La crisi esasperata dal Covid 19 è quasi alla fine e la “ripresa” economica è vicina. Il PIL torna a crescere a livello globale e i consumi pure. Dunque la “tempesta perfetta” sta passando anche se la conta dei danni economici dalla crisi sarà lunga e dura. Ovviamente non per coloro che la medesima crisi non l’hanno minimamente avvertita o forse non se ne sono neppure accorti. La situazione a ben vedere non è molto diversa da quella di dieci anni fa (quella scoppiata con il fallimento della Lehman Brothers) quando si diceva che la cosiddetta “economia di carta” era morta per sempre. Era quella stessa economia che si era ormai dedicata quasi esclusivamente alla speculazione finanziaria, alle “stock options” miliardarie per i manager delle banche, ai “prodotti derivati”, che all’epoca sembrava finita per sempre. Poi ci hanno detto che complessivamente “il sistema ha retto”. Non si è più parlato di “etica finanziaria” e di “mercato reale”. Insomma, come si dice in Italia: chi ha avuto, ha avuto e chi ha dato, ha dato. Socializzate le perdite, si è potuto tornare a privatizzare i profitti.
Malgrado il tentativo di introdurre una “minimum tax” a livello globale (una decisione del genere è stata sottoscritta recentemente da 135 paesi) i ricchi e ricchissimi di questo mondo, che lo sono diventati ancor di più con questa pandemia, possono continuare tranquillamente ad incrementare i loro capitali detenuti illegalmente all’estero. Tutto a posto, perché secondo le inique norme fiscali tutt’oggi vigenti nei paradisi fiscali (che nel frattempo stanno aumentando di anno in anno anche nell’Unione Europea) è tutto “legale”, anche se profondamente disonesto sotto il profilo etico. Tanto poi chi si preoccupa di ripristinare il confine tra lecito e illecito ormai saltato? E poi, a chi gliene importa più dell’etica?
Questo confine in realtà può essere oltrepassato (non importa in quale senso), solo da specialisti e da “addetti ai lavori”: una vera e propria industria del settore. In questo caso, da commercialisti, dalle “fiduciarie” e dagli avvocati fiscalisti che legalmente o meno hanno esportato quei capitali nei paradisi fiscali. E non si tratta solo del commendatore o del furbetto con l’aziendina. Stiamo parlando di una vera e propria organizzazione planetaria che funziona attraverso i paradisi fiscali. Il perché è relativamente facile da capire. In un mondo ormai completamente globalizzato, in base al principio (sacrosanto) di evitare una doppia imposizione fiscale ai redditi di persone e società che operano in un paese e che hanno la residenza in un altro, in qualunque paese non si possono tassare i redditi dichiarati in determinati stati esteri. Anche se in quei paesi, quegli stessi redditi non vengono sottoposti ad alcuna tassazione (o quasi). Nel cantone svizzero di Zug, ad esempio, 12 anni fa bastava pagare annualmente una tassa pari allo 0,25% del capitale sociale dichiarato e nessuno apriva bocca: grosso modo oggi è la stessa cosa e anche se si dichiarano profitti stratosferici. Anzi, a maggior ragione: non a caso Zug in tedesco significa “treno”, che in questo caso è sempre quello giusto. Sotto la pressione degli scandali il sistema fiscale anche in questo cantone è stato riformato, ma nel frattempo è stata eliminata la tassa sulla proprietà: un pò come avviene negli Stati Uniti dove non sono tassati i patrimoni fino a quando non vengono venduti (cioè mai, come vedremo quì di seguito).
E di nuovo non a caso su Internet continuano a proliferare società che offrono servizi per detenere immensi capitali e redditi proprio e solo nei paradisi fiscali; basta digitare su un motore di ricerca qualsiasi “società offshore” ed ognuno può procurarsi un proprio scudo fiscale nel “paradiso” che fa per lui/lei (avendone la possibilità, ovviamente). Ecco qualche esempio dei “servizi” resi: “società interposte”, cioè che emettono fatture per conto terzi fiscalmente deducibili dai redditi prodotti in un paese a fiscalità alta (Italia, ad esempio); “uffici virtuali”, vale a dire sedi legali che esistono solo sulla carta; “nominee”, ovvero prestanomi per qualsiasi funzione (amministratore delegato o unico, azionista, “trust”, ecc.). Oppure “angel company”, società estere che fanno un acquisto fittizio di un’azienda in crisi per conto dello stesso proprietario cedente. In molti paradisi fiscali si possono costituire società che hanno un solo dollaro di capitale sociale, un solo amministratore e un solo socio (e quindi non si capisce come può definirsi una “società” – ma tant’è), che comunque possono fare tutte le operazioni che vogliono, senza limiti e senza controlli sulle somme in gioco. Ancora nel 2021 si offre consulenza per costituire una tua società senza versare un euro di capitale e senza tassazione degli utili, con apertura in 48 ore a distanza e con conto corrente online. C’è persino chi offre, alla modica cifra di 30.000 euro, la creazione di banche “personalizzate” (cioè ad uso e consumo di una sola persona) che comunque possono eseguire ogni tipo di contrattazione con il resto del sistema bancario mondiale. In tal modo, anche se l’anonimato garantito è già abbondantemente garantito, si realizza un secondo segreto bancario praticamente inviolabile.
Esattamente come per i batteri che resistono a dosi sempre più forti di antibiotici, questo meccanismo non solo ha superato tranquillamente la crisi finanziaria del 2007-2008, ma nella sostanza è divenuto ancora più forte e raffinato nei suoi meccanismi di auto-funzionamento. L’ultima trovata è il cosiddetto “family office” che negli Statti Uniti viene definito come la maggiore “industria di difesa della ricchezza”. Vengono creati da coloro che hanno un patrimonio netto dai 250 milioni di dollari in su (miliardari inclusi) e oltre a preservare il capitale dalle tassazioni servono anche a tutelare la ricchezza ereditata delle dinastie familiari. Di fatto conservano a consolidano per molte generazioni la disuguaglianza economica creata dagli avi della stessa famiglia, anche se non si sa bene in che modo. In pratica questa ricchezza, stante l’attuale sistema fiscale statunitense, non verrà mai tassata. Solo negli USA, dove si conta che ce ne siano ormai quasi 10mila, questi “family office” gestiscono un patrimonio di 6 – 7 mila miliardi di dollari: quasi il doppio del patrimonio gestito dai “hedge fund” a livello globale. Si sono formati tutti negli ultimi 15 anni ed ovviamente si sono inseriti in un ennesimo angolo non regolamentato della finanza internazionale. Per la maggior parte sono proprio ex “hedge fund” che hanno trovato il modo per sfuggire alla riforma finanziaria introdotta in quel paese nel 2010 dal Presidente Barack Obama. Il recente fallimento di uno di questi “family office” (denominato Archegos) ha rivelato però che il meccanismo è quello di sempre: crescente interesse per gli investimenti finanziari speculativi, segretezza e schermature dei profitti realizzati in altri paesi e rischio sistemico per il sistema bancario mondiale a causa delle loro enormi dimensioni. In sostanza, la solita libertà che solo i ricchi possono permettersi e che solo ai ricchi di questo mondo, viene concessa.
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