Le norme sull’igiene alimentare livello mondiale sono state impostate in un modo così rigoroso che solo le multinazionali riescono a rispettarle. In questo modo si stanno letteralmente decimando le piccole produzioni legate ad antiche tradizioni alimentari locali. Quella di dare ai consumatori le maggiori garanzie possibili per l’accesso a cibi sani e sicuri non solo è un dovere per tutti i governi a livello globale, ma è ormai diventato anche una necessità per indicare i paesi di origine e di trasformazione dei vari prodotti. Con la scusa della sicurezza alimentare quindi sono stati fatti scomparire dal mercato molti cibi di nicchia e di altissima qualità con gravi danni per le economie rurali e per i sistemi agricoli locali nelle varie regioni: in particolare per quelli che si trovano in zone ad alto valore ambientale, tipo i parchi e altre aree naturali protette. Grazie al meritorio lavoro delle organizzazioni di volontariato (vedi la fondazione Slow Food in Italia) questa impostazione normativa è stata parzialmente cambiata, almeno nell’Unione Europea. Di fatto però, da una lato restano tagliate fuori dall’accesso ai prodotti tradizionali larghissime fasce di consumatori (soprattutto quelli che vivono in città), mentre dall’altro, sempre con l’idea di garantire sicurezza e qualità, si lasciano in piedi delle pratiche commerciali del tutto insostenibili. Tra queste pratiche c’è l’uso indiscriminato della plastica che spesso non rappresenta altro che una “comodità commerciale” lasciata a tutto vantaggio della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e non di certo ai piccoli produttori. Anche in questo caso comunque c’è già chi ha trovato le soluzioni basate sulla Natura.
Prendiamo ad esempio quel piccolo adesivo che sempre più spesso troviamo appiccicato su ogni mela, pera, arancia, avocado, banana o altri prodotti deperibili, tipo il pane, nei supermercati. È una reale necessità per identificare l’origine del prodotto o è solo l’ennesimo eccesso nell’uso sconsiderato della plastica, senza valutazioni delle conseguenze che quell’uso comporta? Più in generale: l’uso di etichette e imballaggi risponde effettivamente ad esigenze di sicurezza e salute o sono spesso le esigenze commerciali a consigliarne l’uso? La risposta a queste domande, come vedremo, non è affatto retorica, perché tutto dipende da una delle tante leggi comunitarie mal riuscite: in base alle norme dell’Unione Europea, infatti, tutti i prodotti sfusi devono essere contrassegnati per fini di tracciabilità. Come ciò debba avvenire però non è chiaro perché un conto è la tracciabilità dei prodotti che va indicata lotto per lotto, un altro conto è l’informazione da dare ai consumatori attraverso l’etichettatura. Da questo equivoco è partito l’uso indiscriminato di adesivi, plastica, inchiostro e colla, che spesso restano attaccati al prodotto. Eclatanti sono poi gli alimenti confezionati singolarmente. Come si vede nella foto qui a destra, una grossa multinazionale della frutta è arrivata a commercializzare le patate “plastificate” una per una… Oltre ad avere maggiore impatto sull’ambiente per via degli imballaggi, il cibo lavorato in certi modi, già sgusciato, affettato, sbucciato e così via costa molto di più. Ma così risparmi tempo, si potrebbe dire. Certo, ma devi lavorare più tempo per pagare quei soldi in più spesi per avere dei prodotti super-lavorati.
Partendo dalla necessità di dare una risposta ai consumatori, soprattutto al fine di contrastare la proliferazione degli imballaggi e delle etichettature inutili, nell’ultimo periodo qualcuno ha cominciato a dare una risposta a tanta inutile dissipazione di risorse. La ditta spagnola Laser Food ha messo a punto un innovativo sistema di etichettatura laser che sfrutta il pigmento naturale dei prodotti per il contrasto cromatico della stampa: una sorta di tatuaggio direttamente sulla buccia che garantisce la tracciabilità dei prodotti agricoli, impresso con un raggio laser che non va ad intaccare in alcun modo il sapore, le caratteristiche organolettiche e la conservabilità dei prodotti, che così possono essere consumati direttamente con o senza buccia.
Per dare un’idea dell’impatto positivo che sta avendo questa nuova tecnica, basta elencare alcuni numeri. Già da alcuni anni l’azienda olandese Nature & More, che fornisce prodotti ortofrutticoli biologi nel Nord Europa, accortasi di quanta plastica veniva consumata per appiccicare il bollini di plastica ad ogni frutto commercializzato, si è dotata di questo sistema. Avendo venduto nel 2015 ai supermercati svedesi del marchio ICA oltre 725mila confezioni di avocado bio, si sono accorti che, esclusivamente per questo tipo di frutto ogni anno dovevano usare una pellicola larga circa 30 centimetri e lunga 217 chilometri: in peso si trattava di oltre 2mila chili di plastica. Il fornitore olandese ha quindi proposto ai suoi clienti svedesi il nuovo metodo di etichettatura naturale nato in Spagna, al posto delle etichette adesive. Recentemente l’etichettatura laser direttamente sulle bucce della frutta è stata introdotta anche in Austria (vedi foto di apertura).
Il processo è stato certificato come perfettamente biologico in Svezia da un apposito ente (Skal) e dalle autorità preposte alla sicurezza alimentare di quel Paese. In tal modo, i prodotti possono essere venduti sfusi – come prevede la legge – in un modo sano anche per l’ambiente, contribuendo così anche a contrastare lo spreco alimentare. Il sistema consente di risparmiare anche sulle confezioni, le scatole di cartone e i pallets che servono a conferire i prodotti. Il costo per la macchina laser è consistente, ma i risparmi sull’acquisto e la stampa degli adesivi di plastica lo rendono ammortizzabile in un tempo prestabilito. Non è ancora possibile quantificare gli enormi risparmi economici ed ecologici che potrà determinare questa nuova tecnologia, ma anche in questo caso di sicuro siamo di fronte ad una netta inversione di tendenza rispetto alla filosofia dell’usa e getta. La tecnologia è in fase di applicazione anche per mele, pesche noci e meloni.
In buona sostanza questa nuova tecnica ha dimostrato che l’uso indiscriminato della plastica, spacciato come necessario per motivi di sicurezza alimentare, in realtà serve solo al sistema attuale di commercializzazione della GDO per realizzare i suoi immensi affari. Il prossimo passaggio sarà quello della progettazione e del design di nuovi prodotti da imballaggio che consentano la commercializzazione anche dei prodotti tradizionali legati al territorio e alle aree naturali. Ne riparleremo.
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