Famiglie di agricoltori poveri, allevatori andini, donne che si emancipano con il loro lavoro e giovani che non vogliono emigrare per sopravvivere. Sembra strano ma sono questi oggi i principali nemici delle multinazionali agrochimiche che cercano di far adottare dai governi locali leggi in favore degli OGM e delle nuove tecniche di brevetto sulle sementi (NBT – New Breeding Techniques – leggi anche su questo sito: Dagli OGM agli NBT: cambia il nome ma non la sostanza ). E ancora più stano può sembrare il fatto che, partendo da una situazione di estrema debolezza economica e politica, a metterli in questa posizione antagonista e radicalmente alternativa, sono stati proprio i cambiamenti climatici che le stesse multinazionali, pur di perseguire i loro interessi, hanno contribuito a determinare. La fonte è un documento della FAO pubblicato recentemente, come al solito ignorato dai media globali, dove sono state illustrate 20 storie di successo sulle soluzioni eco-compatibili e innovative introdotte nell’agricoltura della loro zona (http://www.fao.org/3/ca4781en/ca4781en.pdf). Eccone intanto tre esempi.
– Il mais che resiste alla siccità ed è più produttivo. Milioni di famiglie di agricoltori nello Zimbabwe, cosi come in altre zone semi-desertiche del continente africano, dipendono dal mais per la loro sicurezza alimentare e per il sostentamento economico. Fino a circa trenta anni fa la produzione di mais in quel paese era in eccedenza rispetto al consumo interno, ma negli ultimi anni la situazione si è rovesciata, facendo precipitare milioni di persone nella povertà e nell’insicurezza alimentare. Questa inversione è stata determinata dalla siccità che si sta progressivamente intensificando e prolungando, anche per due, tre e persino cinque anni consecutivi, in tutta l’Africa meridionale. Con l’aiuto dell’Istituto Internazionale per Agricoltura Tropicale (IITA) e del Centro internazionale di miglioramento del mais e del grano (CIMMYT che ha sede in Messico), tra il 2007 e il 2013 le autorità di 13 paesi dell’Africa sub-sahariana hanno sperimentato circa 160 varietà di mais resistenti alla siccità: 15 di queste sono state sviluppate nello Zimbabwe. All’inizio gli agricoltori erano molto scettici sul fatto che queste varietà potessero dare buoni risultati. Ma poi, osservando le dimostrazioni effettuate direttamente sul campo, anche le aziende locali produttrici di semi hanno potuto verificarne gli ottimi risultati raggiunti. Con la stessa quantità di semi precedentemente utilizzata, sia il raccolto che la reddività sono stati molto più abbondanti: oltre 600 kg di granella e un reddito supplementare di 240 dollari in più per ogni ettaro coltivato.
Cifre che possono sembrare irrisorie per un agricoltore residente nei paesi ricchi ma che sono importanti per un paese povero come lo Zimbabwe. In questo modo milioni di persone hanno ottenuto anche un recupero della loro sicurezza alimentare senza dover sopportare costi aggiuntivi nella produzione.
– Fattorie didattiche dove si insegna l’agro-ecologia per non emigrare. Sappiamo che la sfida globale che dovrà essere affrontata dopo il Covid 19 sarà la gestione sociale e ambientale basata sul rispetto non solo dei diritti umani, ma anche a quelli per il benessere e salute degli animali, delle piante e dell’ambiente naturale. Allo stesso tempo sappiamo che, a causa delle guerre e dei cambiamenti climatici, zone sempre più vaste del nostro pianeta stanno andando in crisi, determinando cosi imponenti e ingestibili flussi migratori di persone disperate. E’ stato stimato inoltre che nell’Africa sub-sahariana, per i prossimi 20 anni, dovranno essere creati 10 milioni di posti di lavoro l’anno, soprattutto nelle zone rurali, per assorbire la quantità di giovani che si stanno affacciando sul mercato del lavoro. I nuovi posti di lavoro però dovranno essere innovativi per non ripetere gli stessi errori economici ed ecologici compiuti dai nostri paesi occidentali in passato: inquinamento, spreco delle risorse, salinizzazione, depauperamento ed erosione dei suoli, ecc. Questa tipica mal gestione delle risorse era presente alcuni anni fa anche a Fimela, una città del Senegal situata nel delta del fiume Saloum a circa 30 chilometri a sud della capitale Dakar, dove è stata realizzata la “fattoria didattica di Kaydara” specializzata in agroecologia. Un centro di formazione di lungo termine (che dura dai nove mesi ai due anni) per i giovani, quasi tutti figli di contadini del posto, che vengono addestrati a conoscere tutte le tecniche dell’agricoltura biologica e sono aiutati anche ad avere una occupazione stabile per non essere costretti ad emigrare. I giovani vengono formati su tutte le fasi e le tecniche agroecologiche sia per quanto riguarda la coltivazione delle piante che l’allevamento di animali. Attraverso appositi Comitati di Sviluppo dei Villaggi, il Comune, per mezzo del Sindaco, deve concedere ad ogni diplomato dei titoli di proprietà (minimo un ettaro) dove l’interessato potrà sviluppare la propria azienda agricola, contribuendo allo stesso tempo al rimboschimento dei luoghi intorno alla città. Della dotazione fanno parte anche il capitale fondiario e il capitale vegetale (alberi da frutta, alberi da bosco, foraggio), il capitale animale (pollame, conigli o asini) e il capitale di avviamento.
I giovani in pratica sono chiamati a diventare dei leader dello sviluppo sostenibile nel loro villaggio, per trasmettere agli altri giovani ciò che hanno imparato. In sostanza il funzionamento della fattoria didattica è un modello di inclusione sociale. Alla data della pubblicazione del rapporto della FAO erano 20 le fattorie realizzate in questo modo nei villaggi del Comune di Fimela. La popolazione locale sta avendo con questa iniziativa un accesso più facile ed economico ai prodotti freschi locali e questi stanno anche migliorando la base nutrizionale dei più poveri. Con l’agroecologia di queste piccole aziende e il rimboschimento intensivo, i comuni interessati in pratica stanno ripristinando la biodiversità e la rigenerazione dei terreni. Con buona pace, quella vera, dei genitori che non devono più sopportare l’emigrazione dei loro figli.
– Rifugi per animali e farmacie veterinarie sulle Ande. L’allevamento dei lama camelidi sono la principale economia in tutta la zona delle Ande occidentali. Da sempre questi animali sono fonte per i contadini locali di alimento (soprattutto di proteine), fertilizzante organico per le colture orticole (patate in particolare) e fibre tessili di lana, oltre a rappresentare i principali mezzi di trazione e trasporto. Anche in questo caso c’erano di mezzo i cambiamenti climatici, ma in senso opposto a quelli africani: le ondate di freddo e gelo intenso che si sono ripetute negli ultimi anni su quella regione, soprattutto negli altopiani della Bolivia, hanno decimato il numero di capi degli allevamenti. Per affrontare l’emergenza, con la collaborazione della FAO, l’idea delle autorità locali è stata quella di intervenire con un doppia soluzione: 1) creare dei rifugi dotati di tettoia (detti corralón in lingua spagnola) che attraverso la particolare esposizione giornaliera al sole che si vede nell’immagine qui a destra, permettessero ai lama, che prima erano costretti a dormire a campo aperto, di proteggersi sia dalle condizioni climatiche estreme che dagli attacchi degli animali predatori (puma e volpi); 2) fornire agli allevatori un facile e diretto accesso a delle farmacie veterinarie itineranti che hanno permesso di curare con tempestività gli esemplari ammalati. In sostanza i corralón hanno dato la possibilità di allevare i lama camelidi in modo olistico (qualcosa di simile alla zootecnia biologica), dove lo spazio poteva essere utilizzato sia per l’allevamento che per la fornitura di cure mediche ad animali che comunque continuano a vivere allo stato brado.
Qualcosa di diametralmente opposto alle infernali “fattorie della carne” che si sono impossessate della produzione di animali da macello e derivati della carne nei paesi ricchi. Gli allevatori andini che hanno adottato queste buone pratiche con l’aiuto delle comunità locali, hanno visto crescere in poco tempo il loro reddito del 18%.
Le innovazioni “avversarie” di OGM e NBT da far conoscere non finiscono qui, visto anche che ce ne sono alcune molto originali che possono essere applicate su scala globale, senza chiedere alcun permesso alle lobby del settore chimico/agroalimentare. Ci torneremo presto su questo sito.