La disoccupazione è il dramma che sta colpendo sempre di più le nostre famiglie e i nostri giovani in particolare. Per farvi fronte, sempre più spesso si sente parlare di favorire la “crescita” dell’economia e della necessità di rilanciare i consumi. Una soluzione che, come una terapia sbagliata, fa aumentare sempre di più le dosi e aggrava il problema invece di risolverlo. Il perché è presto spiegato e nel farlo partiamo da un semplice dato.
L’energia solare che attraverso la fotosintesi delle piante viene trasformata in altre forme di energia utilizzabile ed accumulabile, è sei volte maggiore di tutta l’energia che consumiamo ogni anno, sottoforma di elettricità e di combustibili, nel mondo intero. Tutta l’economia mondiale ruota intorno a questa contraddizione: anche quella dei Paesi cosiddetti emergenti (vedi Cina).
ENERGIA SPORCA ADDIO
Continuiamo ad usare massicciamente combustibili fossili e minerali (carbone, gas, petrolio e uranio), cioè energia ricavata da forme di sostanza organica sedimentata nei giacimenti attraverso i millenni e dalla scissione dell’atomo, invece che organizzarci ad utilizzare intelligentemente l’immenso “pannello solare” rappresentato dalle piante. E siccome questi combustibili prima o poi si esauriranno, è come se abbiamo preferito mangiare la gallina oggi piuttosto che l’uovo domani. Con il risultato che ci stiamo ritrovando progressivamente con meno risorse a disposizione (sia energetiche che economiche), ma con l’aggravante di essere sempre di più senza lavoro, di aver esasperato le diseguaglianze, di essere indebitati fino al collo e persino inquinati come non mai. La via d’uscita sta nella direzione opposta ed anche in questo caso ci serve un raffronto numerico.
PIÙ PERSONE, MENO MACCHINE
Ogni giorno una persona, mettiamo una casalinga, utilizza la stessa quantità di energia che consumano in un’ora tutti gli elettrodomestici della sua casa accesi contemporaneamente. Se il paragone si fa con la benzina, è la stessa energia che si ricaverebbe dal contenuto di una lattina di birra (circa 330 ml).
Se invece fosse gas metano, si tratterebbe del consumo di circa 0,3 metri cubi. Rispetto a quello che ci costa attualmente la benzina e il metano, a maggior ragione in passato visti gli aumenti dei relativi prezzi, è sembrato e sembra molto più conveniente sostituire il lavoro umano con il lavoro compiuto dai robot e dalle macchine. Spesso questo è avvenuto anche laddove non serviva.
Ma nella realtà la sostituzione del lavoro manuale raramente determina un guadagno economico complessivo in termini di consumo energetico. Il nostro esempio ci serve per chiarire che sia il lavoro compiuto da una persona che quello compiuto da un macchina-robot necessitano di energia, ma la differenza sta nel suo approvvigionamento: dipende da chi gliela fornisce, come l’ottiene e per quanto tempo quell’approvvigionamento è sostenibile. Perché una persona se la procura in modo rinnovabile e sostenibile con i propri pasti quotidiani (ammeso che ce li abbia regolarmente), attraverso i cicli legati al sole e all’esistenza di altre forme di vita sulla Madre Terra; in gergo tecnico si chiama il ciclo del carbonio. La macchina-robot invece ha bisogno sempre di energia elettrica procurata in ogni momento da appositi impianti di produzione. In particolare da quelle grosse centrali termoelettriche che bruciano proprio i combustibili fossili e l’uranio. Questi giganteschi impianti, spesso inquinanti, servono in gran parte a far lavorare altre macchine e solo di conseguenza gli esseri umani che vi sono addetti.
LE RINNOVABILI SONO LA SVOLTA
Finora le nostre economie si sono basate sull’attività di industrie che consumano tantissima energia (economia detta ad alta intensività energetica), che non ha mai messo in conto in modo appropriato il costo del suo approvvigionamento. L’alta intensivirà energetica di questi impianti ha comportato l’impiego di enormi risorse economiche (alta intensività di capitali): basti pensare alla fallimentare esperienza delle centrali nucleari nel nostro Paese, il cui costo ultimo è impossibile stabilire visto che per il momento ci sono solo delle stime per il loro smantellamento e per lo stoccaggio delle scorie radioattive prodotte. Questa impostazione dell’economia è andata a discapito soprattutto dell’uso di forza lavoro umana (alta intensività del lavoro), sempre più spesso messa al servizio di una macchina-robot, piuttosto che nel suo contrario. Infatti già quarant’anni fa il biologo ed economista americano Barry Commoner, che per primo studiò il problema, spiegò come un posto di lavoro in una centrale nucleare costa come 65 occupati nelle energie rinnovabili.
Noi stessi abbiamo calcolato che, senza conteggiare i danni ambientali e sanitari, in media un posto di lavoro impiegato in un termoinceneritore di rifiuti costa quanto 15-20 addetti alla raccolta differenziata con il metodo “porta a porta”.
DAL SOLE BUONA ECONOMIA
Crisi economica, crisi ambientale, crisi energetica e crisi occupazionale dunque sono indissolubilmente legate tra di loro. è impossibile risolverne una a discapito delle altre.
Questo è il cuore del problema: una volta esaurita l’economicità dell’energia ricavata da gas, petrolio, carbone e scissione degli atomi, termina anche l’economicità del relativo lavoro.
E quel punto di non ritorno è già stato superato per due fondamentali motivi: 1) I combustibili fossili si stanno esaurendo ed ormai la “caccia al giacimento” è diventato il maggior fattore di spesa per i colossi petroliferi. Questa è la maggiore variabile di incertezza che alimenta in tutto il mondo l’aumento del costo del lavoro (non il costo dei salari, si badi bene); 2) Anche se di risorse fossili ce ne sono ancora molte, per estrarre quei combustibili dalla Madre Terra servono sempre più capitali, perchè all’inizio si sono estratte le risorse di più facile accesso (per questo costavano così poco), mentre adesso bisogna andare a trovarle sempre più in profondità, aumentandone di conseguenza il costo di estrazione. In sostanza, è la redditività di questo tipo di economia che è entrata irreversibilmente in crisi.
Ma per nostra fortuna il sole è ancora là e ci resterà, pare, per qualche altro miliardo di anni. Infatti le energie rinnovabili stanno capovolgendo il concetto di approvvigionamento energetico (meglio l’uovo domani che la gallina oggi: cioè meglio poco ma inesauribile, che tutto e subito), anche per il fatto che possono essere usate nello stesso posto dove vengono prodotte e non hanno bisogno di grandi sistemi di trasporto. Tutte le nuove tecnologie legate alle fonti pulite infatti, esattamente come una persona umana, possono essere mobili e non hanno bisogno di essere sempre attaccate ad una spina della corrente per funzionare: contrariamente ad una macchina-robot, dunque sono totalmente indipendenti ed autosufficenti.
Tutti questi fattori sono alla base della cosiddetta Green Economy (Economia Verde) e stanno modificando completamente il nostro concetto di sviluppo. L’attribuzione del colore verde a questo tipo di economia non è tanto un’indicazione politica come molti pensano, ma deriva proprio dal fatto che si basa sull’energia catturata e immagazzinata dalle piante, che per l’appunto hanno le chiome di colore verde. E quelle chiome rappresentano, come indicato in premessa, un immenso “pannello solare” capace di ricavare e trasformare molta più energia di quella che attualmente stiamo consumando a livello mondiale, con enormi costi economici (debito pubblico), sociali (disoccupazione) e ambientali (inquinamento). In sostanza, per risolvere questo gigantesco pasticcio che si chiama crisi, bisogna semplicemente rispettare l’ordine delle cose: la forma intelligente per trasformare ed utilizzare l’energia esiste già e si chiama fotosintesi. Ed è su questo modo intelligente di ricavare energia dal sole che si basa ogni forma di vita sulla Madre Terra. Serve solo che anche gli esseri umani la usino in modi altrettanto intelligenti, togliendo di mezzo le medicine e le ricette sbagliate. Solo così le nostre famiglie, in particolare i giovani, potranno tornare a guardare con fiducia al loro futuro.
Dalle piante energia per tutta Italia
Nel nostro Paese, cosi come nel resto d’Europa, da alcuni anni è in forte aumento la produzione di colture agricole per fini energetici, cioè per ricavare combustibili, in particolare biogas, da determinare piante coltivate appositamente. Si tratta di colture che non necessitano di particolari lavorazioni del terreno, non hanno bisogno di fertilizzanti chimici, crescono anche in presenza di siccità, possono essere coltivate in terreni non adatti all’agricoltura (in particolare sulle sponde dei fiumi e dei canali o su aree con forte pendenza) e vengono raccolte meccanicamente, risparmiando notevolmente nei costi di produzione. La canna comune (Arundo donax L.) ad esempio, una pianta erbacea poliannuale le cui radici possono arrivare a 3 metri di profondità, ha una resa energetica paragonabile a quella dell’insilato di mais per produrre bio-metano puro almeno al 60% (il minimo indispensabile per avere una buona combustione del relativo gas). Dai nostri calcoli, ricavati dal confronto di diversi studi scentifici, risulta che da un ettaro coltivato con queste piante si può ottenere mediamente un guadagno energetico (la differenza tra quanta energia serve a produrla e trasformarla rispetto a quanta se ne ricava) di almeno 67 mila kilowattora all’anno: il fabbisogno annuale equivalente di oltre 20 famiglie. Basterebbe circa 1/3 dei terreni agricoli attualmente incolti nel nostro Paese (circa 4,5 milioni di ettari) per soddisfare in tal modo l’intero fabbisogno di energia elettrica delle famiglie italiane. Rendimenti simili alla canna comune si possono ottenere anche da altre colture non alimentari: erbacee annuali (sorgo zuccherino, canapa e kenaf); altre erbacee poliannuali (miscanto, panico e ginestra); arboree poliannuali a ceduazione veloce, cioè piante che crescono rapidamente e che possono essere tagliate e ritagliate dopo pochissimi anni (pioppo, salice e robinia). Sempre dai nostri calcoli risulta che ogni 10-15 ettari coltivati con queste colture si crea un posto di lavoro in più rispetto al sistema produttivo di energia da fonti non rinnovabili.