Una mano all’ambiente sta arrivando dalla bellezza e da un settore che non ti aspetti, in cui soprattutto l’Italia eccelle: la moda. Ma anche in tanti altri paesi sta succedendo la stessa cosa. Quelli riportati in questo articolo sono esempi che si stanno sviluppando in tutto il pianeta e sarà sicuramente una strada per il futuro. Nel mondo infatti, anche in questo comparto si cercano nuove soluzioni amiche dell’ecosistema. Nuovi orizzonti si aprono intanto nel made in Italy grazie all’abbinamento di due enormi risorse che in questo paese già ci sono in abbondanza: vino e moda, scarti e nuovi tessuti. Con questi ingredienti è oggi possibile realizzare un cocktail vincente, capace di creare sano e rinnovato business all’insegna dell’economia circolare, quella che si basa sul reimmettere in circolo le risorse di un processo produttivo, anziché sull’insostenibile consumo indiscriminato delle risorse. Così come per tutte le altre industrie manifatturiere, anche il settore della moda non può sottrarsi alla sfida verso la sostenibilità ambientale, per continuare ad essere così competitivo. Questo settore, infatti, genera molti rifiuti.
Sforzi per alleggerire l’impronta ambientale della moda ne sono stati fatti, ma per reggere la concorrenza ormai non basta più ricorrere a tessuti naturali e a produzioni di filati più o meno biologici. La vera sfida oggi sta nel garantire produzioni che aiutino il nostro pianeta a risolvere i guai indotti dall’attività umana pregressa: la proliferazione dei rifiuti (soprattutto di plastica non degradabile), i cambiamenti climatici, il consumo del suolo, l’estrazione indiscriminata dei minerali, ecc. Tutti i prodotti del futuro in sostanza dovranno essere concepiti per essere riutilizzabili, riciclabili e biodegradabili, secondo le caratteristiche dei prodotti che riportiamo qui di seguito e che determinano nuove eccellenze per la moda italiana.

ECO-PELLE DALLE VINACCE
Da sempre l’italico genio sa mettere insieme con creatività vari “pezzi” per realizzare quel che altri nemmeno immaginano. A tal proposito, alcuni ricercatori del Politecnico di Milano sono riusciti ad ottenere riciclando le vinacce una sorta di “ecopelle” (denominata WineLeather), senza significativi impatti ambientali e priva di sostanze tossiche. Il materiale è completamente vegetale, a basso costo, ed ha le stesse caratteristiche delle pelli di origine animale.
È una soluzione al grande problema di smaltimento dei rifiuti vitivinicoli, specialmente in un Paese che è il primo produttore di vino al mondo e con il più alto numero di vitigni autoctoni. Dai 13 milioni di tonnellate di vinacce prodotte ogni anno in Italia, si possono ricavare 5 miliardi di metri quadrati di pelle vegetale. Se poi le vinacce provengono da coltivazione biologica, è ancora meglio.

DALLE ARANCE ALLA BOUTIQUE
Altro felice esempio ormai lanciatissimo, adottato da una grande firma come Salvatore Ferragamo, è quello di Orange Fiber: fibre tessili realizzate con gli scarti delle arance spremute. È la trovata di due ragazze siciliane, Adriana Santanocito ed Enrica Arena, che hanno avviato a Catania la prima azienda al mondo che crea tessuti ecosostenibili dai sottoprodotti dell’industria agrumicola.
Il risultato è un tessuto leggero e morbido, di alta qualità, simile alla seta, che ha ricevuto vari premi, compreso il prestigioso Global Change Award, la competizione della H&M Conscious Foundation che premia le idee per la moda eco-sostenibile. Sul podio di questa competizione quattro anni fa è salita al primo posto la ecopelle italiana della Vega fatta con le vinacce.

VESTITI BIO GRAZIE A TÈ E BATTERI
Avete presente quella pellicola che affiora sul cibo dimenticato in frigo? Magari in una confezione di panna da cucina e nelle olive in salamoia o in un barattolo di legumi? Quella patina è il fenomeno naturale da cui la ricercatrice londinese Suzanne Lee, fondatrice del progetto “Biocouture”, con il biologo scozzese David Hepworth, ha messo a punto una sorta di “tessuto sostenibile vivente fatto in casa”.
Da tè fermentato con una massa batterica denominata “kombucha” e messa a contatto con lo zucchero, derivano fogli flessibili di cellulosa. Una volta asciugati, questi fogli formano fibre adatte a creare indumenti perfettamente biodegradabili. Il procedimento può essere fatto in casa. Un’altra alternativa è la nuova fibra tessile realizzata con sottoprodotti del tè verde e altri rifiuti cellulosici, grazie a lieviti e batteri che creano una pellicola gelatinosa. L’hanno messa a punto nei laboratori della Iowa State University dallo scienziato Young-A Lee e dai suoi colleghi. Ci sono ancora problemi da risolvere rispetto alla resistenza all’umidità e alle basse temperature, ma la squadra dei ricercatori americani è fiduciosa sul fatto che questo materiale, al 100% biodegradabile, in futuro potrà sostituire i derivati del petrolio e le pelli ottenute dagli animali.


La moda è la seconda industria italiana dopo quella meccanica (altra eccellenza nostrana), è in costante crescita e genera circa 27 miliardi di euro l’anno: l’Italia da sola realizza il 41% della produzione di vestiario e accessori di tutta l’Europa. Circa l’80% va all’estero.
La bandierina italiana sulle etichette fashion ora può essere ancora più verde.
I tessuti anti-smog
RepAir è la prima t-shirt al mondo capace di abbattere smog e cattivi odori, grazie ad una tasca realizzata in uno speciale tessuto nanotecnologico che assorbe e neutralizza il 97% di composti organici volatili (i Voc, presenti anche nei detersivi), il 92% di anidride solforosa e l’87% di ossidi di azoto emessi dai veicoli, ma pure Pm 10, Pm 2,5 e Pm 1,0, ossidi d’azoto, monossido di carbonio, anidride carbonica e ossidi di zolfo. L’innovativa fibra è stata inventata, testata e lanciata dall’azienda italiana Anemotech (tecnologia The Breath), in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche.
Ognuna di queste magliette può assorbire l’equivalente di sostanze inquinanti prodotte da circa due automobili. Ha due strati esterni in tessuto idrorepellente – con proprietà battericide, antimuffa e antiodore – e uno strato intermedio in fibra a carboni attivi unita da nanomolecole che separano, trattengono e disgregano le micro particelle inquinanti. Il prodotto è utilizzabile in un’infinità di modi e contesti. Secondo gli inventori “collocato sulle pareti sotto forma di pannello, divisorio, tendaggio o quadro garantisce performance sostenibili per un anno e una costante riduzione dell’inquinamento di circa il 20%”.

Caffè da indossare!
Di tutto il caffè usato per preparare un buon caffè, il 99,8 per cento diventa rifiuto. Ma vi si può ricavare un tessuto ottimo per l’abbigliamento da escursionisti. La ditta cilena S.café, mischiando gli avanzi della bevanda con il poliestere recuperato dagli scarti in plastica (ad es. bottiglie in PET), lo
trasforma in un filato dalle ottime prestazioni: molto resistente, asciuga più rapidamente del cotone, assorbe i cattivi odori, protegge dai raggi dannosi del sole e mantiene isolata la pelle dal freddo. Una novità che in Italia, dove il caffè e la moda sono icone nazionali, può avere interessanti ricadute economiche. Evitando inoltre l’utilizzo gli inquinanti perfluorurati, utilizzatissimi per impermeabilizzare i tessuti sportivi. La fibra è stata impiegata da noti marchi come Timberland e Hugo Boss.

Nylon rigenerato italiano
Uno dei processi e materiali ecosostenibili made in Italy di maggior successo è l’Econyl. Messo a punto dall’azienda Aquafil di Rovereto tra i massimi produttori mondiali di fibre tessili sintetiche. La ditta trentina ha inventato un modo eccellente per rigenerare il nylon a fine vita, ricavando la materia prima – il caprolattame – dalle reti da pesca abbandonate in mare, dal fluff (parte superiore) di moquette e tappeti, ma pure da altri rifiuti di plastica con uguali caratteristiche e qualità del prodotto fossile originario. Il polimero così recuperato diventa poi anche abbigliamento.
Ogni tonnellata di Econyl prodotto evita l’utilizzo di 7 barili di petrolio. Il recupero della materia da riciclare è già un’importante operazione ambientale che pulisce le acque: secondo l’Onu ci sono 640mila tonnellate di reti da pesca abbandonate negli oceani, che generano il 10% dell’inquinamento solido dei mari. Aquafil ha aperto a Phoenix, in Arizona (Usa), il primo stabilimento per la raccolta e il riciclo della moquette e l’intenzione «è di aprirne molti altri – spiega Giulio Bonazzi presidente e amministratore delegato di Aquafil – in particolare negli Stati Uniti dove il prodotto moquette è molto usato e ogni anno ci sono quasi 2 miliardi di chili di tappeto e moquette che finiscono in discarica».
