Tutte le università del mondo ormai stanno creando delle start-up dopo aver fatto una piccola scoperta, che poi si è rivelata una soluzione ad un problema molto più grande. Quello qui illustrato è uno di questi casi e ancora una volta si tratta di una soluzione naturale e capace di promuovere sana economia, rispettando l’ambiente e la nostra salute. Nel particolare, questa soluzione arriva da un legume quasi dimenticato: il lupino, che sta diventando una valida risposta alla iper-produzione ed invasione di soia, a sua volta pompata per fare i mangimi e tenere testa al folle incremento del consumo di carne, con impatti sempre più gravi (leggi anche: La terra basta per tutti ).
La soia oggi è il legume più coltivato al mondo, ma il suo uso per l’alimentazione umana e animale diventa ogni giorno sempre più controverso. La produzione è di circa 220 milioni di tonnellate annue, realizzata per oltre l’80% in appena cinque Paesi: USA, Brasile, Argentina, Cina e India). Tutte nazioni dove è stata autorizzata la produzione di colture agricole con sementi geneticamente modificate, gli OGM. Per far posto alla sua coltivazione sono già state abbattute in tutto il mondo grandi zone di foresta pluviale: fenomeno che, abbinato alla monocoltura e all’immancabile uso intensivo di pesticidi, sta provocando drastiche perdite di biodiversità nelle zone interessate. La soia è usata in gran parte per mangimi altamente proteici, ma è in netta crescita anche la sua utilizzazione per l’alimentazione umana, quella dedicata ai bambini, in particolare.
Ad esempio, è ormai presente in tutti i nostri supermercati il cosiddetto “latte” di soia – che in realtà è una bevanda, per legge non può essere definito latte ciò che non è di origine animale – e il relativo “formaggio” (il tofu). Questi prodotti, inizialmente rivolti per lo più ai soggetti intolleranti al lattosio e al latte di mucca, sono ormai di largo consumo. Di solito però non si dice che la soia ed i suoi derivati sono considerati dal punto di vista sanitario degli allergenici, in grado cioè di produrre ulteriori allergie. La soia infatti è inclusa nell’apposito allegato di quella Direttiva UE 2003/8913, che ha determinato uno dei primi approcci normativi a livello comunitario su questo delicatissimo problema.
La proliferazione delle allergie e delle intolleranze alimentari è attualmente uno dei veri “buchi neri” della nostra conoscenza sul tema sanitario, legato alla nostra alimentazione. È la domanda che sempre più spesso noi stessi inconsciamente tendiamo a rivolgerci: perché dei cibi che fanno parte della nostra tradizione alimentare e che noi adulti un tempo potevamo gustare con piacere e digerire senza alcun problema, oggi sono diventati un così grave fattore di sofferenza per le nuove generazioni? La materia, sotto il profilo scientifico e normativo, siamo noi per primi a sottolinearlo, ovviamente è molto delicata. Ma non è un caso che tutta la legislazione comunitaria, almeno in teoria, è orientata verso il principio della precauzione: prima si dimostra che un determinato prodotto fa effettivamente bene e non dà problemi alla nostra salute e poi (solo poi) lo si autorizza. Purtroppo nella pratica l’UE ci ha dato ampie dimostrazioni di come si possa predicare bene e razzolare molto male.
Il risultato è che la soia a livello globale, soprattutto in Europa, è ormai quasi tutta OGM.
Come detto, anche in questo caso comunque ci ha pensato la Natura, creando da sé un’alternativa altrettanto valida sotto molti profili. È il lupino: un prodotto “tuttofare” molto conosciuto dai nostri nonni e stava rischiando di essere abbandonato proprio a causa dell’avvento impetuoso di altri legumi (tipo la soia, per l’appunto). Un avvento rappresentato agli ignari agricoltori come un prodotto più facile da coltivare ed in grado di dare rese produttive notevolmente maggiori. In effetti il lupino era da sempre considerato il più povero dei cibi dei poveri, a causa del suo sapore sgradevole conferitogli dal trattamento in salamoia. L’alta percentuale di sostanze amare, la sua consistenza farinosa ed un retrogusto rancido se non consumato appena in tempo, lo hanno reso da sempre alquanto svantaggiato. Insomma: consumato in massa sì, perché non c’era alternativa, ma con molta diffidenza. Oggi la diffidenza riguarda semmai gli Ogm e i lupini provengono da semi assolutamente non transgenici.
Questa alternativa, programmata dalla Natura anche al fine di preservare la fertilità dei terreni (fissa l’azoto naturalmente presente nell’aria incrementando la fertilità), è stata recentemente riscoperta (ancora una volta) dal mondo della ricerca della Germania, nazione a sua volta grande importatrice di soia OGM, destinata a quell’alimentazione animale che poi finisce comunque nei nostri piatti, in un modo o nell’altro. I ricercatori dell’Istituto Fraunhofer for Process Engineering and Packaging (acronimo tedesco IVV), attraverso una ricerca durata oltre 20 anni, si sono accorti che nei semi dei lupini sono racchiusi in realtà almeno 50 aromi diversi, anche gradevoli, ed hanno messo a punto un processo, a sua volta completamente naturale, per rimuovere quelle che rendono sgradevole il suo consumo. Queste inaspettate caratteristiche sono presenti in entrambe le varietà, bianca e gialla. E perciò si presta benissimo per alimentare sia il bestiame che le persone.
La scoperta si è trasformata in una giovane ed innovativa piccola industria dal nome eloquente e vagamente allusivo: Prolupin GmbH. L’allusione (forse) è ad un noto personaggio letterario, Arsenio Lupin, che attraverso i suoi ingegnosi furti amava fornire sgradevoli sorprese a personaggi ritenuti intoccabili. La Prolupin è una start-up promossa dallo stesso Istituto di ricerca tedesco.
Sempre in gergo economico, è quel che si definisce “spin-off”, ossia un progetto imprenditoriale avviato da chi ha fatto ricerca e che fa impresa con il frutto dei suoi studi. Dopo esser stata creata nel 2010 l’idea imprenditoriale si è rivelata fin da subito vincente, perché i suoi prodotti, oltre ad essere privi di OGM, danno una risposta anche alle persone con intolleranza al lattosio.
Con questo legume la società realizza una sostanza utilizzata come base per la produzione di altri venti alimenti (yogurt, crema di formaggio, bevande, dessert, pasta, maionese, etc.) che oggi sono derivati, a scatola chiusa, dalla soia. Il tutto senza utilizzare neppure latte animale e uova e, dichiara l’azienda, ricavando sostanze alimentari con un grande concentrato di proteine: il 90% rispetto ai semi secchi. Normalmente il contenuto di proteine a secco dei lupini è del 36%, mentre quello della soia è del 37%. Gli aromi sgradevoli del lupino poi vengono riutilizzati per produrre la leccornia più apprezzata da bambini e adulti: il gelato. Certo, vista la devastazione compiuta in questi decenni ai nostri palati e ai nostri apparati digerenti, la novità non può essere apprezzata da tutti. Ma intanto la strada è segnata. L’alimentazione iper-proteica, specialmente da carni, gravemente dannosa (anche per il nostro Pianeta) e basata sulla mancanza di informazione, ha dunque trovato un piccolo, antico, ma tenacissimo avversario: sarà l’intelligenza delle persone a fare la differenza.
Il lupino è certamente l’alimento del terzo millennio. È più utile quanto e forse anche più dei farmaci nella lotta contro i livelli alti di colesterolo e glicemia, indicato per chi ha problemi cardiovascolari, consigliato contro il rischio di infarto e di ictus, aiuta la prevenzione del cancro al colon, suggerito anche per chi fa sport e per chi deve tenere sotto controllo il peso. Rispetto alla ‘cugina’ soia, la pianta del lupino non ha bisogno di alcuna modificazione Ogm per rendere al massimo, non soffre nemmeno temperature piuttosto fredde ed ha un costo di coltivazione molto basso.
È evidente quindi perché da una decina d’anni a questa parte molte università, soprattutto europee, stanno svolgendo studi e sperimentazioni su questo legume, che era molto popolare al tempo degli antichi romani, ma che poi è caduto in disuso nella moderna alimentazione di tutti i giorni. All’avanguardia negli studi sul lupino sono certamente i tedeschi, ma anche l’Italia si sta fortemente interessando al legume giallo, con studi specifici dell’Unità di Metabolismo-nutrizione del San Raffaele e dell’università degli studi di Milano. La Comunità europea, dal canto suo, ha finanziato con più di un milione di euro il progetto LUPICARP (Innovative functional foods based on sweet lupin protein for cardiovascular prevention).
Traguardato dal punto di vista dei consumatori, soprattutto i più poveri, il problema appare ormai come il classico cane che si morde la coda: i consumi alimentari a livello mondiale si stanno spingendo sempre di più verso prodotti ricchi di proteine, quelli di derivazione animale, per l’appunto. Per far fronte a questa esigenza (per lo più indotta) occorre rendere sempre più performanti le nostre produzioni agricole, che, però, a loro volta determinano enormi impatti ecologici, sociali e ambientali. Impatti che tutti gli scienziati di questo mondo considerano ormai insostenibili per l’umanità. Non è un caso che oggi il maggior fattore di produzione di gas serra sulla Terra non sono più, come in passato, le emissioni in atmosfera delle fabbriche, del traffico veicolare o del riscaldamento domestico. È invece la produzione di bestiame per consumo umano sotto forma di carne, insaccati, latte, latticini, “cibi pronti”, grassi vari, etc., il fattore che sta facendo sballare i conti climatici al nostro Pianeta. E la soia, per l’appunto è il ‘carburante’ dell’industria del bestiame.