Sono ancora nei nostri occhi le immagini della foresta Amazzonica che brucia e in tutto il mondo si continuano a moltiplicare gli appelli per fermare la speculazione delle terre ottenute in tal modo, con lo scopo di ricavarne pascoli e terreni agricoli dopo aver tagliato una minima parte di legno pregiato. Si è parlato molto, giustamente, del fatto che quella foresta rappresenta uno principali produttori di ossigeno per il pianeta, della grande quantità di biodiversità di specie animali e vegetali che essa contiene e della necessità di preservare questo immenso bene comune per l’intera umanità e per le nuove generazioni. Proprio i giovani guidati da Greta Thunberg, hanno finalmente preso coscienza di questa immane catastrofe planetaria e chiedono a gran voce che la si smetta di rubare il loro futuro con le pratiche che stanno distruggendo la vita del nostro pianeta.
C’è un’aspetto, fino ad oggi quasi completamente ignorato dai più ma ben conosciuto dalle popolazioni indigene locali, che da pienamente ragione alle proteste dei giovani perché rende evidente che l’economia speculativa che si vuole realizzare con quegli incendi è un’autentica stupidità sotto diversi profili: le foreste tropicali debbono essere considerate a tutti gli effetti come un unico essere vivente molto intelligente.
Si tratta di un fatto tecnico che è ben noto a chi si occupa di agricoltura: una volta disboscati, tutti i terreni diventano in poco tempo quasi del tutto sterili a causa della scarsa fertilità del suolo che li caratterizza. In seguito al disboscamento, la produttività di quei terreni viene garantita e resa dipendente in modo artificiale attraverso l’apporto di prodotti esterni (concimi chimici, pesticidi, organismi geneticamente modificati, ecc.). Questi prodotti però in gran parte ancora oggi vengono ottenuti da una risorsa, il petrolio, che a sua volta è in fase di esaurimento. Il vero affare “a termine” reso possibile dal disboscamento quindi sta nella cronica “dipendenza” di quei terreni e di chi li coltiverà da input esterni. A una stupidità si aggiunge altra stupidità che alimenta una spirale che a sua volta conduce solo all’insostenibilità ecologica ed economica dell’intero pianeta.
Eppure basterebbe farsi una domanda per aprire gli occhi e per capire l’assurdità di un comportamento del genere: come riescono le foreste tropicali in generale e la foresta Amazzonica in particolare ad essere così rigogliose e creare così tanta diversità partendo da terreni quasi sterili? In sostanza bisogna comprendere cosa fanno le foreste per creare ricchezza partendo da condizioni di povertà: è una comprensione che potrebbe essere estesa anche alla nostra economia (che di stupidità ne ha già molta).
La risposta è semplice e come sempre ce la fornisce la Natura: attraverso un capillare sistema di radici superficiali e una sorta di “lettiera” che copre il suolo come un giaciglio, le foreste raccolgono, recuperano e riciclano l’acqua piovana e i nutrienti estratti dalle radici delle piante negli stati di sottosuolo più profondi e inerti.
I nutrienti sono costituiti da due classi di elementi: 1) i macro-elementi principali e secondari (carbonio, ossigeno, idrogeno, azoto, fosforo, potassio, calcio, zolfo e magnesio) che vengono assorbiti in grandi quantità dalle piante; 2) tutti gli altri micro-elementi (ferro, manganese, rame, zinco, ecc.) che vengono assorbiti in piccole quantità, ma che hanno una importanza fondamentale per la vita e la salute delle piante stesse. In pratica le piante nel loro complesso creano fuori terra una comunità di esseri viventi che si alimentano a vicenda, utilizzando acqua piovana e gli elementi nutritivi estratti dalle radici. In tal modo questa comunità diventa nel tempo molto più ricca di quella presente nel sottosuolo o che non sarebbe esistita su quello stesso suolo se fosse restato privo di vegetazione.
Il segreto di questa intelligenza, quindi, sta nel fatto che, avendo quasi tutti i terreni tropicali bassi livelli di nutrienti, le foreste tropicali hanno inventato il sistema per non farseli portare via dalle intense piogge che le caratterizzano. Queste intense precipitazioni rischierebbero di far perdere il nutrimento alle piante attraverso l’erosione e la lisciviazione dei terreni, ma grazie all’enorme diversità creata dalle foreste, questo pericolo viene sistematicamente scongiurato. In sostanza si tratta di un sistema estremamente complesso, ma allo stesso tempo molto semplice che utilizzando le sue infinite diversità letteralmente si nutre da solo dentro un perenne ciclo di vita e di morte. Qui sta anche l’ulteriore stupidità dei disboscamenti.
Una volta disboscati questi terreni già di per sé poco fertili, restano comunque soggetti alle intense precipitazioni: mediamente in quelle regioni cadono 3 – 4 mila litri di pioggia per metro quadrato all’anno. Si determinano in tal modo sistematiche perdite di elementi, inclusi quelli apportati con una costosa e inquinante concimazione chimica: l’esatto contrario di ciò che ha creato la Natura. Con il loro sistema intelligente di auto conservazione, invece, le foreste trattengono solo l’acqua strettamente indispensabile al sistema stesso, mentre le precipitazioni in eccesso vengono convogliate nei grandi corsi d’acqua che caratterizzano le regioni tropicali della Terra e che rendono disponile la risorsa idrica alle popolazioni che vivono nelle loro prossimità.
Continuando a disboscare le foreste tropicali quindi non solo si rischia di creare un danno ecologico irreversibile all’intero pianeta, ma contemporaneamente lo si rende sempre più povero. Una colossale stupidità, per l’appunto. Per fortuna i giovani se ne sono accorti.
Non solo Amazzonia
Le foreste tropicali non sono gli unici territori ad essere minacciati dal disboscamento. Nel nostro paese è significativo quanto è successo nell’Agro Pontino, in Provincia di Latina, a seguito della bonifica delle Paludi Pontine. Un tempo l’area era caratterizzata da un’unica selva che si estendeva dal territorio di Terracina fino alle porte di Roma: il tratto di foresta rimasto integro a seguito della bonifica costituisce tutt’oggi la parte più grande del Parco Nazionale del Circeo. Il disboscamento effettuato negli anni Trenta del secolo scorso ha interessato anche terreni della fascia costiera che si sono rivelati in breve tempo poco fertili. L’impossibilità di ottenere un reddito dalla loro coltivazione ha spinto molti proprietari a venderli, innescando così il meccanismo di lottizzazione e di costruzioni abusive che attualmente caratterizza l’intera area.
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