Sono tantissime le situazioni sfavorevoli che nel corso della nostra esistenza possono portare i nostri cari, gli amici e noi stessi in una situazione di invalidità e inabilità che condizionerà per sempre la qualità della nostra vita. Che si tratti di infortuni domestici o sul luogo di lavoro, di incidenti stradali, di malattie cardiovascolari/respiratorie o di neoplasie (tumori), molto spesso l’esito clinico sarà una malattia cronica o una menomazione del corpo che appesantirà ulteriormente nel futuro la condizione invalidante già subita. Questa condizione si colloca spesso al limite della sopportabilità, sia sotto il profilo fisico che psicologico, quando è accompagnata da un dolore cronico. I più esposti in assoluto a questa penosa situazione sono senza dubbio le persone ormai entrate nella fase terminale della propria vita, a causa di gravi malattie e patologie divenute nel tempo incurabili.
Al fine di trovare una soluzione a tale problema, negli ultimi decenni si è sviluppata in Occidente una ricerca scientifica e una produzione industriale di farmaci basati su antiche tradizioni sanitarie adottate dai popoli orientali e che ha portato alla cosiddetta “Terapia del Dolore”. Un tipo di intervento terapeutico che a sua volta si traduce essenzialmente nell’uso estensivo della morfina: un farmaco “oppiaceo” (derivante dall’oppio) ricavato per sintesi da una particolare specie di papaveri che cresce spontaneamente soprattutto in Asia, in particolare nell’Afghanistan. La morfina è un farmaco che nel tempo è divenuto una sorta di prototipo per tutti i farmaci analgesici e anestetici, e che purtroppo ha visto esploderne il consumo a livello mondiale nel passato a causa del suo uso come sostanza stupefacente e narcotica. Tra l’altro dalla morfina si ricava la ben più pericolosa eroina.
La scienza e le industrie del settore sanitario quindi nel tempo si son trovate in forte imbarazzo da un lato a causa di quest’uso non farmacologico degli oppiacei, dall’altro, soprattutto, a causa della sistematica dipendenza fisica e psichica che queste sostanze ingenerano negli assuntori, perché interferiscono direttamente nel sistema nervoso centrale degli umani. Un paradosso che nei casi dei malati terminali si colloca ai confini etici della terapia: per morire in pace, cioè senza soffrire intensi dolori fisici, queste persone sono costrette a diventare loro malgrado “tossicodipendenti”.
LE INDICAZIONI DELLA NATURA
Neanche a dirlo, anche in questo caso è la biodiversità della Natura che sta offrendo le indicazioni giuste per uscire definitivamente anche da questo enorme imbarazzo scientifico ed industriale. è il caso della resiniferatossina (RTX), un principio attivo analogo, ma 500 – 1.000 volte più potente, a quella che da il caratteristico sapore piccante al peperoncino. La si estrae da una pianta di cactus, l’Euphorbia resinifera, originaria del Marocco e che forse, senza saperlo, ce l’abbiamo già dentro casa come pianta ornamentale. La sostanza che se ne ricava era ben nota, sotto forma di resina, già ai medici dell’antica Grecia e dell’Impero Romano (Plinio il Vecchio ne aveva già descritto le caratteristiche nel 77-79 d.C.). è una sorta di tecnica naturale che la pianta utilizza per difendersi dai suoi predatori. E’ così potente che l’ingestione di un solo grammo potrebbe portare alla morte una persona in poco tempo: ma a dosi di gran lunga inferiori il suo utilizzo porta ad importanti effetti benefici.
In Marocco infatti dai suoi fiori se ne ricava un tipo di miele molto particolare che all’analisi del gusto ha un sapore piccante, ma che non determina alcuna irritazione.
I ricercatori del National Institute of Health (USA) hanno scoperto che l’RTX , non essendo un oppiaceo, non interessa il cervello, ma agisce direttamente sulle terminazioni nervose della pelle. Questa sostanza in pratica, come se fosse un interruttore della luce e grazie al suo potente effetto analgesico/anestetico, è in grado di disattivare una serie di neuroni che nel nostro sistema nervoso centrale sono implicati nella trasmissione del dolore. Le ricadute applicative che i ricercatori americani stanno sperimentando sono indirizzate soprattutto verso i malati terminali, ma anche tutti coloro che hanno subìto un’invalidità o un’inabilità permanente potrebbero avere presto un’alternativa ai farmaci oppiacei. Questa volta però senza dover subire alcuna forma di dipendenza.
LA LOTTERIA DEI FARMACI E LA BIODIVERSITA’
Giustamente, oltre vent’anni fa, qualcuno ha scritto che: “La scoperta di un nuovo farmaco è stata paragonata ad una lotteria e gli esempi presi in esame mostrano come i composti naturali siano sovente biglietti molto speciali. In questo contesto, la scomparsa di una nuova specie animale o vegetale è come la perdita di un carnet di biglietti per una lotteria il cui premio è rappresentato dal benessere dell’umanità”.
Da: “Prospettive per la terapia del dolore” – Autori: C. Blengini – Medico Generale di Dogliani (Cuneo) e E. Pugno – Medico Chirurgo di Torino.