Gli analisti di Wall Street hanno stimato che il vaccino contro il Covid 19 frutterà alle prime due aziende che lo stanno commercializzando, Pfizer e Moderna, 32 miliardi di dollari nel solo 2021. Una cifra superiore al Prodotto Interno Lordo annuale del Congo, ricchissimo di materie prime essenziali per la nostra economia, e quattro volte maggiore del PIL del Burundi: lo stato africano considerato tra i più poveri al mondo, dove il reddito medio degli abitanti è di 721 dollari l’anno (meno di due dollari al giorno) e dove due persone su tre sopravvivono sotto la soglia della povertà.
La questione non è soltanto di carattere etico e morale, perché in un’economia come la nostra le aziende hanno il diritto di guadagnare dagli investimenti effettuati nella ricerca. Il problema è stabilire quanto, perché alla storiella che il prezzo lo stabilisce il libero mercato ormai non crede più nessuno. E’ dunque un problema politico che scatta sempre nel momento in cui i prezzi dei farmaci, soprattutto quelli essenziali, e i relativi guadagni per le aziende (come nel caso del vaccino Covid 19), si distanziano enormemente dai costi sostenuti per la ricerca. In particolar modo quando questi prezzi determinano la violazione dei diritti umani per il miglior accesso possibile alle cure e alle medicine che garantiscono la salute.
Da queste considerazioni è nata circa trenta anni fa, non a caso in Germania, un’organizzazione, BUKO Pharma (acronimo di Bundeskoordination Internationalismus – la cui sede di Bielefeld si vede nella foto qui a destra), che lancia sistematicamente delle sfide a “Big Pharma”, il cartello delle multinazionali chimico-farmaceutiche che ha molte diramazioni ed interessi anche nel mondo dell’agricoltura. Un cartello che proprio in Germania ha la massima concentrazione di affari economico-finanziari e dove in passato, fino al 1968, non esistevano i brevetti sui farmaci.
Tutto è nato nel 1981 con la campagna contro le pratiche scorrette e illegali delle industrie farmaceutiche nei paesi del terzo mondo. Una campagna, particolare importante, partita a seguito delle segnalazioni effettuate proprio dai lavoratori delle medesime industrie che avevano deciso di seguire la propria coscienza e non far finta di niente. Da allora sono nate una serie di iniziative analoghe, sempre portate avanti anche con azioni divertenti e pungenti, per sensibilizzare l’opinione pubblica e i decisori politici al fine di eliminare queste pratiche. Le iniziative venivano e vengono tutt’oggi realizzate ogni volta, in primo luogo con il teatro di strada (il gruppo si chiama “Schluck & weg” – ingoia e vai) che utilizza l’umorismo nero, dialoghi bizzarri, costumi curiosi e altre stranezze per mettere alla berlina le pratiche e i prodotti senza senso che la grandi multinazionali tedesche vendevano e vendono ai paesi poveri del mondo ottenendone grandi guadagni, spesso con l’inganno. Le rappresentazioni riguardano infatti anche il marketing non etico, i prezzi elevati dei farmaci e le conseguenze per la salute globale. I luoghi scelti per le rappresentazioni sono sempre zone pedonali, spazi pubblici chiusi e all’aperto o cortili scolastici. Le iniziative poi sono sviluppate con materiali informativi, incontri, seminari e, ovviamente, anche con i social network. La campagna che ha avuto il maggior impatto e che è ancora in corso è sicuramente quella sui prezzi altissimi che venivano applicati nei paesi africani sui farmaci antivirali per il contrasto al virus HIV e alla diffusione dell’AIDS. Lo stesso rischio che si ripresenta ora con il coronavirus.
BUKO Pharma è stato socio fondatore dell’organizzazione Health Action International, una rete mondiale che oggi è impegnata per una politica farmaceutica equa e razionale in oltre 70 paesi in tutto il mondo. Dalla sua esperienza è stata lanciata nei mesi scorsi da molte organizzazioni umanitarie, in particolare People’s Health Movement, la campagna “Unfair Patent System VS. Global Solidarity” (Contro i brevetti che uccidono. Solidarietà globale), rilanciata in Italia da Medicina Democratica.
In sostanza la campagna chiede che, proprio alla luce della pandemia in corso, tutti i prodotti farmaceutici, a cominciare dal vaccino per Covid 19, siano considerati e trattati come beni pubblici essenziali. Mentre il potere delle aziende farmaceutiche dovrebbe essere limitato all’interesse pubblico, con un adeguato ma equo compenso per gli investimenti sostenuti nella ricerca. In sostanza, evitare di abbinare alla pandemia il solito business fatto sulla pelle dei più deboli e sui poveri.
Utopia? No. Lo ha spiegato la dottoressa Anne Jung, portavoce dell’organizzazione “Medico Internazionale” promotrice della campagna, rispondendo alle domande della Fondazione Rosa Luxemburg della Germania. Queste le sue ragioni.
Primo: perché è la politica che deve dimostrare come riuscirà a garantire, proprio in questa drammatica situazione, il diritto umano al miglior accesso possibile alla salute, facendo in modo che a tutti venga fornito equamente il vaccino. Secondo: esiste a livello internazionale il meccanismo delle compensazioni commerciali sulle materie prime depredate dai paesi ricchi ai paesi poveri che può permettere di garantire questo diritto. Terzo: l’esperienza di BUKO Pharma ha dimostrato che i brevetti non sono il motore più importante del progresso medico, come spesso sostiene l’industria farmaceutica, che invece bada solo a mantenere prezzi elevati (lo ha dimostrato l’esperienza HIV-AIDS). Quarto: ogni anno milioni di persone continuano a morire di malattie facilmente prevenibili come la tubercolosi, il diabete o la malaria e non è di certo questa la strada per eradicare il Covid 19 nel mondo. Quinto: si deve interrompere prima o poi il ciclo con il quali i profitti vengono privatizzati e i rischi socializzati, attuando una politica sanitaria globale più funzionale basata sui principi dei diritti umani e sui beni pubblici essenziali/globali. Sesto: gli esempi in tal senso già ci sono: “Puoi brevettare il sole?” si era chiesto Albert Sabin, lo scopritore del vaccino contro la poliomielite, una malattia altamente virale, quando annunciò la sua scoperta al mondo.
La scoperta giusta aggiungiamo noi, perché precedentemente era stato messo a punto da altri ricercatori un vaccino che sembrava efficace contro la stessa malattia, ma poi, quando fu effettuata la somministrazione ai pazienti, ci furono molte morti e il vaccino venne ritirato. La scoperta di Sabin consisteva nell’utilizzare lo stesso virus della poliomielite attenuandone però la capacità di provocare i suoi effetti sul sistema nervoso delle persone colpite. Qualcosa che assomiglia molto all’odierna medicina omeopatica. Sabin non brevettò mai la sua scoperta, rinunciando così alle laute proposte delle industrie farmaceutiche e continuando a vivere con il suo stipendio di professore universitario prima e di pensionato poi. Per questo è conosciuto come l’uomo che ha regalato all’umanità la sua scoperta con la sua zolletta di zucchero. In sostanza, quel vaccino non fece guadagnare al suo scopritore neanche un dollaro. Oggi la poliomielite è quasi definitivamente debellata dal nostro pianeta.