio, è stata condotta da alcuni ricercatori che sono risultati iscritti ad un istituto “scientifico”, finanziato principalmente dalle multinazionali dei prodotti chimici per l’agricoltura e degli organismi geneticamente modificati.
Il terzo aspetto, altrettanto importante quanto i precedenti, è relativo a questo tipo di ricerche. Si tratta infatti di “meta-studi”, cioè di ricerche fatte a tavolino e per mezzo di computer sui risultati, a cui sono pervenute altre indagini. Sono cioè complesse analisi di dati già acquisiti, mentre la tendenza dei nostri media è di spacciarle come veri e propri esperimenti scientifici.
Questi studi – che abbiamo consultato integralmente – in pratica cercano di confermare una tesi iniziale che non è detto sia poi dimostrata. Il fatto che due ricerche non hanno trovato differenze nutrizionali tra i cibi biologici e quelli convenzionali, non dimostra che queste differenze non ci siano, ma semplicemente che non sono state trovate. Bisogna quindi capire come, dove e se sono state cercate tali differenze. A tal proposito, come ultimo esempio, verso la fine della ricerca condotta dalla Stanford University, i ricercatori affermano categoricamente che “… tra le mele biologiche e le mele convenzionali non sono state rilevate differenze di residui di pesticidi una volta sbucciate”. Ma và! E dove altro si dovevano cercare i residui dei pesticidi? Poi stai fresco a smentire una fonte così autorevole che proviene dall’inarrivabile mondo della Scienza.
Il lettore e il consumatore è avvertito: sull’informazione e su certa ricerca è bene vedere cosa c’è dietro, o meglio, sotto la buccia! Leggi anche: Perché i cibi non hanno più il sapore di una volta. Ma ormai non è solo la nostra alimentazione ad essere sotto attacco della disinformazione.
In occasione del vertice mondiale sul clima, che si è tenuto a Parigi nel mese di dicembre 2015, l’organizzazione ambientalista Greenpeace ha voluto verificare l’attendibilità di alcuni studiosi che vi avrebbero preso parte. Alcuni attivisti si sono spacciati come manager di importanti lobby nel settore del carbone e delle altre fonti fossili, dichiarandosi disponibili a pagare articoli e pubblicazioni critiche sugli effetti di tali fonti sul clima del pianeta. La maggior parte degli scienziati abbordati con simili proposte ha accettato: alcuni hanno anche fornito un “listino prezzi”! Per poter consultare le ricerche descritte sopra, oltre al tempo e alla pazienza per la traduzione, noi abbiamo preferito acquistare on-line le ricerche della Stanford University e della Food Standard Agency (quella del Prof. Leifert è disponibile gratis su Internet). Abbiamo pagato quasi 50 euro per ottenere in tutto 12 pagine piene di diagrammi e simboli di elementi chimici. Gli stessi ricercatori quasi chiedono scusa ai lettori per l’eterogeneità e indeterminatezza dell’analisi, ma nonostante ciò, pur in presenza di un campione di ricerche molto limitato, arrivano alla conclusione che non è stata trovata una differenza nutrizionale tra i prodotti biologici e quelli convenzionali. Lecito supporre che non avessero alcun interesse a trovarla.
Comunque sia, nella nostra azienda agricola una zappa è sempre disponibile per chiunque …