I grandi sabotatori delle politiche per il contrasto all’emergenza climatica stanno venendo allo scoperto uno dopo l’altro. Ovviamente senza che l’opinione pubblica lo venga a sapere e senza che trapeli, soprattutto, l’assurdità degli strumenti giuridici adottati. Un vero e proprio doppio gioco che rende inutili tutti gli impegni sottoscritti con i trattati internazionali sul clima, a cominciare da quello di Parigi del dicembre 2015. L’ultimo della serie è il colosso tedesco dell’energia e dell’acqua RWE che ha citato in giudizio i Paesi Bassi sulla decisione adottata nel 2019 di eliminare il carbone dalla produzione di energia elettrica entro il 2030. Dove sta il doppio gioco? Circa tre anni fa la RWE ha formato insieme all’altro colosso tedesco E.On una società che di fatto oggi controlla il mercato della produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili in Germania. Massicce campagne pubblicitarie hanno accompagnato l’iniziativa che a noi poveri mortali sembrerebbe anti-concorrenziale (quindi vietata dalle norme UE). Nel frattempo però la medesima RWE continua a produrre elettricità con grandi impianti a carbone: due di questi si trovano nei Paesi Bassi, rispettivamente a Geertruidenberg e a Eemshaven (foto sopra). E siccome la decisione del governo olandese impedirà gradualmente già dal 2025 di continuare a bruciare il peggiore dei combustibili fossili attualmente usati per produrre energia, la multinazionale tedesca chiede fin da ora un risarcimento per il mancato guadagno futuro. Con buona pace per Greta Thunberg e dei ragazzi dei movimenti Fridays For Future.
La cifra richiesta non si conosce, ma già in passato si era parlato di due miliardi di euro. La causa è stata intentata in base ad uno sconosciuto trattato internazionale, l’Energy Charter Treaty (ECT – Trattato sulla Carta dell’Energia) firmato da 54 paesi nel 1994. E’ un accordo che consente alle società energetiche straniere di intentare cause giudiziarie ai governi delle nazioni ogni qualvolta (e a loro sola discrezione) temono di perdere profitti a seguito di decisioni politiche. Le cause possono svolgersi presso diversi tribunali, ma di solito vengono scelti quelli arbitrali (composti quasi sempre da avvocati). Nel caso specifico anche se esistono specifici tribunali arbitrali europei (a Stoccolma, in Svezia e a l’Aja nei Paesi Bassi) quello prescelto dalla RWE è l’arbitrato della Banca Mondiale cha ha sede a Washington, la capitale degli USA, dove pare ci siano più probabilità di vittoria per i richiedenti. Già nel 2012 la stessa Germania era stata citata in giudizio sulla base di questo Trattato, allor quando il governo guidato da Angela Merkel aveva deciso di uscire gradualmente dall’era nucleare a seguito del disastro di Fukushima.
E anche in quel caso c’era di mezzo la chiusura di due impianti di proprietà straniera, in particolare quello di Krümmel, vicino ad Amburgo, che tra l’altro era stata chiuso nel 2009 a causa di incidenti. All’epoca la centrale era posseduta al 50% ciascuna dalla E.On tedesca e dalla svedese Vettenfall che ne era anche il gestore. Anche se non è stato mai possibile stabilire le cause (ma i sospetti permangono ancora), nella zona si stavano registrando numerosi casi di leucemia fin dai primi anni di attività (avviata nel 1983). Il 28 giugno 2007 un cortocircuito ha provocato un incendio nel trasformatore della centrale che ha richiesto lo spegnimento dell’impianto. Riavviata due anni dopo, la centrale è stata di nuovo spenta dopo appena due settimane per un incidente del tutto analogo a quello precedente. Ovvie le proteste della popolazione locale e del partito dei Verdi e altrettanto ovvia la decisione governativa della disattivazione dell’impianto arrivata nel 2011. Malgrado siano passati quasi dieci anni dalla citazione in giudizio, la causa è ancora in corso.
Il Trattato sulla Carta dell’Energia era stato predisposto a suo tempo per proteggere gli ingenti investimenti delle compagnie petrolifere e del gas dal “rischio politico” negli stati dell’ex Unione Sovietica all’inizio degli anni ’90: stati che curiosamente sono quasi tutti poi diventati sostanzialmente delle dittature parlamentari. Il Trattato è stato un sostanziale buco nell’acqua perché proprio la Russia, il principale destinatario del provvedimento, non l’ha mai sottoscritto. Il caso russo ha comportato il più grande risarcimento finora decretato da un Tribunale in base a quel Trattato: la condanna al pagamento di 50 miliardi di dollari decretata dal Corte Arbitrale Permanente di L’Aia sul caso Yucos Oil. Da allora in poi i governi di tutto il mondo sono stati citati in giudizio quando hanno cercato di contrastare i piani di investimenti di queste compagnie. La tendenza è in forte aumento: nei primi dieci anni dalla sottoscrizione le cause intentate sono state appena 19, ma negli ultimi anni ne sono state avviate quasi cento. Il Trattato è stato più volte definito “obsoleto” da parte dell’Unione Europea e per questo è stato installato un negoziato con il fine di allinearlo con l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici perché si tratta, a tutti gli effetti, di una protezione speciale occulta concessa agli investimenti sui combustibili fossili. Il negoziato però, dopo circa tre anni dalla sua istituzione o dopo oltre 40 incontri, non ha prodotto ancora nulla. Nell’ultimo verbale che abbiamo potuto consultare si parla ancora di ipotesi di revisione e le bozze che stanno circolando hanno già subito il giudizio negativo delle nazioni che hanno una forte dipendenza dalle fonti fossili.
Tutto sommato, il perché non è neanche molto difficile da spiegare e per questo le misure contro i cambiamenti climatici dovranno attendere.
Lo ha dimostrato il recente rapporto prodotto dalle organizzazioni Greenpeace Italia e Re:Common dal titolo “Cambiamento climatico assicurato”. Tutta la catena di produzione di energia dal carbone, cioè miniere, centrali, oleodotti e gasdotti, senza contare gli impianti di raffinazione di raffinazione e di distribuzione al dettaglio non potrebbe operare senza copertura assicurativa. Anche per le altre fonti fossili vale lo stesso discorso. Le attività del settore coperte da assicurazioni valevano 24.000 miliardi di dollari alla fine del 2016: oggi tale valore è sicuramente aumentato. Toccando le fonti fossili quindi si va a toccare la finanza mondiale e le sue imperscrutabili regole speculative. Le misure di contrasto ai cambiamenti climatici in sostanza rappresentano una seria minaccia a questi giganteschi affari, soprattutto in confronto ai tempi lunghissimi che occorrono per la ricerca dei giacimenti, la costruzioni di oleodotti e gasdotti (vedi gli esempi del Nord Stream e South Stream), oltre alle altre infrastrutture di trasporto. Senza contare anche le guerre scatenate per il controllo dei territori interessati. Non a caso la RWE è ancora oggi il più grande produttore europeo di energia con centrali a carbone che sono assicurate dall’italiana “Assicurazioni Generali”: una delle più importanti compagnie assicurative su scala globale del settore. In altre parole: facendo chiudere questi impianti ci va di mezzo l’intera economia mondiale ed è meglio che un po’ tutti, dai governi nazionali ai ragazzi dei Fridays For Future, si diano una calmata. Un consiglio tipico delle guardie del corpo di persone e cose dalle quali bisogna restare lontani a qualunque costo, con le buone e con le cattive.