Ci sono luoghi nel mondo che già stanno pagando pesantemente le conseguenze dei cambiamenti climatici. Ma ci sono anche le persone che stanno affrontando intelligentemente la situazione. Uno di questi è il cosiddetto “Corridoio Secco” dell’America Centrale: una zona che si estende tra la costa messicana dell’oceano Pacifico fino alla parte occidentale del Costa Rica e arriva anche ad alcuni territori di Panama. In particolare la regione del Chiquimula, nel Guatemala, sta indicando le due polarità di questa sfida epocale: da un lato rappresenta una delle aree più vulnerabili alla variabilità del clima a livello globale e dall’altro, allo stesso tempo, è una delle zone cruciali di valutazione su come si sta cercando di risolvere con un progetto unitario tutte le grandi emergenze planetarie che stanno caratterizzando la nostra epoca (vedi: Le sfide vinte dai piccoli contadini contro OGM e i cambiamenti climatici (prima parte).
Secondo i dati ufficiali della FAO in quell’area, che di per sé è molto arida e dove comunque si concentra il 90% della popolazione locale, è in corso una grave siccità che si protrae ormai da alcuni anni. Il riscaldamento globale sta esasperando le conseguenze di un evento climatico che spesso interessa la zona, il fenomeno denominato El Niño. La conseguenza è una situazione di fame, emarginazione, criminalità diffusa e disperazione sociale il cui unico sbocco finale è l’emigrazione. In questa zona la maggior parte dei piccoli agricoltori ha già perso tra il 75 per cento e il 100% delle loro colture perché l’effetto congiunto della siccità prolungata e della diffusione di un fungo patogeno (la ruggine del caffè), ha determinato la distruzione delle piantagioni di caffè, che costituivano la principale fonte di reddito della popolazione, con gravi conseguenze fisiche, cognitive e psichiche nei bambini dovute alla malnutrizione. Questi fenomeni, che talvolta si alternano a precipitazioni eccessive (l’altra faccia dei cambiamenti climatici), hanno colpito anche le coltivazioni del mais e dei fagioli, che tutt’oggi costituiscono la loro principale fonte alimentare. Oltre quatto famiglie su cinque, negli ultimi anni sono state costrette a vendere i propri attrezzi agricoli e gli animali. La capacità di sopravvivenza della maggiornza della popolazione è ormai allo stremo.
In sostanza il Corridoio Secco è ormai diventato una di quelle situazioni sociali e ambientali che oggi si definiscono come “apartheid climatico”, caratterizzate da carenza di precipitazioni piovose, dal dilagare della fame (in Guatemala una persona su due è denutrita) e della relativa delinquenza diffusa. La conseguenza è che milioni di persone, pur di uscire da questa situazione, scelgono sempre di più la strada dell’emigrazione clandestina e irregolare, non potendosi permettere quella regolare. E’ proprio questa nuova forma di apartheid che ha fatto nascere le “carovane dei disperati” che periodicamente vediamo partire dai paesi di quella regione, con destinazione soprattutto negli USA. Una destinazione dove oggi per nostra fortuna non è più Presidente un idiota che pensava di poter risolvere questi problemi semplicemente innalzando nuovi muri al confine degli stati e schierando la Polizia a presidiarli, magari dandogli la facoltà di applicare la mentalità della popolazione bianca e “panciapienista” di questo pianeta, al fine di usare a proprio piacimento la violenza: la stupidità dei sovranisti (ex e neo fascisti) di turno.
A questa ennesima insostenibilità bisognava e bisogna rispondere con soluzioni che oltre a quella climatica, sono in grado di risolvere anche la grave crisi produttiva dell’agricoltura locale. Soluzioni che a loro volta possono permettere a milioni di persone l’uscita dignitosa dalla penosa situazione economica e sociale in cui si erano venuti a trovare. Per il Corridoio Secco quindi bisognava trovare soluzioni sostenibili con produzioni agricole che fossero in grado di resistere naturalmente alle dure condizioni climatiche, ma anche di crescere bene in un suolo arido e di permettere di nutrire adeguatamente la popolazione. Sembrava quella di Chiquimula una quelle classiche situazioni in cui vengono proposti i semi OGM (o la sua versione moderna degli NBT (vedi: Dagli OGM agli NBT: cambia il nome ma non la sostanza) come panacea per risolvere tutti i problemi sul tavolo. Ed invece, grazie alla conoscenza e all’esperienza dei piccoli contadini della zona è stato riscoperto un legume dalle proprietà produttive e nutrizionali eccezionali: è una varietà di fagiolo “bio-fortificato” che va sotto il nome locale di Chortí.
E’ un fagiolo ricco di ferro e permette di combattere gli alti livelli di anemia soprattutto tra le donne incinte, e di zinco che aiuta anche un migliore assorbimento di altri minerali. Il legume è altamente resistente alla siccità, alle malattie della specie (virus del mosaico in particolare), ai parassiti e ad altri fitopatogeni. Le autorità locali hanno deciso la sua reintroduzione nella regione del Corridoio Secco nel 2016 e già dall’anno successivo sono stati ottenuti importanti risultati da parte di due organizzazioni della zona: la cooperativa sementiera Atescatel e l’associazione di produttori Aphal che promuove questa coltura in tutto il Guatemala e che può garantire mediamente una resa di 2,5 tonnellate di granella per ettaro coltivato. Nel 2017, gli 84 membri delle cooperative di produzione hanno prodotto quasi 10 tonnellate di fagioli Chortí per il proprio consumo domestico e dieci membri lo hanno coltivato per la vendita di semi sul mercato spuntando in media 2 dollari al chilo: un reddito impensabile fino a poco tempo prima. Si tratta quindi di un esempio fondamentale visto che a livello globale circa tre miliardi di persone hanno diete inadeguate e sono spesso malnutrite. La biofortificazione inoltre mira ad aumentare la densità nutrizionale delle colture di base ed ha un grande potenziale per aumentare l’assunzione di nutrienti dei poveri delle campagne, che spesso si affidano all’agricoltura di sussistenza per il loro cibo.
Questa è un’esperienza dunque annulla di fatto tutta la filosofia che sta alla base degli OGM e degli NBT, perché ha coinvolto i governi locali (ben poco quelli nazionali) con la collaborazione di numerose ONG (Organizzazioni Non Governative) che condividono una visione comune dei problemi globali: tra queste c’è stata l’organizzazione Capacity Development for Agricultural Innovation Systems (CDAIS), la Piattaforma BioFort e il suo braccio operativo Semilla Nueva (Sementi Nuove – anche in senso culturale) che punta alla auto-fortificazione naturale delle specie coltivate. L’esatto contrario di quanto tenta ancora di fare quell’ingegneria genetica che presume di realizzare in laboratorio colture agricole concepite da cervelli denutriti di conoscenze millenarie e che non sanno neppure da quale parte si usa una zappa. Ma questo è solo un esempio di una nuova storia universale, perché pochi sanno che nell’attuale economia globalizzata questi fagioli miracolosi debbono affrontare la concorrenza sleale dei fagioli più economici provenienti da altri paesi e che sono sovvenzionati con denaro pubblico. Ne riparleremo presto.
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