Smetterla di “sfasciare” lo stomaco dei nostri figli è il passaggio prioritario da fare in questo periodo di emergenza sanitaria per invertire la rotta che ci ha condotto dentro. Evitare preventivamente infiammazioni intestinali “inutili” e persistenti con una informazione puntuale su ciò che mangiamo, può migliorare la risposta immunitaria nelle fasi successive della vita. Parliamo ovviamente delle cosiddette intolleranze alimentari, ma ce ne occuperemo non solo per verificare se è vero che le produzioni attuali di grano, latte ed altri alimenti contengano rispettivamente più o meno glutine, lattosio e altri allergenici. Un dato al quale rispondiamo subito. No! Non è vero che sono state cambiate queste percentuali (la natura non si modifica da un giorno all’altro), ma è cambiata completamente la loro modalità di produzione, di trasformazione e d’uso. Per questa inchiesta infatti adotteremo un punto di vista diverso e poco esplorato: cioè se gli alimenti industriali che vengono prodotti con queste materie prime e con la loro diffusione ormai globalizzata, siano compatibili o meno con la nostra storia nutrizionale e di conseguenza per quella dei nostri figli. Ci spieghiamo con un esempio di carattere personale: passare da una alimentazione a base di mais a una alimentazione forzata dall’eccesso di glutine.
L’autore di questo articolo è originario del Friuli, dove buona parte della povera alimentazione disponibile all’epoca della nascita dei genitori, circa un secolo fa, era a base di mais: un cereale che non contiene glutine. Il tipico piatto della polenta, di per sé incompleto sotto il profilo nutrizionale, veniva consumato quasi quotidianamente con le varie integrazioni disponibili di origine animale (latte di mucca, formaggi, carne di pollo e maiale e poco altro ancora), ottenute tutte in azienda. Il mais è originario dell’America centrale, come sappiamo, ed è ormai diffuso in tutto il mondo come alimento base per la produzione di bovini da carne e latte. Quello denominato RR (dove RR sta per “Roundup Ready” – cioè “mais adatto al Roundup ) è il primo Organismo Geneticamente Modificato (OGM) brevettato nel mondo dalla Monsanto. Non ci è dato sapere perché la natura ha previsto che ogni varietà di questo tipo di cereali non sia presente il glutine, ma così è da sempre e questa assenza riguarda anche l’altro cereale più consumato al mondo: il riso. Si può dire quindi che la storia alimentare della maggioranza dell’attuale popolazione mondiale, cioè l’adattamento dell’apparato digerente degli individui, fin dalla nascita, ai vari tipi di cibo assunti nei luoghi d’origine, non ha mai contemplato la presenza del glutine tra gli alimenti posti alla base della propria dieta.
L’emigrazione della mia famiglia nell’Agro Pontino (zona a sud di Roma) a causa della prima guerra mondiale e delle conseguenti ristrettezze economiche, ha determinato una drastica variazione della dieta su indicata con l’introduzione di alimenti a base di grano duro (pasta) e grano tenero (pane) che invece il glutine lo contenevano, ma in una percentuale tutto sommato tollerabile per stomaci abituati alla denutrizione (tra il 5 e 6%). La mia famiglia, cosi come tutte le altre emigrate nella stessa epoca, dagli stessi luoghi di provenienza e per gli stessi motivi, si videro cosi consegnare dal regime fascista dei sacchi di grano per farne il pane quotidiano, anche se non avevano la più pallida idea di come si realizzava l’impasto, la cottura e la conservazione. Dovettero imparare molto in fretta, viste le circostanze, ed essendo quella farina del grano tenero completamente integrale (cioè con la crusca), non ci furono conseguenze particolari per l’assimilazione e la digestione di questo “nuovo” nutriente. Grosso modo la stessa evoluzione si ebbe con il grano duro e la preparazione della pasta. Per decenni la percentuale del glutine del grano prodotto e consumato in famiglia e nel resto del paese rimase a lungo tra il 5 e 6%. Fin qui la storia personale.
Negli ultimi decenni però le cose intorno alla produzione di pane e pasta, tra i principali prodotti della dieta mediterranea (ma vale lo stesso discorso per tutti i cereali prodotti nel mondo), sono completamente cambiati per aumentarne le produzioni e per motivi industriali.
Gran parte del grano in circolazione infatti, sia tenero che duro è stato “nanizzato” per renderlo più facile al raccolto meccanico. Questo è avvenuto modificato geneticamente non il DNA dei semi, come avviene con gli OGM, ma attraverso l’irraggiamento con particelle atomiche. Contemporaneamente sono stati eseguiti degli incroci genetici (sempre non OGM) per diminuire la parte coriacea dei chicchi (diminuita in media del 15%) per aumentarne la parte proteica. Nei prodotti agroindustriali poi, si è cominciato ad usare sempre più spesso farine tipo “0” (zero) e “00” (doppio zero), mentre non si trovano più le farine di tipo “1” e tipo “2” rispetto alle quali le prime sono termine di paragone; ciò dipende dal fatto che la farina viene setacciata e filtrata (in gergo tecnico italiano “abburrattata”) per togliere fibre e ceneri, con la conseguenza di un ulteriore aumento del contenuto proteico. Nella fase di macinazione inoltre, che per motivi industriali diventa sempre più veloce, i chicchi dei cereali vengono poi stressati molto di più rispetto al passato (quando avveniva la macinazione a pietra), con la conseguenza che è necessario aggiungere glutine vitale agli stessi cereali seccati per renderli egualmente lavorabili.
La conseguenza di tali modifiche delle tecniche produttive è stata un aumento del 50-60% del valore proteico di tutte le farine nazionali ed europee, soprattutto quelle di grano. Il glutine è passato dal 5-6% all’11-12% e anche più. Qualche grande produttore italiano di pasta, vista crescente richiesta a livello mondiale, ha cominciato a premiare i produttori che conferivano grano con percentuali di glutine superiore al 15%. Con la globalizzazione infine sono comparsi sul mercato i “grani forti” (cosi definiti proprio per l’alta percentuale di glutine), in particolare la farina di manitoba. Quest’ultimo è un cereale originario dell’omonima regione canadese che ha delle ottime caratteristiche per le industrie del settore: resiste molto bene alle basse temperature (vedi preparati di base per pane, pizza e altri prodotti da forno conservabili a lungo in frigo); è una farina molto duttile che può assorbire grandi quantità d’acqua (fino all’80% del suo peso iniziale); grazie all’alto contenuto di glutine può raggiungere anche il 18% del contenuto proteico al quale di solito si associa il sapore del prodotto finale. Qui dobbiamo fare un primo, piccolo inciso perché proprio l’elevata percentuale di glutine costituisce una sorta di difesa immunitaria della pianta dalla quale si ricava questo grano tenero.
Dal punto di vista della trasformazione poi la manitoba è la farina ideale per la lievitazione di lunga durata di ogni tipo di impasto da forno e viene usata sempre più spesso nella produzione del seitan: uno dei cibi preferiti dai vegetariani e dai vegani. In Italia sarebbe vietato il suo uso per la produzione della pasta (si può usare per legge solo grano duro), ma esclusivamente per il consumo in interno: per l’esportazione non esistono particolari limitazioni. Questo perché nella fase di cottura la pasta risulta molto più resistente, resta più a lungo “al dente” e praticamente scuoce solo se la lasciamo sul fuoco molto più a lungo del necessario. L’impasto del pane ottenuto con questa farina poi risulta più facilmente lavorabile, resistente, elastico e tenace e una volta sfornato il prodotto che si ottiene è bello gonfio e ben sviluppato; è la cosiddetta alveolatura causata da una maggiore produzione di anidride carbonica (causata a sua volta dall’alta glicemia della farina) che resta intrappolata nell’impasto durante la cottura. E’ un piacere più che altro estetico, quello che attira i clienti, perché in realtà, all’atto della masticazione, quel pane risulta alquanto “gommoso”. Qui sta il punto essenziale del nostro approfondimento.
Questa sensazione che stiamo masticando gomma che poi si rigonfia nello stomaco una volta ingerito il cibo (in pratica qualcosa di simile che avviene negli impasti), sia pure con un buon sapore, non è casuale, ma è proprio l’effetto del glutine. Perché il glutine è a tutti gli effetti una gomma che per il nostro stomaco, già in una storia nutrizionale normale, era difficile da digerire; figuriamoci quando lo ingeriamo in una percentuale raddoppiata, se non triplicata, in cosi poco tempo. E quando il nostro stomaco non riesce a digerire qualcosa, scattano automaticamente le infezioni che ne determinano l’espulsione (quando tutto va bene, sennò sono altri guai). Anche per gli altri alimenti che stanno provocando sempre di più intolleranze (latte, zucchero, uova) vale lo stesso discorso.
Ora, in conclusione, possiamo considerare gli apparati digestivi dei bambini che hanno ricevuto una eredità nutrizionale ben diversa da quella imposta dall’attuale modello di produzione industriale e possiamo chiederci, anzi dobbiamo, se sia sostenibile per loro un futuro nel quale continueremo a “sfasciargli” lo stomaco in questo modo. Salvo poi arrivare ad una età adulta e ad una vecchiaia dove, infezione dopo infezione, ne arriva una causata da un virus al quale il loro sistema immunitario non riesce più a rispondere perché ormai troppo stanco. Occorre invece far diventare il cibo la loro principale medicina preventiva. Ed è questa la vera sfida del futuro su questo tema.