E’ ormai dato per scontato da tutti che il perdurare della crisi economica causata dall’emergenza Covid 19 comporterà una ulteriore chiusura di aziende e attività, con conseguente aggravamento della disoccupazione, soprattutto giovanile. Questa però, pur nella sua gravità, è un’emergenza contingente dalla quale si dovrà uscire presto o tardi, in un modo o nell’altro. Le altre emergenze planetarie, quella sul cambiamento climatico in particolare, che negli ultimi tempi avevano finalmente occupato l’attenzione di tutti i media a livello mondiale (perché di fatto costretti a farlo dai movimenti giovanili “Fridays for Future” scatenati da Greta Thunberg), nel frattempo continuano ad aggravarsi sempre di più. Lo testimonia il Rapporto 2020 sullo stato delle foreste a livello mondiale pubblicato recentemente dalla FAO, l’organizzazione dell’ONU che si occupa di agricoltura e alimentazione.
I dati sono apparentemente rassicuranti. Le foreste coprono il 31% della superficie terrestre globale. Tra l’altro circa la metà della loro superficie è relativamente intatta e per più di un terzo si tratta di foresta primaria, cioè aree boscate rigenerate naturalmente da specie autoctone, dove non ci sono indicazioni visibili delle attività umane e i processi ecologici non sono significativamente disturbati. La superficie forestale totale nel mondo è di 4,06 miliardi di ettari e quindi ogni abitante del pianeta attualmente avrebbe a disposizione circa 5mila metri quadrati di foresta (circa mezzo ettaro). Messe così le cose, avrebbero ragione i detrattori dei movimenti “Fridays for Future” nell’affermare che non stiamo “alla canna del gas”, in senso lato, sotto il profilo climatico.
Il problema è che queste foreste non sono distribuite equamente in tutto il mondo.
Oltre il 40% si trova in appena tre paesi (Federazione Russa, Brasile e Canada) e se a questa percentuale si aggiungono anche Stati Uniti e Cina, risulta in primo luogo che più della metà si trovano in queste cinque nazioni e in secondo luogo che i due terzi (66%) delle foreste mondiali si trova in appena dieci paesi. In tutto il resto del mondo c’è solo il 34% delle aree boscate di cui oggi dispone il pianeta Terra, ma a differenza delle altre le superfici interessate sono fortemente compromesse. Ma non basta. In base al Rapporto sui cambiamenti climatici redatto dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) dell’ONU due anni fa, si desume che le zone aride, iperaride e desertiche a livello globale coprono ormai quasi il 50% delle terre emerse: in queste zone sopravvivono oggi 3 miliardi di persone, che saliranno ad almeno 4 miliardi entro il 2050.
Quello che più preoccupa dalla combinazione di questi fattori è il fatto che la deforestazione sta andando avanti a ritmi incompatibili con l’urgentissima riduzione delle emissioni climalteranti. Gli incendi violenti che vengono appiccati dolosamente ogni anno poi stanno facendo il resto. Dal 1990, si stima che 420 milioni di ettari di foresta sono andati persi a causa della conversione ad altri usi del suolo: sembra una quota esigua ma è una superficie tre volte superiore a quelle dell’Italia, Austria, Svizzera, Francia e Germania messe insieme. Tra il 2015 e il 2020, il tasso di deforestazione è stato stimato in 10 milioni di ettari all’anno, in calo rispetto ai 16 milioni di ettari degli anni ’90, ma si tratta pur sempre un’area grande cinque volte la Toscana. Questo sta accadendo anche nel 2020.
Malgrado questi dati molto preoccupanti però le cose potrebbero presto cambiare, se lo si vuole. Anche in questo caso si tratta soprattutto di scelte politiche.
Il Rapporto 2020 della FAO infatti sottolinea che il ripristino delle foreste, se attuato in modo appropriato, aiuta sia la ricostituzione degli habitat e degli ecosistemi, sia la creazione di posti di lavoro e reddito: una soluzione basata sulla natura che è efficace anche rispetto ai cambiamenti climatici. Nell’ambito della “Bonn Challenge” (Sfida di Bonn), 61 paesi si sono già impegnati a ripristinare 150 milioni di ettari di terreni forestali entro il 2020 (ne sono già stati riforestati 172 milioni) e 350 milioni di ettari entro il 2030. La sfida è stata lanciata dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) nel 2011: questa organizzazione ha stimato che il raggiungimento degli obiettivi della sfida creerebbe un guadagno netto di circa 84 miliardi di dollari all’anno. Una barca di soldi con la quale si potrebbero creare dai 3 ai 4 milioni di posti di lavoro diretti, ai quali vanno aggiunti i benefici indiretti che possono influenzare positivamente altre opportunità di reddito per le comunità locali.
Un esempio di questa autentica rivoluzione economica e culturale è l’iniziativa denominata “Grande Muraglia Verde per il Sahara e il Sahel”, lanciata dall’Unione Africana nel 2007 (un vero e proprio muro verde lungo 8000 km e largo almeno 15 km che si estende dal Senegal fino a Gibuti): nel progetto è stato previsto di ripristinare 100 milioni di ettari di terreno attualmente degradato, che saranno in grado di sequestrare 250 milioni di tonnellate di carbonio e di creare 10 milioni di posti di lavoro verdi entro il 2030.
Anche la Cina sta portando avanti un progetto del genere nel deserto del Gobi. Le tempeste di sabbia che spesso colpiscono la zona nord della nazione stavano causano la progressiva perdita di aree coltivabili e così, già dal 1978, hanno pensato di reagire: piantare 100 miliardi di alberi lungo i 4.500 chilometri del confine del deserto. E così, dopo la famosissima Grande Muraglia Cinese (quella fatta in muratura) alcuni miliardi di alberi sono già stati piantati in un’area estremamente vasta conosciuta come la Grande Muraglia Verde (Great Green Wall), fatta questa volta di alberi. Il programma andrà avanti fino al 2050. Ma tutto questo come viene finanziato?
E’ stato escogitato un meccanismo molto semplice, una sorta di “accisa” volontaria. Hanno inserito un piccolo gioco di pubblica utilità (Ant Forest) all’interno della più grande applicazione di pagamento mobile della Cina, che si chiama Alipay. Il programma abbinato al gioco accantona una piccolissima cifra ogni volta che gli utenti effettuano i pagamenti on-line: questi pagamenti ormai vengono usati per tutti gli acquisti quotidiani. Raggiunta così una certa somma, il sistema la destina alla piantumazione di un albero nel deserto. Gli utenti di questo gioco attualmente in Cina sono 200 milioni di persone, soprattutto ragazzi.
Ma la riforestazione ormai sta diventando sempre più importante per contrastare il dissesto idro-geologico (soprattutto in Italia), ma anche per abbattere l’inquinamento ed attenuare le isole di calore nelle città. Anche in questo caso qualcosa si sta muovendo, ma si tratta di iniziative sporadiche e poco coordinate. Sarebbe opportuno sapere cosa intendono fare i nostri governi su questo tema (opposizioni incluse), visto che, anche con un semplice calcolo a spanne, si potrebbero creare due posti di lavoro l’anno, ogni 10mila alberi da trapiantare. Purtroppo riscontriamo dal sito della “Bonn Challenge” c’è un solo paese europeo, la Scozia, che finora ha avviato iniziative del genere. Un motivo in più per i ragazzi e le ragazze dei movimenti “Fridays for Future” per ricominciare a far sentire la loro protesta.
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