Il fatto che l’idrogeno sarà l’energia pulita del futuro già si sapeva da tanto tempo. Tutte le organizzazioni ambientaliste e i partiti verdi sparsi per il mondo lo hanno sempre documentato. E allora, come mai solo adesso, cioè quando si è scatenata la caccia ai 750 miliardi di euro del Recovery Fund approvata recentemente dai capi di governo dell’UE, tutti i giornali d’Europa, improvvisamente, si stanno occupando dell’idrogeno come principale fonte energetica che sostituirà le fonti non rinnovabili? La risposta è semplice e la stiamo documentando appositamente su questo sito: perché solo adesso e non prima, grazie all’allarme sociale sulla pandemia e alla montagna di denaro che è stato stanziato, c’é la convenienza economica e politica per fare un passo del genere. Non a caso i giornali di questi giorni stanno dedicando tanto spazio, a volte con commenti entusiastici, al patto stipulato tra il governo francese e quello tedesco per la produzione del “nuovo oro verde”. Un accordo che prevede uno stanziamento di 16 miliardi di euro (7 della Francia e 9 della Germania) finanziati proprio con il Recovery Fund: la previsione è quella di avere in poco tempo una fonte energetica non inquinante su vasta scala e di creare 540 mila nuovi posti di lavoro. In Italia molti appelli vengono inviati da più parti al governo nazionale affinché intraprenda la stessa strada. Messa così la notizia sembra una cosa estremamente positiva, ma se si entra nei dettagli del patto, si scopre che il rischio “green washing” (ecologia di facciata) è molto elevato. Perché?
Intanto iniziamo a capire come si produce l’idrogeno, visto che alla base di ogni decisione politica c’é sempre una valutazione di carattere economico, che a sua volta si basa su una scelta tecnica. Ed é quest’ultima a determinare quale sarà la scelta politica finale, passando per quella economica: non avviene mai il contrario.
La scelta tecnica riguarda il fatto che per ottenere idrogeno in modo abbondante occorre una rilevante quantità di energia elettrica a basso costo. La forma più semplice per produrlo infatti è quella di sottoporre a elettrolisi grandi quantità d’acqua, possibilmente demineralizzata: come sappiamo, l’acqua è composta da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno (H20). Con questo metodo servono dai 5 ai 7 kilowattora di energia elettrica per ricavare un metro cubo di idrogeno sotto forma di gas: un metro cubo equivale a 1.000 litri. Non è poco se si pensa al fatto che la potenza che utilizziamo presso le nostre abitazioni per far funzionare lavatrici, televisori, frigoriferi e computer, è mediamente di 3 kilowattora, mentre il rendimento energetico di un metro cubo di gas di idrogeno è molto modesto: occorrono 3 metri cubi per ottenere un potere calorifico equivalente ad un litro di benzina. Per questo bisogna portarlo, come avviene per il metano, almeno allo stato liquido e, in qualche caso, allo stato solido. Ma per far questo occorrono temperature estremamente basse (-273 gradi Celsius) con ulteriori grandi dispendi energetici.
Quindi il problema non è tanto la tecnologia di trasformazione e di contenimento (le bombole e i serbatoi che devono resistere in piena sicurezza a grandi pressioni esistono da tempo) ma avere tanta energia elettrica che renda la produzione dell’idrogeno effettivamente competitiva. E qui sta la scelta economica che detterà alla politica cosa dovrà fare.
Perché l’energia elettrica a basso costo oggi si può ottenere in due modi diversi e diametralmente opposti: 1) usare le fonti energetiche realmente rinnovabili e pulite (fotovoltaiche, eoliche, geotermiche, ecc.); 2) adattare alla produzione di idrogeno tecnologie “sporche”, magari le stesse che hanno causato i più grandi disastri ambientali della nostra storia, tipo i reattori nucleari. In questo secondo caso, in realtà si sta compiendo un’operazione di “green washing”. Per l’appunto: “ecologia di facciata”.
La Francia, per tornare ai contenuti del patto franco-tedesco, è il paese con più reattori nucleari al mondo. Questi reattori stanno entrando progressivamente nella fase finale del loro ciclo produttivo, ma non di quello vitale, perché ci vorranno molti anni ancora per poterli smantellare. Nel periodo di massima espansione dell’energia atomica la Francia ha coperto con questa tecnologia, circa l’80% del proprio fabbisogno di energia elettrica. Per la Germania il discorso è diverso ma ancora oggi il ricorso alle fonti non rinnovabili per produrre energia elettrica è preponderante rispetto alle fonti pulite. Con l’avvento delle energie realmente rinnovabili, queste modalità di produzione di elettricità, soprattutto quella atomica, sono ormai andate fuori mercato. Da quello che è emerso risulta che la destinazione dei finanziamenti del Recovery Fund, saranno destinati a far sopravvivere, meglio dire “tenere in vita”, questi sistemi di produzione adottati a suo tempo, sostanzialmente per nascondere il lato oscuro dell’energia nucleare: le bombe atomiche. Una politica che è stata e attuata senza alcuna lungimiranza e che oggi paga dazio proprio a causa dei cambiamenti climatici in corso: per raffreddare i reattori le centrali nucleari utilizzano una enorme quantità d’acqua. Per questo le hanno costruite tutte vicino al mare o lungo grandi fiumi. L’idrogeno verrebbe ricavato dal vapore emesso con il raffreddamento.
Da molti anni invece in Italia esiste la cosiddetta “Università dell’idrogeno” e la Fondazione H2U a Monopoli, in Puglia, che da alcuni anni ha anche aperto una sede a Berlino, che ha inventato un sistema completamente “pulito”. L’Università e la Fondazione H2U hanno tratto ispirazione dalla filosofia del Prof. Jeremy Rifkin, noto economista americano autore del libro “Economia all’Idrogeno”.
L’idrogeno viene ricavato scindendo le molecole dell’acqua attraverso l’elettricità ottenuta dal sole e dal vento attraverso pannelli fotovoltaici e piccoli mulini a vento. L’iniziativa era stata finanziata a suo temo dal Ministero dell’Ambiente e dalla Regione Puglia con 5 milioni di euro per permettere di aggiungere una percentuale dal 20 al 30% di idrogeno nelle vetture che usano il metano. I due gas si miscelano automaticamente nel serbatoio, ottenendo il cosiddetto idrometano. Non è necessario fare alcuna modifica al motore delle macchine, tranne che una ri-programmazione della centralina elettronica. Successivamente, le stesse autovetture, oltre che a quelle di nuova costruzione, potranno essere riadattate per funzionare con il solo idrogeno attraverso le celle a combustibile (fuel cells) e con una spesa che non dovrebbe superare i 2.000 euro. Dunque, con l’idrometano subito e con l’idrogeno combustibile poi, le centinaia di milioni di automobilisti che hanno già l’impianto a metano sulle loro autovetture, già oggi possono avere una soluzione che fa bene alle tasche e all’ambiente. Sembrava utopia solo pochi anni fa, ma oggi è una realtà per un’economia realmente ecosostenibile. Senza energia nucleare, senza fonti non rinnovabili e senza Recovery Fund.