A ben vedere, dare un’occupazione a tutti non è poi così difficile. Noi sosteniamo da sempre la tesi che non manca il lavoro, manca solo la possibilità di remunerarlo. E per la verità non mancherebbe neanche questa possibilità. Il mondo in cui viviamo è stato completamente artificializzato, riempito di sprechi e inefficienze e caratterizzato da varie forme di degrado. Con la crisi economica esasperata dalla pandemia, sta diventando chiaro che senza un massiccio intervento di investimenti pubblici, l’economia di mercato da sola non può sopravvivere, perché troppo sbilanciata sullo sfruttamento delle classi sociali più deboli e sulla depauperazione delle risorse naturali. Il problema è che anche l’economia governata da uno stato centrale non ha retto al confronto della storia e persino il modello cinese, che ha tentato di mettere insieme le due filosofie economiche, non sembra destinato a diventare un modello di riferimento per il futuro. Ma per nostra fortuna esistono altre strade, alcune basate su culture e tradizioni millenarie, che possono essere prese a riferimento a livello globale e adattate, secondo le esigenze, a livello locale. E allora, come si fa a remunerare il lavoro che già c’è?
Molti esempi ci vengono forniti da due paesi dai quali non ci si aspetterebbe una cosa del genere, il Regno Unito e gli Stati Uniti d’America, visto che in passato sono stati i leader mondiali delle privatizzazioni ad ogni costo, soprattutto sociale. Proprio in queste due nazioni moltissime imprese municipali di proprietà degli enti locali, dopo essersi riappropriate dei servizi essenziali (elettricità, acqua, rifiuti, trasporti, ecc.), da alcuni anni stanno entrando in settori economici dove un tempo erano presenti solo aziende private. La motivazione è in parte basata dalla contrarietà dei governi locali ai continui aumenti delle tasse e l’applicazione di tariffe e prezzi esagerati, mentre dall’altra c’è stata la riscoperta della possibilità di ottenere nuove entrate di bilancio, anche al fine di creare nuovi posti di lavoro. Il fenomeno interessa sia città piccole che molto grandi e si va dagli hotel di proprietà del Comune, alla fornitura di servizi via cavo e a banda larga, dagli investimenti immobiliari che generano entrate da locazione che poi vengono destinate a finanziare il trasporto pubblico, alle attività agricole, commerciali, sanitarie e tecnologiche per le popolazioni native. Sono tutte storie che vanno raccontate e fatte conoscere una per una (ci si potrebbero persino fare dei film e/o documentari, per quanto sono interessanti). Con questo primo approfondimento partiamo proprio dall’ultimo caso, dove l’attenzione per i bambini e gli anziani, unita alla salvaguardia della cultura e dell’ambiente, contrariamente alle società occidentali, hanno ancora un’importanza fondamentale non solo per l’economia.
La tribù dei nativi indiani Coquille è originaria della parte sud-occidentale dell’Oregon che un tempo comprendeva più di 750.000 acri (circa 330mila ettari). Si tratta di una delle popolazioni più antiche al mondo: gli archeologi hanno trovato prove di occupazione umana risalenti ad almeno 14.000 anni fa. Ma come avvenuto per le altre tribù, anche la popolazione Coquille fu decimata delle malattie importate dagli europei nel 19° secolo con la corsa all’estrazione dell’oro e l’espansionismo imposto dall’occupazione delle terre verso ovest. Nel 1954, il Congresso americano aveva dichiarato “estinta” la loro tribù. Ma la comunità ha resistito, tanto da ottenere un apposito riconoscimento federale nel 1989: molti suoi componenti erano stati costretti a diventare membri permanenti di altre comunità nelle riserve indiane fuori dall’Oregon. Si è avviata così la fase di ricostruzione della tribù che oggi è composta da più di 1.100 membri ed ha riottenuto più di 10.000 acri della sua patria originaria (circa 4.400 ettari). Di questa terra riconquistata la maggior parte è composta da una foresta che con molto orgoglio la tribù ha deciso di gestire in modo sostenibile secondo la cultura dei loro antenati e le tradizioni ancestrali basate sull’autosufficienza. La comunità nativa, governata da un Consiglio tribale, ha quindi deciso di costituire il Coquille Economic Development Corporation (CEDCO) che funge da società madre per tutte le attività della tribù, che vanno dall’ospitalità turistica (è stato da poco completato il centro olistico che si vede nella foto qui sotto), all’assistenza sanitaria (soprattutto agli anziani), dall’edilizia, all’agricoltura.
Grazie alla modalità tradizionale della gestione, il bosco tribale potrebbe essere considerato il più grande produttore al mondo di mirtilli biologici. Inoltre è stata creata una società di telecomunicazioni a banda larga dedicata a fornire alle comunità rurali con una connettività Internet ad alta velocità. La CEDCO funge anche da incubatore di imprese per lo sviluppo di imprese tribali e fornisce anche assistenza educativa. Con le entrate garantite da un Hotel tribale (che prima del Covid 19 era anche in Casino) molte organizzazioni comunitarie locali hanno ricevuto sostegno dal Coquille Tribal Community Fund nel 2019, con sovvenzioni per un totale di oltre 250.000 dollari. La società di proprietà della tribù Coquille oggi è il secondo datore di lavoro di tutta la contea di Coos (Oregon sud-occidentale). La crisi economia, con o senza pandemia, non fa paura da quelle parti.