Il “sovranismo” imperante, si può leggere anche al contrario: incolpare i poveri della crisi per continuare a mantenere i propri privilegi.
Per affrontare l’emergenza della pandemia, tutti i governi nazionali stanno incrementando il deficit statale per dare ossigeno all’economia. Gli effetti di questo ulteriore impegno economico però saranno molto diversi a seconda della valuta con la quale è stato concordato l’indebitamento, con effetti a dir poco sconcertanti. E’ un meccanismo così perverso che non si può non dare pienamente ragione Papa Francesco quando denuncia le iniquità che si stanno producendo soprattutto verso i paesi più poveri del pianeta: con la pandemia sarà ancora peggio. E Francesco, è bene ricordarlo, è il primo Papa figlio di immigrati della storia moderna (non sono un vaticanista e del resto dei papi non so dire). Vediamo di capire di che cosa si tratta.
Pochi lo sanno ma il paese più è indebitato al mondo è il Giappone, dove nel 2017 il rapporto deficit/PIL era del 220%. In sostanza ogni cittadino giapponese, inclusi bambini e anziani, doveva restituire una cifra di circa 90mila dollari. Al secondo posto c’erano gli USA con 65mila dollari pro-capite e terza l’Italia con quasi 63mila dollari a persona: circa un 1/3 in meno rispetto al debito giapponese. La grande differenza però sta nel fatto che i debiti del Giappone e degli USA dovranno essere restituiti con la valuta delle rispettive nazioni (yen e dollari), mentre quello italiano dovrà essere ripagato in euro: la moneta comune tra molti stati europei, ma non tra tutte le nazioni che appartengono all’Unione Europea. Vuol dire che i primi due sono debiti in valuta nazionale che possono essere gestiti direttamente dai rispettivi governi, mentre quello italiano è un debito in una valuta che non è più gestita autonomamente. La lunghissima trattativa che c’è stata il mese scorso sul Recovery Fund per l’erogazione dei 750 miliardi di aiuti alle economie dell’UE, si è imperniata essenzialmente su questo meccanismo. La cosa strana è che quella trattativa ha coinvolto anche nazioni (in particolare la Danimarca) che si sono avvalse di una clausola di non partecipazione o di una partecipazione posticipata (la Svezia, tra le altre), all’adesione alla moneta unica, mantenendo la sovranità sulla propria valuta. La cosa ancora più stana è che queste nazioni, proprio nella trattativa sul Recovery Fund, sono state definite “frugali”, nel senso che gestirebbero con oculatezza le proprie risorse economiche, al contrario di quanto fanno i cosiddetti paesi “cicala.” Una definizione ridicola visto che il paese più impegnato nella difesa degli interessi di questo gruppo è stata l’Olanda: uno dei più noti “paradisi fiscali” che esistano al mondo. Ma torniamo sul punto.
In pratica i governi che emettono la propria valuta come il Giappone non potranno mai esaurire il denaro (che poi altro non sono che delle registrazioni elettroniche dei conti bancari). Quel governo quindi, non si troverà in una situazione in cui non sarebbe in grado di pagare le obbligazioni emesse nella propria valuta. Invece l’Italia sì, come del resto è già successo alla Grecia.
Ma se questo meccanismo è già di per se iniquo tra economie comunque ricche, lo diventa ancora di più con le economie povere: soprattutto quelle africane, il cui debito pubblico è per lo più in valuta estera. Questi paesi, fin dalla loro decolonializzazione, non hanno mai usufruito del “diritto di diventare insolventi” con la propria valuta, come il Giappone e gli USA, per l’appunto: questo assurdo “diritto” al fallimento può avvenire solo ricorrendo a valute il cui valore è stabilito, sostanzialmente, dalle banche centrali e dai governi dei paesi ricchi. Per rientrare dal debito in pratica i paesi africani più poveri devono generare continuamente entrate di cassa all’estero (dove si scambia la valuta concordata), con le proprie esportazioni. Ma per fare questo ogni paese dovrà avere sempre un surplus commerciale rispetto alle importazioni, altrimenti il debito aumenta invece che ridursi. Il modo in cui si ottiene questo surplus (fame, denutrizione, desertificazione, ecc.) lo stiamo spiegando con altri articoli su questo sito. Quello che ci interessa in questa parte è che queste esportazioni, di fatto, sono un modo subdolo per costringere gli stessi paesi a finanziare le loro importazioni (macchinari, tecnologia, armi …) e a rincorrere all’infinito l’irragiungibile estinzione del debito. Come è possibile?
Quelli esportati dai paesi africani sono soprattutto beni primari (alimenti, materie prime, petrolio, terre rare, ecc.) che però sono costantemente soggetti alle condizioni di prezzo determinate dai paesi importatori, che, non a caso, risultano sempre instabili grazie alla cosiddetta legge dei mercati. Risultato: la capacità di ripagare il debito aumenta quando queste condizioni commerciali sono favorevoli e diminuiscono quando sono sfavorevoli. Basta far girare questa strana ruota della fortuna (o rullette russa, se si preferisce) con i malcapitati di turno e tutto resta sotto controllo. Le valute dei paesi poveri vengono così deprezzate, magari perché i potenti di turno messi al governo hanno trasferito all’estero ingenti capitali (nei paradisi fiscali, ovviamente) e il rimborso del debito torna ad essere di nuovo impossibili da raggiungere.
Con la parodia della fabbrica degli spilli Bertrand Russell (Ridurre l’orario di lavoro per dare una mano al pianeta ) si chiedeva se il genere umano avrebbe mai potuto organizzare qualche cosa di più aberrante tra il lavoro opprimente e la disoccupazione galoppante: la risposta che ci consegna la Storia, purtroppo, è affermativa.