Puntare all’obiettivo “rifiuti zero” vuol dire creare 200 volte più posti di lavoro delle discariche e degli inceneritori. Ci è voluto molto a dimostrarlo (lo sosteneva già 40 anni fa l’economista americano Barry Commoner) ma è definitivamente dimostrato che proprio lo spreco delle risorse naturali, lo stesso “suicidio” ecologico che alimenta i cambiamenti climatici in corso, sta distruggendo anche il futuro occupazionale dei nostri giovani (vedi: Fatti per rompersi e Punti premio per i prodotti che si rompono di meno). Questo dato di fatto è la conclusione alla quale è pervenuto il nuovo rapporto della Global Anti Incineration Alliance (GAIA – nella foto di apertura i loro attivisti) che rappresenta una vera e propria un’alleanza mondiale di oltre 800 gruppi di base, organizzazioni non governative e individui attivi in oltre 90 paesi del globo. L’organizzazione ha sede a Berkeley, in California, ed ha già prodotto una serie di rapporti, proprio in questo periodo di pandemia, che dimostrano la grande portata “includente” della filosofia chiamata Rifiuti Zero: cioè l’esatto contrario dell’economia escludente basata sulla produzione di tanti rifiuti destinati ad essere abbandonati e smaltiti da qualche parte, più o meno lecitamente. In sostanza questa organizzazione ha calcolato in 16 distinte nazioni i potenziali impatti economici e occupazionali che la mancata produzione di rifiuti e il loro sistematico riciclaggio potrebbero avere sui lavoratori e sulle imprese del settore, sulle comunità locali e sul clima nel suo complesso. Prendendo a campione i dati della raccolta nelle città dove è stata già raggiunta la quota dell’80% di raccolta differenziata, è venuto fuori che solo in questi paesi possono essere creati quasi 3 milioni di posti di lavoro in più rispetto alla situazione attuale. Il che equivale a dire che soprattutto nelle grandi città, le stesse che ancora oggi debbono ricorrere alle discariche e agli inceneritori per smaltire i loro rifiuti, potrebbero dare lavoro a migliaia di giovani con la transizione a Rifiuti Zero. Questi dati inoltre risultano particolarmente importanti proprio in questo momento, visto l’aggravamento della crisi a causa della pandemia COVID 19 che sta colpendo tutti settori produttivi, in particolare nei servizi pubblici obbligatori.
Usando la formula sviluppata da Brenda Platt dell’Institute for Local Self-Reliance, l’organizzazione ha calcolato quanti posti di lavoro si creerebbero ogni 10.000 tonnellate di materiali separati con la raccolta differenziata, confrontandoli con i dati occupazionali attuali nelle città dove i rifiuti si raccolgono ancora in modo indifferenziato. I dati dimostrano che ricorrendo alle discariche e agli inceneritori per smaltire 10mila tonnellate di rifiuti indifferenziati si creano poco meno di 2 posti di lavoro (1,8 per la precisione), mentre nelle città virtuose,gli addetti nel settore sono aumentati esponenzialmente. In particolare: il riutilizzo ha creato quasi 200 volte posti di lavoro in più, il riciclaggio un aumento maggiore di 60 volte e la per riparazione /ri-fabbricazione dei beni durevoli andati fuori uso l’incremento è stato di quasi 30 volte. Le principali città campionate sono state: Canberra (Australia), Capannori (Italia), Fort Bonifacio, San Fernando e Taguig (Filippine), Kamikatsu (Giappone), San Francisco (USA), e Toronto (Canada). Rilevante si è dimostrato anche l’impatto di Rifiuti Zero sui salari di questi lavoratori, che i tutti i paesi analizzati (inclusi quelli più poveri) hanno evidenziato un innalzamento e un miglioramento del loro tenore di vita.
Da sapere c’è anche il fatto che GAIA non è arrivata per caso a queste conclusioni, in quanto da anni aiuta le comunità locali a contrastare la realizzazione nei singoli paesi di nuove discariche, inceneritori e cementifici che usano i rifiuti come combustibile. In Australia, ad esempio, i gruppi locali sostenuti dall’organizzazione hanno impedito negli ultimi 20 anni la realizzazione di ogni progetto di inceneritore, nonostante le numerose proposte presentate dalle lobby del settore e le tante minacce politiche ricevute. Al contrario sono stati promossi e praticati invece modelli sostenibili con il medesimo concetto di prevenire la produzione e comunque riciclare i rifiuti, responsabilizzando allo stesso tempo le comunità sia per difendersi (anche dalle azioni legali), sia per espandere il più possibile la stessa filosofia.
Dunque è dimostrato che gli obiettivi economici non solo possono essere allineati con quelli ambientali, ma anche il fatto che i sistemi a Rifiuti Zero offrono opportunità di lavoro più abbondanti, migliori e più desiderabili. Non a caso questi lavori tendono a utilizzare abilità che vanno oltre il lavoro manuale di base, forniscono salari più alti, offrono posizioni lavorative più premianti e migliorano in generale la qualità della vita anche delle famiglie degli interessati. Questo rapporto infine ha anche un risvolto politico fondamentale, perché il potenziale di creazione di posti di lavoro dei processi a Rifiuti Zero è comparabile e compatibile in tutte le aree geografiche del globo. Non è più esportabile il modello di sviluppo “patacca” che i paesi più sviluppati hanno imposto a tutte le popolazioni del pianeta. I governi di tutto il mondo oggi hanno l’opportunità di beneficiare dell’implementazione delle soluzioni fornite dalla filosofia Rifiuti Zero come una componente fondamentale della loro strategia di recupero economico che si dovrà programmare a seguito della pandemia da Covid 19. Il ritorno alla “normalità” non può più essere semplicemente un ritorno al passato fatto di sprechi e di disoccupazione.
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