E’ di oggi la notizia che la diffusione del coronavirus può essere “aiutata” dall’inquinamento atmosferico. Inquinamento che però non sarebbe direttamente la causa della diffusione, ma lo sarebbe la reazione del sistema immunitario delle persone più esposte. In particolare sarebbe l’attivazione di una proteina, il recettore Ace2, che si attiva spontaneamente per la protezione dalle particelle atmosferiche PM2,5 e che invece diventa un vettore del virus. Lo studio è italiano ed è stato presentato in questi giorni dal Prof. Mauro Minelli, specialista in Immunologia clinica e Allergologia, docente di Igiene generale e applicata dell’Università Pegaso e referente per il Sud Italia della Fondazione per la medicina personalizzata.
Che l’inquinamento avesse qualcosa a che fare con l’emergenza del Covid 19 era molto più di un sospetto. Del resto, le stime prudenziali dell’Unione Europea, proprio all’inizio di quest’anno, parlavano di almeno 412mila morti prematuri (non di vecchiaia) che annualmente vengono causate dalla bassa qualità dell’aria che respirano, mentre altre stime dicono che le morti per questa causa in Europa sono quasi 800mila l’anno. La prestigiosa rivista scientifica “Lancet” a sua volta ha stimato che a livello mondiale ogni anno le morti per inquinamento sono 7 milioni (circa 4,2 milioni solo in India e Cina) e di queste 2,9 milioni sono causate da particolato e particelle sottili. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità lo va dicendo da un sacco di tempo che l’inquinamento atmosferico è uno dei principali fattori di rischio per la salute umana. Non a caso è stata realizzata in passato una fitta rete di monitoraggio per il rilevamento delle polveri, del particolato atmosferico (PM10 e PM2,5) e dei suoi componenti organici e inorganici, soprattutto nelle zone maggiormente interessate dal problema. E si è sempre saputo che proprio il particolato è la causa, oltre che delle morti premature, anche di problemi respiratori e cardiovascolari acuti. Il motivo è molto semplice da spiegare.
Le PM10 e PM2,5 vengono cosi definite perché sono particelle che hanno una dimensione pari o inferiore rispettivamente a 10 e 2,5 micron e per tale motivo non possono essere “filtrate” dai nostri polmoni ed entrano direttamente nel sangue. In questo modo diventano anche un “vettore” che può trasportare, oltre a sostanze cancerogene, anche malattie virali come il Covid 19 che ha la caratteristica, guarda caso, di provocare una polmonite acuta bilaterale che manda in crisi il sistema immunitario umano. Noi non siamo medici, ma ci occupiamo di questioni ambientali da una vita e conoscendo questi dettagli ci vengono spontanee altre due domande. Era veramente cosi difficile immaginare che proprio le persone già malate, anziane e con un sistema auto-immunitario indebolito potevano essere il principale bersaglio del nuovo coronavirus? Era altrettanto difficile considerare che questi “vettori”, potendo passare direttamente dai polmoni di soggetti infettati ai polmoni di persone che vivono negli stessi ambienti (vedi case di riposo per anziani, ad esempio) potevano essere il principale fattore di diffusione del contagio? L’attenzione generale invece è stata rivolta altrove, quasi ci fosse un obbligo di forza maggiore che non prevede alcuna prevenzione e solo cure su cure, ma sempre e solo dopo che ci si è ammalati.
Infatti, non si contano più ormai gli articoli scientifici pubblicati in tutto il mondo sulle cause e sul decorso della pandemia e non passa giorno che non viene annunciata una nuova scoperta, salvo poi fare marcia indietro. Tutta l’attenzione dei mass media è dedicata ormai al “salvifico” vaccino che ci permetterà di sopravvivere e tornare alla nostra normalità. Non abbiamo mai assistito, almeno noi che viviamo in Italia, ad un dibattito ragionato, sereno e pacato che approfondisse queste tematiche e che informasse adeguatamente l’opinione pubblica e i decisori politici. Questo anche se non mancano di certo gli istituti di ricerca e le istituzioni scientifico/sanitarie pubbliche in grado di fornire dati, capacità analitica, infrastrutture di calcolo, modelli e strategie di sorveglianza epidemiologica.
Oggi si scopre, quasi fosse la scoperta dell’acqua calda, che il Covid 19 non ha fatto altro che aggravare una situazione sanitaria e ambientale che è già da troppo tempo fuori controllo, ma invece di attuare le misure concrete per eliminare alla fonte le cause di rischio, si continua ad intervenire solo sui sintomi. Anche in questo caso c’è poco da spiegare: l’organizzazione ambientalista Greenpeace ha calcolato che livello globale, i costi legati all’aria inquinata ammontano a 8 miliardi di dollari al giorno (più di un miliardo per ogni essere umano oggi presente sulla Terra), che corrispondono a 2.900 miliardi all’anno: il 3,3 per cento del PIL mondiale. E questi numeri erano già emersi prima dell’inizio della pandemia, quando l’emergenza dichiarata da tutti era quella dei cambiamenti climatici alla quale è indissolubilmente legato l’inquinamento atmosferico. In ossequio alle parole di Papa Francesco (“Non si può essere sani in un ambiente malato”), lanceremo noi, con prossimi articoli su questo sito, alcune idee per invertire dal basso questo andazzo sempre più pericoloso. La prima si chiamerà “Un bosco in comune” e riguarderà (anche con un video) la possibilità di piantare milioni di alberi in ogni angolo di terreno libero e in un modo relativamente semplice e poco costoso.
Vedi anche su questo sito: Covid 19, cambiamenti climatici e malnutrizione: tre emergenze in una