In questo periodo di pandemia sono passate quasi sotto silenzio due notizie clamorose.
Per la prima volta nella storia dell’economia moderna il prezzo del petrolio è stato negativo: è sceso a -37,63 dollari al barile. Vuol dire che i produttori dell’oro nero, in particolare per il petrolio texano (Wti) in consegna a maggio, quel giorno hanno sottoscritto contratti di vendita con i quali erano loro a dover pagare i compratori e non viceversa come è sempre accaduto. Il tracollo è stato di -305% rispetto all’anno precedente, quando lo stesso barile valeva 60 dollari. E’ successo per un solo giorno (il 20 aprile) ed è stato causato da tre fattori concomitanti: la sospensione di tutte le attività produttive causa Covid 19, l’eccesso di offerta sul mercato e dai prodotti finanziari derivati che erano in scadenza il giorno dopo. Non è comunque da escludere (anzi, è quasi certo) che il braccio di ferro in corso in quel periodo fra i paesi maggiori produttori (cartello Opec da un lato e Russia dall’altro), abbia avuto come scopo quello di tagliare le gambe allo “shale-oil” americano. Un particolare tipo di petrolio che si ricava con la frantumazione delle rocce che circondano i giacimenti petroliferi esauriti e che viene rimpiazzato con l’immissione nel sottosuolo un additivo chimico a pressione.
La principale fonte energetica fossile (non rinnovabile) fin qui utilizzata dall’umanità, ma lo stesso destino attende il carbone, il gas e l’uranio (tutte fonti destinate ad esaurirsi), il cui uso ha determinato gran parte dell’emergenza climatica in corso, sta diventando sempre più svantaggiosa anche sotto il profilo economico: sotto quello ecologico, lo sapevamo già.
Nello stesso periodo in Cina (questa è l’altra importante notizia) uno studio di lungo periodo in alcune “aree pilota” ha dimostrato che riducendo le emissioni di carbonio in atmosfera, producendo energia da fonti rinnovabili e promuovendo la trasformazione “verde” delle industrie e della tecnologia, si è prodotta una crescita economica ed ecologica di alta qualità. Sono stati comparati i dati raccolti in 12 anni di campionamenti, tra il 2005 e il 2017 (cioè quando l’economia cinese e il relativo inquinamento erano spinti al massimo), ed è stata riscontrata una effettiva diminuzione sia dell’anidride carbonica (CO2) che dell’anidride solforosa (SO2). La riduzione delle emissioni dannose per il clima e la salute umana è stata stimata del 12,4% rispetto alla situazione iniziale, il tasso di consumo di energia pulita, con la sostituzione delle fonti fossili inquinanti, è cresciuto del 6,1% e la conversione “verde” della tecnologia e dei cicli produttivi è aumentata del 4,1%.
Si è dimostra cosi che l’abbandono delle fonti non rinnovabili produce una crescita economica stabile, duratura e compatibile: almeno sotto il profilo economico-ambientale (di quello sociale non sappiamo). Di conseguenza si sta per avverare quella che è considerata la sciagura definitiva di tutti i petrolieri e guerrafondai di questo mondo, che proprio in nome dell’oro nero hanno scatenato le peggiori guerre in giro per il pianeta: il petrolio non lo comprerà e non lo userà più nessuno, non perché si sarà esaurito nel frattempo, ma perché diventa sempre più costoso estrarlo. Anche se ce n’è ancora in abbondanza, e l’episodio del prezzo negativo del 20 aprile è lì a dimostrarlo, è la sua competivita economica ed ecologica che sta per esaurursi. Qualcuno lo spieghi all’attuale Presidente degli Stati Uniti che invece di tutto questo non ne vuol sentir parlare.
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