La foto di apertura di questo articolo mostra in primo piano la tomba di un uomo morto oltre 100 anni fa a causa della “febbre spagnola”: la pandemia che ancora oggi viene considerata la prima catastrofe sanitaria mondiale e che tra il 1918 e il 1920 ha colpito 500 milioni di persone (un terzo dell’intera umanità di allora) provocando, stando alle stime, 50 milioni di morti. Parliamo di una pandemia che ha delle analogie impressionanti, alcune addirittura identiche, con quella attuale provocata dal Covid 19. Ma pare che non abbia insegnato nulla a molti capi di governo e politici che avrebbero dovuto prevenire la diffusione del coronavirus.
La tomba è quella di mio nonno Giuseppe, morto il 18 dicembre 1918 all’età di 33 anni, quando mio padre di anni ne aveva appena 5 e che aveva potuto rivederlo solo 7 giorni prima. Aveva combattuto la prima guerra mondiale ed era rimasto ferito nell’ottava battaglia dell’Isonzo, sul fronte italo-austriaco. Era stato fatto prigioniero e rinchiuso un campo di concentramento in Germania (i lager esistevano già allora). Una volta finita la guerra fu liberato e spedito direttamente a ritirare il permesso di congedo militare a Bologna con tutti i suoi commilitoni. Fece in tempo solo a passare da casa per poche ore, a Precenicco in provincia di Udine, per abbracciare mia nonna e i suoi due figli: il terzo poi nacque nove mesi dopo quella fugace riapparsa. Non si sa se sul treno o direttamente a Bologna iniziò ad avere le prime difficoltà respiratorie, colpi di tosse e la febbre alta. Fu trasportato all’Ospedale Militare di Modena dove morì 22 ore dopo. Nessuno mai disse a mia nonna dove era stato sepolto, ma solo come e quando era deceduto. Ci ho messo trenta anni per trovare quella tomba dove era stato impresso solo il suo numero di matricola.
I documenti clinici parlano del fatto che il contagio era avvenuto con ogni probabilità a causa dell’assembramento avvenuto con i suoi commilitoni. Le fonti consultate dimostrano che quella malattia infettiva, esattamente come quella attuale, si trasmetteva con le particelle emesse dalle persone già contagiate (al momento asintomatici) con la tosse o mentre parlavano con altri a distanza ravvicinata. L’effetto era quello di una grave insufficienza respiratoria che portava al decesso le persone colpite in poco tempo. Anche in quel caso pare che la diffusione sia partita dalla Cina, ma è accertato che le prime centinaia di morti ci furono negli Stati Uniti tra gennaio e febbraio del 1918 e che la malattia sia arrivata in Europa con i soldati americani (gli stessi insultati recentemente da Donald Trump) inviati a combattere sul fronte franco-tedesco. Nel mese maggio di quell’anno sulla stampa spagnola, che non era soggetta a censura militare in quanto la Spagna non partecipava alla guerra, apparve la notizia di una misteriosa malattia che si era diffusa tra i partecipanti ad una manifestazione religiosa. La pandemia poi è stata chiamata “febbre spagnola” solo per questo motivo, non per altro. Inizialmente i governi europei, in particolare quello italiano, sottovalutarono completamente il problema, anche se si era già capito che gli assembramenti delle persone causano la veloce diffusione del contagio. Qualcuno scrisse espressamente che l’allarme partito dalla Spagna era del tutto privo di fondamento.
Dopo l’estate di quell’anno ci fu una seconda ondata di infezioni, molto più potente della prima, e fu la strage. Solo allora si cominciò ad informare la popolazione sulle precauzioni da adottare: proteggere le vie respiratorie con una maschera di garza o qualcosa di simile, evitare abbracci e strette di mano, impedire le visite ai malati. Tutto esattamente come oggi, ma con una sola differenza.
Non c’erano in giro capi di governo che parlavano di “immunità di gregge” salvo poi essere messi in quarantena quando risultavano infettati (Boris Johnson) o ci scherzano su una volta guariti (Jair Bolsonaro), Inesistenti o comunque poco credibili erano anche quelli che andavano in giro a fare i comizi elettorali senza usare la maschera, stringendo mani a chiunque e assembrando gli elettori in uno spazio ristretto (Donald Trump). E nessuno dava retta a quei medici che parlavano del fatto che il virus era ormai morto, salvo poi ricredersi quando ad essere infettato era stato un suo ricchissimo e potentissimo paziente (Silvio Berlusconi).
Sono passati esattamente 100 anni da quando il virus della “febbre spagnola” e scomparso definitivamente nel 1920 e molti progressi sono stati compiuti nella lotta alla diffusione delle malattie infettive. Ma la morte di così tante non ha per nulla scalfito la superficialità e l’ignoranza di chi dovrebbe proteggere la popolazione con la prevenzione, invece di farsi la guerra mediatica su chi arriva primo a produrre il vaccino. E’ passato un secolo da quella pandemia, ma meno venti anni fa, con il coronavirus dell’influenza aviaria (che per l’80% era identico a quello attuale) era stata prodotta una quantità enorme di ricerca che oggi sembra scomparsa nel nulla. Si continua, in sostanza, a chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. In questa situazione è molto probabile che anche il Covid 19 scomparirà da solo nel prossimo futuro.