Le piante sono state la prima fonte di farmaci che gli esseri umani hanno usato per curarsi e difendersi dalle malattie. Malgrado siamo portati a pensare il contrario, lo sono ancora oggi. Anche per le terapie di contrasto a problemi sanitari molto gravi, tipo il cancro. Molti farmaci antitumorali oggi in uso clinico sono stati ottenuti originariamente da alberi, erbe e arbusti. Si è poi giunti a ricavarli anche per via sintetica.
L’83% dei nuovi princìpi attivi utilizzati per le medicine identificate come agenti antitumorali dal 1981 al 2014 provengono da prodotti naturali. Il dato emerge da un progetto del Natural Products Branch – NPB del National Cancer Institute degli Stati Uniti d’America.
Si tratta di un programma di sviluppo terapeutico per il trattamento e la diagnosi del cancro. Esso analizza, sperimenta e verifica le quantità disponibili di composti sintetici e naturali prodotti e derivati da piante, macro-organismi marini e microrganismi, quali potenziali fonti di nuovi farmaci antitumorali. Nessuna alchimia di laboratorio quindi, ma solo verifica scientifica di cosa la Natura ha già pensato e organizzato per difendere la salute di altri esseri viventi.
INNUMEREVOLI OPPORTUNITÀ
Il programma ha già raccolto informazioni su oltre 20mila invertebrati marini e alghe, ai quali si aggiungono 16mila microbi, analizzati per lo stesso scopo. La parte più importante del programma però ha preso in considerazione circa 80mila campioni, raccolti tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, di piante provenienti da aree tropicali nelle Americhe, in Africa e nel Sud-Est asiatico. Da questi campioni, circa 3mila specie hanno mostrato potenzialità terapeutiche significative, ma a basse concentrazioni, visto che in molti casi si tratta di veri e propri veleni naturali che le piante utilizzano per difendersi dai parassiti.
Dell’elenco fanno parte: le radici dell’ipecacuana, dalle quali fin dal 1816 è stata estratta la morfina; l’albero della china, che ha permesso di ottenere il chinino per debellare la malaria; le piante del genere Colchicum (i crochi), dalle quali viene ricavata la colchicina per uso cardiologico e anti-infiammatorio; la caffeina ottenuta dai semi degli alberi del caffè (ma anche dal cacao, dal tè, dal guaranà, dalla cola e dal mate); la fisotigmina ottenuta dalle fave del calabar (detta anche “fagiolo assassino”), per il trattamento del glaucoma. Senza contare quelle piante dalle quali si estraggono importanti farmaci, ma che purtroppo vengono attualmente usati ed abusati, soprattutto dai giovani, per i loro effetti stupefacenti e allucinogeni: il papavero per l’oppio, la pianta della coca per la cocaina e la canapa per la marijuana.
NUOVE SCOPERTE: L’ALANGIUM CONTRO LE LEUCEMIE
All’epoca dell’avvio del campionamento poca attenzione era stata riposta sul fatto che il 70% di queste piante proveniva dalle foreste pluviali del pianeta o dalle aree vicine. Ciò dovrebbe indurre a salvaguardare l’ecosistema… Al lungo elenco prodotto dal centro di ricerca statunitense NPB, recentemente un gruppo di ricercatori giapponesi dell’Università di Kanazawa ha aggiunto un albero che cresce a sua volta e solo nelle foreste pluviali. Si chiama Alangium longiflorum: dalle sue foglie sono stati estratti nuovi farmaci che inibiscono la crescita dei tumori, in particolare le leucemie.
Questa nuova scoperta però ha portato alla luce alcuni problemi molto seri, in precedenza trascurati. Da un lato è risultato che il 90% delle piante esistenti sulla Terra non è ancora stato sottoposto ad alcuna indagine fitochimica, cioè per verificarne eventuali proprietà curative. Dall’altro lato si è riscontrato che gran parte delle piante di cui già si conoscono gli effetti benefici, sono a rischio di estinzione.
Quasi un effetto beffa: nonostante l’importanza delle foreste pluviali per la scoperta di farmaci, purtroppo le preziose regioni del pianeta dove sono presenti queste piante rischiano di morire a causa dei cambiamenti climatici, del tumultuoso “sviluppo” industriale ed economico, oltre che dell’inquinamento e del prelievo indiscriminato delle risorse naturali.
RISPETTARE IL PIANETA PER CURARE L’UMANITÀ
Ancora una volta quindi si è riscontrata l’enorme importanza che la biodiversità riveste per la salute umana, ma ci si è arrivati con l’atavico ritardo di un’economia che crede ancora molto poco nella Natura. Per questo il National Cancer Institute degli USA, vero e proprio braccio operativo del governo statunitense (a prescindere da chi governa quel Paese), ha promosso un programma di conservazione e di utilità sostenibile della diversità biologica dei luoghi dove si sono sviluppate queste piante “farmacologiche”.
Lo stesso programma ha riconosciuto la necessità di compensare economicamente le organizzazioni e i popoli delle aree in cui si trovano certe piante in caso di commercializzazione del farmaco sviluppato da un organismo raccolto all’interno dei confini dei loro Paesi.
Un’importante segnale che dalla scienza si deve trasferire alla politica a livello globale per indicare che le foreste pluviali possono fornire risorse preziose e illimitate per la scoperta di nuovi prodotti naturali bioattivi con proprietà fitochimiche uniche per la difesa e la preservazione della nostra salute e, soprattutto, per quello dei nostri figli.
NOMI “VEGETALI” PER GLI ANTITUMORALI
Parecchie medicine, anche importanti e per patologie gravi, portano nel nome l’origine naturale da cui provengono. Eccone alcuni casi particolarmente significativi: il paclitaxel utilizzato per vari tipi di neoplasie, è ricavato dalle radici del “Tasso del Pacifico” (Taxus brevifolia); la vinblastina e la vincristina, due farmaci antitumorali utilizzati anche contro il linfoma di Hodgkin, riportano la radice “vin” in quanto alcaloidi derivati dalla “Pervinca del Madagascar” (Catharanthus roseus); il topotecan è un farmaco antitumorale estratto dalla corteccia di una pianta originaria della Cina (la Camptotheca acuminata).