L’esperienza peggiore che ci lascia questa pandemia e che ancora non vuole andar via, è la perdita dei nostri cari senza aver potuto fornire loro assitenza e conforto. E’ una lacerazione esisteziale che in molti casi, a causa del rischio del contagio, non ha permesso neanche la possibilità di vedere per l’ultima volta e di dare l’estremo saluto alle persone amate. A molti è toccata addirittura la sorte disumana di veder portare via solo delle bare, non potendo accompagnare le persone lì contenute neppure nel luogo della loro sepoltura. E’ un aspetto della vulnerabilità umana che oggi è ritornato sconosciuto solo perchè è stato cancellato dalla nostra memoria collettiva. Si tratta di un’esperienza molto simile, diremmo quasi identica, a quella che stiamo riservando all’esistenza umana su questo pianeta. Senza le dovute cure e attenzioni, tutte cose costruite e realizzate nei secoli (palazzi, autostrade, porti, aeroporti, ecc.) e in particolare quelle legate alle arti, alla cultura e al paesaggio, sono destinate a scomparire.
Gli esseri umani, così come del resto tutti i mammiferi, non possono sopravvivere nella fase iniziale della loro vita senza le cure dei genitori e dei propri cari. Ogni bambino/a impara ad avere coscienza e conoscenza di se in questo modo. All’altro estremo dell’esistenza in vita il rapporto si inverte perché normalmente sono i figli a fornire alle persone anziane non solo le cure, ma anche assistenza e sostegno emotivo: almeno così accadeva fino ad un recente passato. La fragilità e il necessità di dipendere dagli altri è un dato ineluttabile per ogni essere umano e per questa fondamentale ragione si sono sviluppate le comunità. Aggregazioni di individui che si sono organizzate prima in piccoli gruppi e in ricoveri di fortuna, per poi estendersi sempre di più nei secoli, fino a raggiundere le attuali dimensioni delle metropoli. Ma la fragilità e il bisogno di cure di cui siamo portatori sani (quando va bene), appartengono anche ad ogni attività che svolgiamo. Così come un bambino impiega il suo primo anno di vita a reggersi stentatamente in piedi sulle sue gambe grazie all’aiuto dei genitori, anche il piccolo albero di mele che abbiamo trapiantato nel giardino di casa o nel parco comunale avrà bisogno di cure e protezione per poter attecchire. Una volta cresciuto e diventato adulto lo stesso albero ci renderà il servigio ricevuto con il dono dei suoi frutti, l’ombra e il rinfresco dalla calura estiva, la cattura dei troppi gas serra che continuiamo ad immettere nell’atmosfera. Ma anche quando il bambino e l’albero saranno diventati adulti si renderà necessaria la difesa dalle malattie e dagli altri rischi di soppressione o compromissione della loro vita. La rigenerazione del nostro benessere personale, sia fisico che psicologico, è una conquista quotidiana che fa parte integrante, anche in senso fisico, dell’equilibrio ecologico generale del nostro pianeta e dell’Universo.
Nel periodo storico che stiamo attraversando però, al quale si è aggiunta una ennesima guerra “energetica” alla già devastante pandemia da Covid 19, la propensione umana alla cura sta diventando sempre più invisibile, precaria e meno libera. In base alla cultura dominante nei paesi occidentali e più ricchi del pianeta (quelli che noi conosciamo di più per esperienza diretta) le cure agli esseri umani e le eccellenze artistiche/culturali/paesaggistiche, così come verso gli altri esseri e i sistemi viventi, si possono praticare solo c’è una convenienza economica; cioè se c’è un guadagno in termini monetari. Sempre più spesso questo avviene con una ulteriore distinzione anche rispetto al sesso e alla classe sociale dell’interessato/a. Certe scelte fatte per contrastare l’evoluzione della pandemia ancora in corso, ad esempio quella dell’obbligo del vaccino imposto essenzialmente per non intasare i reparti di terapia intensiva degli ospedali (sia quelli pubblici che, a maggior ragione, quelli privati), da questo punto di vista sembrano dettate più da tali esigenze economiche che da quelle umanitarie. Stipendi, bonus, assunzione di personale con le raccomandazioni di politici, tangenti e altri incentivi monetari inducono le persone a comportarsi in modo cinico e deresponsabilizzante, mentre al contrario la pratica dei beni comuni tende a incoraggiare le persone a fare del proprio meglio e a promuovere sia la fiducia sociale che le relazioni più strette, visto che siamo esseri interdipendenti e tali resteremo per sempre. Prendersi cura di un bambino che sta per morire di fame o di un’anziano malato terminale con patologie pregresse piuttosto che delle foreste pluviali, dell’acqua potabile sempre più scarsa e del suolo sempre più desertificato e inquinato, dell’innalzamento dei mari provocato dallo scioglimento dei ghiacciai, non è “conveniente” per le leggi del mercato che governano tutt’oggi la globalizzazione economica del pianeta.
Le cure non producono beni o merci quantificabili dall’economia predatoria e dall’attardato pensiero ideologico che l’accompagna, anche se in realtà sono proprio le persone care, le foreste, l’acqua e il paesaggio a costituire la nostra memoria, la nostra cultura, la nostra vita sociale, la nostra personallità e, in ultima analisi, la nostra identità comune. Ci si sta dimenticando sempre di più che proprio la sopravvivenza del genere umano su questo pianeta dipendono dal tempo, dal lavoro e dall’affetto delle persone umane scambiano tra di loro e nei confronti degli altri esseri viventi durante la loro esistenza. Mentre invece è esattamente questo primordiale bene comune ad incorporare l’intera economia mondiale. E, tra l’altro, non è un concetto che si scopre solo ora.
Fu l’educatore cattolico italiano don Lorenzo Milani, all’epoca dell’esperienza didattica rivolta ai bambini poveri nella disagiata e isolata scuola di Barbiana (Mugello – Toscana) ad adottare il concetto di “I care”, che letteralmente significa “me ne faccio carico, mi importa, mi interessa, ho a cuore”. E’ un concetto che rispecchia perfettamente quello è da ritenere il più indispensabile tra i beni comuni del genere umano: la propensione innata verso la cura dei deboli e gli indifesi. Qualcosa che va nella direzione contraria ed opposta al deresponsabilizzante concetto fascista e totalitario del “Me ne frego” (“non me ne faccio carico, non mi importa nulla, qualunque cosa accada”). “I care” è un concetto che riconosce l’importanza del lavoro demercificato e del valore intrinseco dell’aiuto gratuito: valori completamente ignorati o sottovalutati (nel migliore dei casi) dalla logica del mercato. Queste due parole inglesi furono scritte per la prima volta su un cartello all’ingresso della scuola di Barbiana perché riassumevano le finalità educative orientate alla presa di coscienza civile e sociale di ogni essere umano. Il concetto di “me ne faccio carico” è stato fatto proprio inizialmente da numerose organizzazioni religiose e politiche italiane, poi ripreso dalle organizzazioni femministe, pacifiste ed ambientaliste, ed è ormai diventato il progetto di fondo di tutti i movimenti che a livello locale e internazionale si stanno aggregando intorno alla prospettiva politica del bene comune e della PACE. Tutti noi abbiamo bisogno di dare e ricevere cure permanenti per tutta la vita, di diverso tipo e intensità, a seconda del momento del ciclo vitale in cui ci troviamo. Sebbene l’infanzia, la vecchiaia e i periodi di malattia richiedano cure fisiche specifiche e più intensive, ognuno di noi ha bisogno di affetto e di attenzioni emotive in modo permanente, anche quando siamo adulti sani e indipendenti. Per essere realizzata e vissuta veramente, anche la PACE ha bisogno delle stesse cure persistenti e quotidiane, essendo allo stesso tempo la più fragile e la più indispensabile delle forme di convivenza umana. Dobbiamo pensare al bisogno di cure non come una situazione eccezionale, ma come una caratteristica inerente alla natura umana, in cui tutti abbiamo il diritto, ma anche il dovere, di riceverle e di fornirle a chi ne ha bisogno. Le cure resteranno sempre l’unica soluzione possibile per l’intero genere umano che vivrà, se ci riuscirà, su questo pianeta.
Le anche su questo sito:
C’è già il cibo per sfamare tutti gli abitanti della terra, ma nessuno lo dice
Le medicine dagli alberi a rischio estinzione
I segreti della biodiversità: come rigenerare la vita attraverso la morte
Curarsi con la dieta mediterranea
Far giocare i bambini può battere la pandemia anche per gli adulti
Comments 3