Il coronavirus sta dando un grande impulso proprio a quella mobilità pulita e semplice che esiste da sempre: andare in bicicletta, camminare e lavorare a casa. E’ uno dei grandi paradossi che ci sta “regalando” questa emergenza sanitaria. E’ un paradosso perché quelle si stanno adottando sono misure che introducono modalità di spostamento che hanno fatto e continuano a fare tanta fatica ad entrare nelle politiche di mobilità urbana ed extra-urbana di tutto il mondo, tranne qualche rara eccezione. Politiche che hanno sempre pensato solo a realizzare infrastrutture per il trasporto su gomma per le auto private e in minima parte per un trasporto pubblico di massa. Oggi Copenhagen è una delle città più “ambientaliste”, ciclabili e pedonali d’Europa ma pochi ricordano la manifestazione degli anni Settanta del secolo scorso in Rådhuspladsen (Piazza del Municipio) quando più di 100mila cittadini chiesero di riappropriarsi delle loro strade, contro la cultura delle auto ad ogni costo che imperversava anche in Danimarca. Tutto questo è accaduto anche se i dati rispetto alla domanda complessiva di mobilità, si conoscono ormai da decenni, almeno nei paesi occidentali (i resoconti giornalieri oggi si possono consultare su Mobility Trends Reports di Apple). Dati che dimostrano che la grande maggioranza degli spostamenti di chi deve andare a scuola, recarsi al posto di lavoro, fare gli acquisti e assolvere ad altre incombenze quotidiane, riguarda una distanza molto breve, mediamente sotto i 5 km. Ed è imbarazzante che sia stata la pandemia a farci riscoprire questa semplice verità. Il Covid 19 non ha fatto altro che dimostrare che i problemi si creano quando tanta gente si sposta con la stessa modalità e nelle stesse ore di punta: con l’auto privata o i mezzi pubblici, poco importa.
Un sistema che era già in sofferenza nei periodi ordinari e che è andato in “tilt” con le necessità di distanziamento, malgrado la diminuzione della domanda complessiva di mobilità determinata dalle misure di contenimento. Ed è ormai dimostrato che proprio il rischio del contagio sui mezzi pubblici affollati, spinge le persone ad utilizzare le automobili con il conseguente rischio di aumento dello smog e dell’intasamento da traffico. In un apposito sondaggio il 60% dei cinesi, che sono tra i più abituati ad usare il trasporto pubblico, ha dichiarato che sta programmando di acquistare un’auto privata dopo il blocco dovuto al Covid 19. C’è inoltre anche un altro rischio che sembra del tutto trascurato a livello di opinione pubblica: quello che una volta passata la crisi, tutto torni come prima, con le conseguenze che ben conosciamo. Ma in realtà la necessità di organizzare nuove modalità di mobilità non è cambiata affatto e nemmeno il suo alto valore sociale e ambientale.
Le emergenze consentono sempre di adottare misure straordinarie che in situazioni normali sarebbero difficilmente attuabili e quindi, proprio per evitare questi rischi e per “sfruttare la situazione”, molte città in tutto il mondo stanno organizzando una mobilità che da più spazio a pedoni e ciclisti al fine di potersi spostare in modo più sicuro, producendo meno inquinamento e con un rischio di infezione ridotto al minimo. Ad esempio nella città di Oakland, in California, grazie all’attivismo di una organizzazione fondata da Margaret Gordon (nella foto qui a sinistra) ben 74 miglia di strade (il 10% del totale) sono state chiuse al traffico veicolare e trasformate in piste ciclabili e zone pedonali. Dal mese di maggio, la città di Milano ha iniziato a destinare 35 chilometri di strade esclusivamente per biciclette e pedoni, aggiungendo piste ciclabili temporanee, allargando i marciapiedi e designando alcune strade come “priorità pedonale e ciclistica”. Recentemente il Regno Unito ha programmato un investimento di 2 miliardi di sterline per mettere “al centro” del piano di trasporto britannico post-Covid le biciclette e la pedonalità anche in funzione di potenziare il trasporto pubblico. Anche Parigi ha programmato un piano per disincentivare l’egemonia delle auto nell’utilizzazione delle strade con il progetto “una città di 15 minuti” che punta a garantire ad ogni residente la destinazione desiderata con una breve passeggiata o un giro in bicicletta. Gli esempi sono tantissimi ma probabilmente la soluzione più significativa a nostro avviso è quella introdotta a Berlino con le “piste pop-
up”, cioè la conversione di intere corsie automobilistiche in piste ciclabili in modo semplice e rapido, come si vede nella foto qui a destra. L’idea di base è la logica: chi ha stabilito che sulle strade già costruite debbano circolare solo veicoli a motore e che sono le altre modalità di locomozione a doversi trovare altri spazi e finanziamenti per essere realizzate? La sfida ora sarà quella di istituire una vera e propria “rete di piste pop-up”, in modo da rendere sistemica questa modalità di mobilità. Sta qui il nodo più importante per capire se le novità introdotte con l’emergenza diventeranno durature e permanenti, perché l’intermodalità del trasporto, soprattutto delle merci, è l’altra grande questione che è stata trascurata in tutti questi anni.
E proprio le piste ciclabili che sbucano improvvisamente dal nulla (il concetto “pop-up” grosso modo ha questo significato), dimostrano che la pandemia ci sta offrendo l’opportunità di modificare in tempi rapidi anche l’intero sistema della mobilità. Ci permettiamo di fornire dei suggerimenti anche in questo caso (leggi anche: Suggerimenti per non uccidere l’economia e mantenere la sicurezza dal Covid 19). Ad esempio con trasporti pubblici (autobus, metropolitane e treni) che abbiamo più spazio e più frequenza di percorrenza per chi si sposterà in bicicletta una volta arrivato a destinazione. Una ipotesi facilmente realizzabile è quella degli autobus elettrici articolati che potrebbero trasportare i ciclisti in un settore e i passeggeri ordinari negli altri settori del mezzo. Altra misura potrebbe essere quella di potenziare il “bike sharing”, estendendolo a tutti i quartieri anche ai monopattini e scooter elettrici, ma soprattutto finanziando la riduzione dei costi per gli utenti. Ulteriore misura potrebbe essere quella della turnazione degli orari di entrata ed uscita dalle scuole dagli uffici e di apertura e chiusura dei negozi, evitando cosi che si creino orari di punta e sopperendo alla carenza di capacità di spazi e distanze nei trasporti pubblici.
In sostanza proprio la pandemia ci sta offrendo un’occasione unica per ripensare l’intero sistema con cui ci spostiamo. E’ duro ammetterlo, ma è la realtà. A lungo termine comunque, dovranno prevalere queste nuove forme di mobilità se si vuole che i centri urbani diventino finalmente sostenibili, con l’aria più pulita e il cielo più azzurro.