Sostanzialmente nulla è cambiato da quando, ormai sei anni fa e per conto dei rispettivi Stati, 196 governi nazionali hanno firmato a Parigi l’accordo sui cambiamenti climatici. Si erano tutti dichiarati disponibili a raggiungere l’obiettivo di contenere entro 2°C l’incremento della temperatura globale del pianeta che ci ospita e proprio con quella firma si erano impegnati ad attuare strategie e misure per compensare e ridurre le proprie emissioni di gas serra nell’atmosfera. Nessun dubbio sul fatto che l’obiettivo sarebbe stato raggiunto entro il 2050, cioè ad appena 35 anni di distanza dalla firma di quell’accordo. Nessun’altra firma però era stata apposta su un altro impegno, altrettanto urgente quanto quelli di ridurre ed arrestare le emissioni: quello di togliere la già eccessiva quantità degli stessi gas serra che sono stati immessi nella medesima atmosfera negli ultimi due secoli della nostra storia. Ne abbiamo già occupato troppo di quello spazio, di quel peso e di quella misura, ma ancora non ci si riesce a mettere d’accordo su chi, come e quando, deve fermare questa occupazione del tutto abusiva. L’atmosfera è l’indispensabile bene comune universale del quale le azioni politiche dei 196 governi firmatari dell’accordo di Parigi non tengono tutt’oggi minimamente conto. Tutti troppo impegnati a verificare con quali documenti di identità (ammesso che li possiedano) e per quali ragioni gli esseri umani, soprattutto i più disperati, si spostino da un pese all’altro. Tutti troppo impegnati a verificare presso le proprie incerte dogane nazionali per quale passaggio e tubo (oleodotto, metanodotto, elettrodotto) debbano continuare a passare fonti energetiche comunque destinate ad esaurirsi e a morire. Tutti troppo impegnati a conteggiare chi debba pagare e chi debba essere risarcito dei danni economici (malintesi come danni ecologici) che stanno arrecando e sempre di più arrecheranno i cambiamenti climatici sia ai disperati che al genere umano nel suo complesso.
Tutti ancora impegantissimi a stabilire, proprio in questa drammatica epoca storica, come si possa arrestare un virus, quello del Covid 19, senza fargli oltrepassare le stesse frontiere in mancanza di un passaporto e delle relative certificazioni sulle vaccinazione ricevute. Pur essendo la luna ben visibile e lucente, bisogna in sostanza capire prima se il dito che la sta indicando da tanto tempo sia orientato nella direzione giusta … perché può darsi che esista anche un’altra luna che noi ancora non conosciamo. Il paradosso consiste nel fatto che l’atmosfera non è e non potrà mai essere di proprietà di qualcuno, mentre oggi è esattamente la proprietà dei suoli e i sottosuoli dai quali si estraggono le fonti energetiche climalteranti il cuore del problema. Tanto che è stata scatenata l’ennesima guerra nel centro dell’Europa per questa stessa ragione. Per l’atmosfera quindi nessuno può stabilire un confine, una linea oltre la quale non si può entrare o uscire senza un passaporto, mentre questo è ciò che accade ordinariamente a tutti noi sulla superficie terrestre.
E’ come se il cielo e la terra fossero due cose distinte e separate che non hanno alcun rapporto tra loro e per questo, non essendo un bene privato, nessuno se ne preoccupa. Stiamo parlando di un ipotetico passaporto con i quali identificare i gas serra emessi soprattutto dai paesi più inquinanti e non del “passaporto climatico” che pur è stato proposto proposto durante il vertice sul clima delle Nazioni Unite COP24 nel dicembre 2018 a Katowice (Polonia). Un documento da concedere a chi è costretto ad emigrare proprio a causa del surriscaldamento del pianeta e dello scioglimento dei ghiacciai: proposta che comunque a sua volta è caduta nel nulla. Lo scontro generazionale che si sta ampliando sempre di più tra i giovani che chiedono l’attuazione urgente di misure concrete per il contrasto ai cambiamenti climatici e gli adulti che, oltre alle promesse, non riescono a produrre nulla di concreto, viene alimentato proprio da questa contraddizione paradossale. Un contrasto logico che chiariremo meglio con il seguente esempio.
E’ noto a tutti ormai che i cambiamenti climatici stanno determinando l’avanzamento della superficie dei deserti in tutto il mondo. Quelli del Sahara e del Sahel in particolare stanno crescendo al ritmo di 2 km l’anno, causando una perdita annuale di circa 2 milioni di ettari di zone ancora utilizzabili per la sopravvivenza delle popolazioni locali. Secondo i dati ufficiali dell’ONU l’inaridimento dei terreni interessa il 40% della superficie africana e ormai quasi due terzi delle terre coltivabili in quel continente sono a rischio desertificazione entro il 2025. Di conseguenza anche le popolazioni che sopravvivono ai margini di queste aree sono e saranno sempre di più costrette a spostarsi: parliamo di circa 500 milioni di persone e che corrispondono al 112% dell’attuale popolazione dell’Unione Europea. Ora, mentre della causa per la quale queste persone sono obbligate ad andare via non gliene importa niente a nessuno, il fatto che da qualche altra parte quelle stesse persone devono pur andare a sopravvivere, diventa oggetto di interventi immediati da parte dei governi inadempienti rispetto a ciò che hanno firmato a Parigi oltre sei anni fa.
Ma mentre la causa del problema desta pochissimo interesse mediatico e politico, il suo sintomo invece determina sempre un largo consenso elettorale a favore di chi alimenta la paura verso coloro che sono stati costretti ad emigrare dai loro luoghi di origine. E guarda caso per risolvere la causa del problema i soldi non si trovano mai ed invece dopo, solo dopo, gli stessi soldi si trovano sempre per tamponare i suoi effetti. Dunque, sullo stesso pianeta dove si usa la nostra unica atmosfera per includere e scaricare tutte le nostre emissioni, al livello del suolo e del sottosuolo scattano automaticamente meccanismi di reazione ed esclusione predisposti dalla logica della proprietà, dei confini e dei passaporti. L’ennesimo paradosso della nostra epoca dove il pubblico deve sempre prendersi la responsabilità di scaricare costi e perdite sulla collettività, mentre al privato spetta il solo compito di intascare i profitti. Una delle più famose considerazioni del grande scienziato Albert Einstein diceva: “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi”. Noi abbiamo la medesima convinzione.
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