Quando indossiamo i guanti per lavare i piatti o pulire la verdura, per scegliere la frutta al supermercato o quando cambiamo la ruota con lo pneumatico deteriorato della nostra auto o compriamo delle scarpe, difficilmente ci chiediamo con che tipo di gomma sono fatti questi prodotti di uso quotidiano. Non è una domanda di poco conto, perché le nostre scelte e i nostri singoli comportamenti nel loro complesso hanno un grande impatto sull’ecosistema in cui viviamo. Oggi più della metà dei prodotti realizzati con gomma derivano da fonti petrolchimiche inquinanti, che determinano grandi problemi di smaltimento. Inoltre, il petrolio è destinato ad esaurirsi nel medio-lungo termine. L’altra metà invece viene realizzata con il lattice estratto dalla corteccia dell’albero della gomma, originario del Brasile (Hevea brasiliensis), in particolare della foresta amazzonica. Questa pianta, però, a causa della sua esportazione e coltivazione in zone diverse da quella originaria, soprattutto nel sud-est asiatico, è fortemente minacciata da un batterio che sta compromett
endo la produzione globale di questa fondamentale materia prima.

In questa regione, situata nella fascia tropicale della Terra, si trova il 90% degli alberi della gomma oggi esistenti al mondo; una zona nella quale il batterio, diversamente dal luogo d’origine, non ha antagonisti biologici naturali in grado di contrastarlo. Di conseguenza, la mancanza di una vera e propria cura favorisce il diffondersi dell’infezione. L’unica forma d’intervento esistente è quella di asportare completamente le parti delle piante infettate e successivamente trattarle con sostanze chimiche. Un processo molto costoso che, tra l’altro, non garantisce risultati certi. Aziende, ricercatori e scienziati di tutto il mondo si sono messi alla ricerca di soluzioni alternative per la produzione del lattice, dal quale ricavare gomma naturale.
LA RIVINCITA DELLA SCAROLA
I ricercatori della Washington State University (USA) invece hanno puntato la loro attenzione su un’altra erba che mangiamo abitualmente soprattutto d’inverno, cruda e cotta ad esempio nella pizza napoletana: la scarola. Considerata un’insalata “minore”, questo comune ortaggio non è molto amato dagli agricoltori, anche se è molto produttivo, oltre che resistente alle malattie e al freddo.
La colpa è della secrezione che la pianta rilascia dalla sezione di taglio del gambo quando viene raccolta. È una sorta di colla che si appiccica alle dita facendole diventare scure e molto difficili da lavare. Per questo chi la coltiva ormai si è abituato ad usare i guanti di gomma quando la raccolgono. Si tratta di un esempio della legge del contrappasso creato indirettamente dalla Natura.
Ora gli scienziati americani guidati dal Prof. Ian Burke hanno scoperto che proprio la secrezione lattiginosa di un’insalata selvatica, che appartiene alla famiglia della scarola (la
Lactuca Serriola L.) e che cresce bene nel Nord America, ha un codice genetico del tutto simile a quello dell’albero della gomma.
Quest’insalata è una lontana parente della lattuga che a sua volta, è originaria dell’America.

La scoperta è di grande interesse economico, perché la produzione di gomma naturale, oltre ad alleviare la minaccia del batterio sulla produzione di lattice naturale a livello mondiale, potrebbe avvenire anche in aree del pianeta dove c’è un clima più temperato, rispetto a quelle della zona tropicale. Ecco perché, indossando un paio di guanti in futuro o dovendo sostituire le gomme dell’auto, potremo non preoccuparci più se stiamo aiutando la Natura o la stiamo danneggiando.
Business anche dove c’è poca acqua
La scarola consente un uso efficiente dell’acqua che potrebbe consentire di poterla coltivare anche in zone del pianeta dove le piogge sono minime. In rotazione con altre colture alimentari, non interferirebbe con la produzione di cibo.
Una ricerca trascurata
Già uno studio pubblicato nel 2006 aveva rilevato che il lattice della scarola era molto simile ai polimeri che si trovano nella gomma naturale. I ricercatori della Washington State University hanno ripreso questa ricerca ed hanno così riavviato gli studi con due campioni distinti di scarola selvatica, raccolti nella regione nordamericana dove c’è l’università, arrivando a scoprire che la varietà con meno foglie, con più steli e che si “chiude” lentamente è più ricca di lattice. L’esatto contrario di quello che occorre per la scarola destinata alla vendita e al consumo alimentare, che deve avere un solo stelo, foglie abbondanti e una “chiusura” veloce: quest’ultimo processo ingiallisce le foglie interne rendendole più tenere e gradevoli al palato.
Pneumatici ‘vegetali’
I produttori di copertoni da tempo si stanno attrezzando per soluzioni “verdi”. Pionieri nel campo è l’italiana Novamont, che già dal 2007 ha inventato uno pneumatico fatto con un derivato dal mais (il MaterB, quello delle buste biodegradabili).
L’additivo sostituisce per il 50% il nero carbonio e la silice, riducendo il rumore, l’attrito e quindi le emissioni di CO2, oltre a far risparmiare carburante e battistrada. L’americana Good Year e l’italiana Pirelli, stanno mettendo a punto pneumatici, utilizzando la cenere ricavata dalla combustione della pula di riso. Questo tipo di cenere ha un’alta concentrazione di silice, la quale, una volta aggiunta alla gomma, rende lo pneumatico più solido e resistente e più aderente alla strada. Aumenta la solidità e la resistenza al rotolamento del pneumatico, oltre a renderlo più aderente alla strada. Queste caratteristiche fanno anche risparmiare carburante. Trattandosi di materie naturali, il riciclo di tali pneumatici diventa molto più facile, evitando che vengano bruciati. Michelin ha realizzato un composto totalmente biodegradabile (Bio Butterfly) per pneumatici senza composti chimici derivati dal petrolio, utilizzando una sostanza che proviene dalla fermentazione dell’alcol. La Bridgestone ha creato un copertone riciclabile al 100%, senza camera d’aria e realizzato in una resina termoplastica. La giapponese Yokohama propone un pneumatico a base di caucciù naturale e un altro a base di succo d’agrumi. Il leader europeo Continental ha messo a punto un prodotto ottenuto da estratti del comunissimo tarassaco (“dente di leone”), che cresce spontaneamente anche in Italia.

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