E’ possibile monetizzare le quantità di CO2 che ognuno si impegna a risparmiare giornalmente per abbassare la febbre del pianeta e per aiutare l’economia locale? Si, è possibile ed ogni comunità può scegliersi il progetto e la valuta che più gli piace. Questo approfondimento infatti si occupa delle tante idee che in giro per il mondo si stanno sperimentando e attuando per concretizzare questa possibilità attraverso il meccanismo dei crediti di carbonio, cioè soldi in cambio di aria più pulita. Questi crediti infatti vengono emessi ogni volta che si realizza un risparmio nella emissione di gas serra: quando si risparmia sulle bollette elettriche e del gas metano, quando si piantano degli alberi da qualche parte, quando si installano dei pannelli solari e altre attività del genere. Si chiamano “Sistemi valutari basati sulla comunità”, ma per realizzarli, come nelle migliori ricette di cucina, occorrono dei buoni “ingredienti” e mani sapienti che sanno utilizzarli bene. I più importanti di questi “ingredienti” sono tre: una forte coesione sociale dei componenti della comunità; una robusta determinazione nel raggiungere l’obiettivo; la convertibilità della valuta con una moneta nazionale o comunque riconosciuta a livello internazionale. Eccone un paio esempi.
Il progetto Maia Maia è un sistema valutario di riduzione delle emissioni inquinanti, avviato nel 2007 e gestito nella comunità di Perth, nell’Australia occidentale. All’epoca in quel paese il mercato dei crediti di carbonio era ancora all’inizio ma già allora (anche alla luce di come sono poi andate le cose), gli slogan rivolti ai cittadini dai promotori del progetto erano molto forti. In primo luogo, bisognava smetterla di aspettare che fossero solo i politici, con le loro immancabili promesse elettorali a fare qualcosa contro i cambiamenti climatici. Bisognava mettere a punto un sistema per dare un valore economico alla riduzione delle emissioni, incentivando le famiglie e le scuole a misurare le riduzioni, in cambio di sconti sull’acquisto di beni e servizi. Il progetto in sostanza era organizzato per realizzare un “guadagno economico collettivo” attraverso un risparmio di soldi legato alle mancate emissioni. Il progetto era accompagnato da un messaggio politico, altrettanto coinvolgente: “non è vero che non possiamo farci niente e dipende da noi se le cose cambieranno”. Il progetto Maia Maia (la parola degli aborigeni nativi Nyungar che indica la casa propria) si basa su un concetto abbastanza semplice e replicabile ovunque: statisticamente, il denaro speso localmente per l’acquisto di beni di consumo e servizi, tende a rimanere nella stessa zona, mentre della spesa effettuata nelle grandi catene di supermercati, ad esempio, solo il 20% del denaro circolante ritorna alla comunità locale. Dunque, acquistare localmente riduce l’impronta ecologica di qualsiasi bene. Lo schema è molto simile ai punti premio che abbiamo già visto su questo sito con l’articolo: Retribuzioni alternative con le cooperative comunitarie. I componenti della comunità Maia Maia prendono nota per un certo periodo di tempo di quanto hanno speso con le bollette energetiche. Dopo sei mesi devono verificare quanto sono riusciti a risparmiare con le loro azioni positive rivolte alla riduzione del consumo di energia. A quel punto gli aderenti al progetto, contrariamente a quanto si possa immaginare e tenere per se i soldi risparmiati, convertono il risparmio in crediti di carbonio attraverso una moneta complementare locale chiamata Boya: un’altra parola indigena dei Nyungar che sta ad indicare i gettoni di scambio monetario utilizzati da quella comunità aborigena e fatti con un particolare tipo di roccia. Questi gettoni di roccia rappresentano una delle più antiche forme di scambio monetario ancora esistenti al mondo. Un Boya vale 10 chili di riduzione di gas serra che a loro volta equivalgono a 9 dollari australiani. Fin qui è tutto abbastanza semplice ma, come noto, una moneta complementare non funziona se non viene accettata da una larga fascia di economia locale, in particolare dai commercianti. Occorre quindi che anche questi soggetti trovino una loro forma di guadagno nel scambiare questa valuta rispetto a quella corrente.
Ad esempio i titolari di una pizzeria o di un ristorante, che per quanto possano fare, tutti i giorni sono costretti ad emettere delle discrete quantità di carbonio nell’atmosfera, anche volendolo, sanno di poter fare ben poco per abbattere queste emissioni. Qui scatta la valuta alternativa. Possono invece accettare il pagamento in Boya e compensare con i relativi crediti di carbonio le loro emissioni. Il meccanismo fa guadagnare clienti all’attività e quindi anche i concorrenti cominciano ad accettare la moneta complementare locale che cosi può usata anche per scambi commerciali. La valuta a quel punto diventa un “denaro comunitario” che non passa più per le banche (questo è il problema per cui queste iniziative dal basso non vengono fatte decollare dai governi centrali).
Su ogni banconota Boya viene stampato il logo della comunità o del gruppo che lo ha emesso, la quantità di inquinamento da carbonio che è stata ridotta, l’attività intrapresa per ridurlo/compensarlo (riduzioni di bollette, piantumazione di alberi, ecc.) e chi li ha sponsorizzati per aiutarli a coprire i loro costi (la pizzeria, piuttosto che una compagnia aerea). Il 30 gennaio 2011 a Fremantle, nell’Australia occidentale, in occasione di un evento ospitato dall’International Permaculture Service e dalla Gaia Foundation of Western Australia, è stata effettuata la prima emissione di Boya. Successivamente altre emissioni sono state fatte dall’Università del Vermont (USA) e, sempre in Australia, da scuole primarie, organizzazioni senza scopo di lucro e un’associazione di quartiere.
Un altro tipo di valuta per la riduzione delle emissioni di gas serra (chiamata emblematicamente Edogawatt) è stata utilizzata dalla comunità di Edogawa, nella città di Tokyo, per la raccolta di fondi a favore del tempio buddista locale. In questo schema i devoti del tempio hanno acquistato dei pannelli solari che producono una quantità maggiore di energia rispetto al fabbisogno. L’eccesso viene venduto alla società elettrica della capitale giapponese che a sua volta può emettere in questo modo dei certificati dei crediti di carbonio che poi vengono venduti nel mercato internazionale dell’energia prodotta da fonti rinnovabili della Germania. Questi certificati rappresentano il valore di cambio per la valuta complementare usata dai devoti del tempio: ogni certificato vale 30 Edogawatt. Questa moneta alternativa viene usata per pagare piccoli lavori di baby-sitter, trasporto di carichi, traduzioni e altre attività quotidiane ed ha fornito un incentivo per la creazione di una società di mutuo soccorso all’interno della comunità di Tokio.
Il valore di queste valute complementari quindi è dato dai tanti impegni quotidiani assunti e rispettati da ogni individuo della comunità, piuttosto che da regole e leggi dettate dall’alto. Questo valore avrà un impatto vero e sincero, molto più importante degli impegni ufficiali assunti dai governi, per cambiare le nostre società riunite nel contrastare i cambiamenti climatici.