Nel mondo si stanno spendendo 700 miliardi di dollari all’anno (circa 1,3 milioni al minuto) per i sussidi ad una agricoltura che oggi è la principale causa delle emissioni di gas serra, del disboscamento delle foreste e della distruzione della fauna selvatica. Vuol dire quasi 100 miliardi per ogni abitante della Terra. Tutti gli osservatori sono concordi sul fatto che almeno 1/4 delle emissioni che stanno alterando il nostro clima sono causate dall’agricoltura e dalla zootecnia intensiva, ma c’è un dato molto più grave che, come sempre più spesso accade, pochi organi di informazione hanno evidenziato. Il 99% di questa montagna di soldi va alla produzione di bestiame con alte emissioni, alla distruzione della biodiversità e all’inquinamento dei terreni e delle acque a causa dell’uso eccessivo di fertilizzanti sintetici e pesticidi. Sono soldi pubblici che vanno per realizzare e gestire un modello alimentare fatto di stalle ipertecnologizzate, impianti di macellazione che abbattono migliaia di capi al giorno, produzione di ormoni che ingrossano artificialmente i tessuti animali, trasporti refrigerati con percorsi di migliaia di chilometri, realizzazione di strade rurali in zone disboscate, dighe per approvvigionamento idrico, aerei che spruzzano insetticidi su monocolture industriali, ecc. Solo il restante 1% viene utilizzato a beneficio dell’ambiente, dei produttori e dei consumatori.
Questa sconcertante realtà è stata documentata giusto un anno fa dal prestigioso quotidiano inglese “The Guardian” riportando i dati raccolti in un apposito rapporto dalla Food and Land Use Coalition, un’organizzazione alla quale collaborano numerosi scienziati, gruppi di ricerca e istituzioni di tutto il mondo (ma non la Fondazione “Bill e Melinda Gates”, guarda caso). Si tratta di un lavoro che andrebbe divulgato in tutte le università del mondo perchè ha dimostrato che il costo dei danni attualmente causati dall’agricoltura intensiva è di gran lunga maggiore rispetto al valore del cibo prodotto. Il rapporto infatti, letteralmente, distrugge la leggenda che i sussidi pubblici siano necessari per fornire cibo a buon mercato all’umanità intera e dimostra invece che la produzione di cibo sano e sostenibile ridurrebbe effettivamente i prezzi dei prodotti alimentari, soprattutto perché con queste pratiche le condizioni del terreno migliorano notevolmente. Cosa che l’autore di questo articolo, come del resto ogni agricoltore biologico, ha sperimentato e constatato personalmente con la propria azienda agricola, pur disponendo di un terreno scarsamente produttivo. Complessivamente, afferma il rapporto, il modo dannoso per la salute umana e l’ambiente, nascosto nei bilanci degli Stati e occultato all’opinione pubblica, con il quale si sta producendo cibo a livello globale, causa 12 trilioni di dollari di perdite ogni anno (un trilione equivale a mille miliardi).
Ci sarebbero quindi margini enormi per reindirizzare questi sussidi verso metodi di coltivazione eco-sostenibili. Per l’appunto: l’agricoltura biologica, quella biodinamica e la permacoltura. A questi metodi potrebbero anche essere abbinati interventi per la mitigazione e il contrasto ai cambiamenti climatici con la riforestazione di aree agricole marginali e a rischio idrogeologico (pendii delle montagne, in primo luogo) per la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Con la produzione di carbone verde inoltre, come abbiamo visto in questo articolo (I mestieri di una volta che possono salvare il pianeta: il carbonaio e il contadino), si può ottenere anche il recupero e l’incremento della fertilità dei suoli. A guadagnarne sarebbe anche l’occupazione in agricoltura, le condizioni di vita delle popolazioni più povere e la salute generale di tutte le persone. Altri studi infatti (uno di questi è stato pubblicato proprio all’inizio di quest’anno), hanno dimostrato che riducendo dell’80% la carne rossa consumata dagli europei e dai nordamericani, si ottengono tre enormi vantaggi: 1) abbattere notevolmente i rischi sanitari legati all’obesità e alle malattie cardiovascolari; 2) incrementare le disponibilità alimentari per le persone denutrite e sottoalimentate; 3) destinare il 60% dei terreni attualmente utilizzati per l’alimentazione di animali da carne (un’area grande quanto il Brasile) alla riforestazione, alla protezione della fauna selvatica, alla produzione combinata di cibo ed energia o ad altri scopi. Bisogna sempre ricordare a questo proposito, lo sottolinea il rapporto della Food and Land Use Coalition, che con l’alimentazione del bestiame stiamo utilizzando a livello globale l’83% dei terreni agricoli per produrre appena il 18% delle calorie disponibili.
Viceversa il rapporto sostiene che destinando i sussidi ad una agricoltura sostenibile ci sarebbe un ritorno in termini di ricchezza reale pari a 5,7 trilioni di dollari all’anno: più di 15 volte rispetto agli attuali costi di investimento per l’agricoltura insostenibile, pari a 300-350 miliardi di dollari l’anno. Ciò creerebbe nuove opportunità di investimento e di business per un valore annuale fino a 4,5 trilioni di dollari entro il 2030 (un trilione equivale a mille miliardi).
Il problema quindi è, ancora una volta, soprattutto politico. Come abbiamo visto anche in questi altri due articoli La terra basta per tutti e Agricoltura senza agricoltori: l’ultima tappa della follia umana, è sempre la politica, a maggior ragione in questo periodo di pandemia, che deve decidere da che parte stare e dove indirizzare questi sussidi. Ma, non a caso, anche in questo importantissimo tema sono entrati recentemente in scena personaggi che, rappresentandosi come scienziati, si occupano soprattutto delle scelte politiche che stanno compiendo i vari governi e i parlamenti nazionali e/o comunitari. Sono per lo più docenti universitari che si autoproclamano più scienziati degli altri perché credono in una sorta di irreversibilità del progresso moderno: soprattutto a questo tipo di presunto progresso imposto a tutto il mondo negli ultimi decenni. La loro scienza è di per sé quella vera ed eccezionale, non un semplice contributo (che potrebbe non essere preso in considerazione neanche da un bambino), che viene messo a disposizione del più grande e diffuso processo umano che di volta in volta raccoglie le prove e verifica le ipotesi scientifiche messe in campo. Il progresso scientifico si è realizzato anche grazie al fatto che sono state scartate tantissime ipotesi di ricerca che non portavano da nessuna parte, se non al guadagno di pochi e a discapito del resto dell’umanità. Questi “scienziati” invece si sentono antropologicamente superiori ad altri colleghi ricercatori, alle generazioni di contadini fin qui succedutesi nel tempo e a tutte le diversità culturali millenarie sparse nel mondo che proprio nell’agricoltura hanno accumulato un sapere e una conoscenza pressoché infinita. Sono quelli che sostanzialmente si sono messi in testa che bisogna correggere con gli OGM e altre biotecnologie realizzate in laboratorio, gli imperdonabili difetti e gli errori che la Natura compie ogni santo giorno. Tipo quelli di far marcire tutti i tipi di frutta e ortaggi, dare la possibilità agli stessi vegetali di produrre un sacco di semi inutili, permettere agli insetti di mangiarsi una parte delle nostre coltivazioni, ecc. Il come e perché questi personaggi sono entrati in politica (sarebbe meglio dire che sono stati fatti entrare in politica) lo vedremo nel prossimo articolo su questo sito.
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