L’idea di difendere e valorizzare i beni comuni rappresenta allo stesso tempo un modo diverso di stare al mondo e quello per l’acqua pubblica è il più importante di tutti. Questi beni già oggi, e sempre più nel futuro, rappresentano anche una nuova narrativa, una diversa visione dell’emancipazioni da tutti i guai che stanno caratterizzando la nostra epoca e di conseguenza costituiscono un nuovo modo di fare politica. E’ ancora un modo non del tutto definito, ma che sta diventando sempre più influente e decisivo nel superamento del dualismo tra Mercato e Stato che ha portato al limite del disastro planetario. Negli ultimi quarant’anni è stato fatto credere all’opinione pubblica che i servizi efficienti, di qualità ed economici potessero essere forniti al meglio affidando tutto al settore privato. Persino nella fornitura di energia agli asili nido e nella gestione dei cimiteri le amministrazioni locali sono state invogliate a concedere ai privati i servizi relativi ai bisogni primari dei suoi cittadini. Ogni volta questo è avvenuto con le promesse di prezzi accessibili, trasparenza delle tariffe, migliore qualità del servizio ed efficienza del sistema. Soprattutto i Comuni sono stati invogliati a liberarsi di quelli che consideravano dei veri e propri “pesi” per il bilancio e l’organizzazione amministrativa complessiva. Cedendo il servizio di fatto la politica si è auto-consegnata come ostaggio nelle mani dei privati che hanno potuto avere campo libero e imporre le loro condizioni. Subentrando nella gestione, le società private in questo modo hanno avuto modo di perseguire facilmente l’unico obiettivo per le quali sono state create e che devono raggiungere ogni anno: fare profitti a tutti i costi. Solo recentemente si è scoperto che questo obiettivo raramente (diciamo pure mai) coincide con la necessità di fornire servizi equi, efficaci, efficienti e garantiti ad un livello minimo a tutti i cittadini, anche a quelli in difficoltà economica. Dopo quattro decenni di privatizzazioni, oggi stiamo assistendo a repentini capovolgimenti di fronte, in particolare nel settore idrico. Ad un ritmo sempre più crescente le città di tutto il mondo stanno “rimunicipalizzando” i loro servizi idrici riportandoli sotto il controllo pubblico. Rispetto a questa tendenza le resistenze delle società private si stanno facendo sempre più forti, soprattutto sul fronte legale, con infinite cause giudiziarie: cause che comportano dei costi (per gli avvocati in particolare) che spesso i Comuni non possono permettersi.
Le austerità imposte dalla pandemia hanno ulteriormente messo in difficoltà le amministrazioni che intendono ri-municipalizzare i loro servizi, ma la tendenza allo stato attuale è solo rallentata e non di certo arrestata. Il perché è abbastanza semplice da spiegare per due ragioni: 1) l’obiettivo dei privati di realizzare profitti è incompatibile con il bene comune; 2) con i servizi pubblici è molto facile fare profitti perché è facile toglierli a chi non paga. Come spiega uno dei massimi esperti del settore, l’americano David Bollier: “L’idea dei beni comuni si riferisce a qualcosa di più della semplice terra. Può significare spazi digitali, può significare spazi urbani, può significare spazi sociali. Si riferisce a un regime di autogoverno e di gestione delle risorse condivise. Un bene comune non è solo la risorsa, come molti economisti sembrano pensare. Non si tratta solo di ‘risorse non possedute’ da un Mercato o da uno Stato: è la risorsa più la comunità che la governa, più un insieme di regole o protocolli che ne regolano l’uso.” Per tali ragioni l’acqua (in quanto elemento indispensabile per la vita di ogni essere vivente) e il servizio idrico nel suo complesso, rappresentano e rappresenteranno sempre di più il punto avanzato di un modo alternativo e coinvolgente di concepire e di fare politica. Ci affidiamo come sempre ad un esempio che mai come in questo caso rappresenta una soluzione efficace, concreta ed immediata ai cambiamenti climatici in corso, anche se viene attuata da migliaia di anni.
Nello stato USA del New Mexico, dove sono presenti grandi aree desertiche, esiste ancora oggi e funziona benissimo un’antica tradizione dei popoli nativi nella gestione delle risorse idriche. Per questi popoli le risorse naturali, il territorio e il paesaggio hanno un potere spirituale. Per la loro cultura tradizionale i luoghi non sono considerati solo un posto dove vivere, ma un modo di vivere quei luoghi, anche se sono costituiti da aree desertiche, da montagne rocciose o da sconfinate foreste. Per questo i nativi del New Mexico, da oltre 10.000 anni, hanno sviluppato dei sistemi di irrigazione comunitaria che sostengono allo stesso tempo l’agricoltura locale e tutti gli altri esseri viventi. I sistemi di irrigazione comunitaria si chiamano “Acequias” e vengono governati attraverso un Sindaco (Watermaster) e da un consiglio dei componenti/utilizzatori dei sistemi stessi. Periodicamente vengono predisposti dei piani di distribuzione collettiva dell’acqua disponibile che includono anche i periodi di scarsità. Essendo considerata ogni goccia d’acqua un bene comune, contrariamente a quanto avviene nei paesi occidentali più industrializzati, questi sistemi riducono al minimo minimo, fino ad eliminarle del tutto, le dispersioni della rete di distribuzione. In primavera si effettua la pulizia e la riparazione della cosiddetta “acquiea madre”, il canale di irrigazione principale, al quale sono collegati i vari appezzamenti di terreno degli agricoltori. Gli stessi agricoltori devono garantire la disponibilità di una persona della famiglia, preferibilmente di genere maschile in età lavorativa, per eseguire i lavori di pulizia e riparazione. In questo modo non si deve ricorrere a manutenzioni esterne e alle relative spese. Rappresentando l’acqua un diritto universale, il sistema “Acequias” viene applicato anche per la risoluzione di altri conflitti politici. Una volta attivata la fornitura attraverso il canale principale pulito e riparato, il Sindaco va a monitora l’uso dell’acqua per l’irrigazione da parte di ciascun membro dell’acequia.
Ad ogni membro viene assegnato un tempo specifico ogni settimana per irrigare il sui campi. Se qualcuno usa l’acqua senza il suo permesso viene severamente punito con l’interruzione della fornitura. E se durante l’anno l’acequia madre era stata violata, anche per motivi accidentali il Sindaco chiede a tutti gli agricoltori di aiutare a ripararla. Prima che civico questo viene considerato come un dovere sacro. Il Sindaco pertanto rappresenta l’autorità suprema della comunità, in particolar modo nei periodi di siccità. Egli adotta le sue decisioni definitive una volta ascoltati tutti i componenti del consiglio uno per uno. Il sistema politico in sostanza è a tutti gli effetti un processo civile che deve garantire a tutti l’accesso all’acqua, anche quando non piove da molto tempo. Il bene comune quindi prevale sempre sull’interesse privato (e sul relativo profitto). Per questo non esistono la corruzione, i voti di scambio e tutte quelle altre forme di malaffare che hanno accompagnato e continuano ad accompagnare le privatizzazioni in tutto il mondo. Il concetto di bene comune diventa in questo modo parte integrante della visione del mondo, dove l’interesse collettivo prevale sempre su quello del singolo individuo. E diventa anche un modo diverso di fare politica basato sulla cooperazione e la gestione comunitaria: un modello guida già disponibile proprio nel momento in cui dobbiamo prendere decisioni efficaci, veloci e definitive contro i cambiamenti climatici.
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