C’è un modo creativo per eliminare il razzismo e le ingiustizie sociali dalle nostre società? Si, esiste: basta farsi prendere per la gola! Ma non nel senso del gesto violento e coercitivo di subire passivamente la stretta del collo da parte di qualcuno che vuole imporci in tal modo la sua volontà (comportamento molto in voga tra i sovranisti), bensì nel senso di riscoprire il gusto per i tantissimi cibi, piatti tipici, ingredienti e nutrimenti esistenti a livello globale. La convivialità, lo scambio delle conoscenze dei lavori manuali e dei vecchi mestieri, la riscoperta dei saperi e dei sapori, il desiderio di avere città più vivibili e più belle, sono tutte attività che stanno diventando un fenomeno politico-sociale in forte espansione in molti paesi europei. Sono attività che trovano sempre di più come punti d’incontro strategici la necessità di una mobilità alternativa e la buona cucina in un’ottica di condivisione.
Nel nord della Svezia c’è la piccola città di Umeå che ha un’altissima percentuale di popolazione universitaria: sono circa 30.000 gli studenti che vi risiedono annualmente. Come spesso accade, per motivi economici, le biciclette sono il mezzo di trasporto obbligato, più che preferito dai ragazzi. Ogni anno gli studenti comprano le biciclette più a buon prezzo per poi abbandonarle quando se ne vanno. Aamer Barood è un ragazzo sudanese che ci si è trasferito nel 2016 ed ha subito notato le numerose biciclette abbandonate per le strade: uno spreco che nel suo paese d’origine sarebbe stato sicuramente disapprovato. Ispirato a rimetterle in uso, lui e altri studenti internazionali hanno fondato Umeå Wheels, una startup che raccoglie, ripara e offre le biciclette in vendita o in affitto. Aamer, il ragazzo che si vede al centro della foto con il suo team, ha spiegato in una intervista che nel piccolo villaggio africano da dove proveniva la condivisione era ed è un modo di vivere. Soprattutto con il cibo, se qualcuno lo ha disposizione oggi lo condividerà comunque con altri, non perché vuole condividere, ma perché non è sicuro di avere cibo per domani e già sa per certo che qualcun altro avrà cibo per domani e lo condividerà con lui a sua volta. La startup ha già salvato e recuperato migliaia di biciclette abbandonate rivendendole ad un prezzo minimo da 60 dollari in su: un prezzo abbordabile per ogni studente. L’azienda offre sconti con la possibilità per gli studenti di rivendere la bici quando si lasciano la città. La manutenzione è gratuita e agli acquirenti viene offerto questo bonus perché la maggior parte delle biciclette sono vecchie e i duri inverni della città rendono le biciclette bisognose di molta manutenzione. Dopo l’indifferenza iniziale le autorità locali hanno dato una mano per coprire i costi iniziali del progetto ed ora l’azienda vive di vita propria.
Un’altra iniziativa istruttiva e divertente del fenomeno qui evidenziato è il servizio di bike-sharing gratuito organizzato dalla cooperativa “Bike Kitchen” di Bratislava (Slovacchia). Tomas Peciar, il principale promotore del progetto, quando era ancora ventenne era andato a vivere con sua moglie per un anno in Spagna. Una volta tornati aspettavano un bambino e i soldi a disposizione per mandare avanti la giovane famiglia erano ben pochi. Per ragioni esclusivamente economiche quindi, anche se il ragazzo era abituato ad andare in biciletta fin da bambino Tomas (l’uoma a destra nella foto qui di fianco) si era fatto prestare una bici da un amico, scoprendo da subito che quel mezzo era più veloce degli altri trasporti pubblici. L’uso massiccio e indiscriminato delle auto, spesso parcheggiate ovunque, determinava quotidianamente problemi di intasamento del traffico. Insieme ad alcuni amici quindi nel 2010 organizzò il primo Critical Mass della città e subito dopo il gruppo diede vita ad una Ciclo-coalizione di Bratislava. Già dall’anno successivo fu fondata la cooperativa Bike Kitchen che si occupava più che altro della riparazione di vecchie biciclette e dove comunque i partecipanti si incontravano per cucinare insieme e per organizzare eventi di sensibilizzazione della cultura della mobilità alternativa.
Dal 2014, i ragazzi della cooperativa hanno sviluppato un sistema di bike-sharing, il White Bikes, che affitta le biciclette gratuitamente attraverso un software open-source da loro stessi progettato. Un servizio di bike – sharing gratuito? Dove sta la convenienza se non ci sono incassi? Le risposte a queste domande dimostrano come le biciclette e il cibo possono agire come forti elementi di connessione tra le comunità.
Le ha fornite direttamente l’interessato in una intervista che si trova su Internet (). Durante il primo periodo, la cooperativa aveva a disposizione uno spazio molto piccolo. Poi, attraverso il bilancio partecipativo del Comune di Bratislava, aveva avuto la possibilità di utilizzare alcuni spazi in un edificio di proprietà comunale. Anche nella nuova sede le attività erano più o meno le stesse: incontrarci settimanali tra amici, cucinare insieme e, ovviamente, riparare biciclette. La voce ha cominciato a diffondersi nella città e l’iniziativa ha iniziato a crescere. Non a caso i più attratti dal bike-sharing gratuito erano altri tipici soggetti “squattrinati”: gli studenti “fuori sede” che risiedevano in città. Anche loro dovevano spostarsi in bicicletta perché da un lato dovevano risparmiare i soldi del trasporto pubblico, mentre dall’altro dovevano fare i conti anche con i costi delle riparazioni. Tra squattrinati di solito ci si capisce al volo e cosi è nato l’accordo dove, in cambio della riparazione o del prestito delle biciclette fornito dai ragazzi della cooperativa, gli studenti hanno cucinato per loro delle ottime specialità da tutto il mondo. In fondo il buon cibo e le biciclette fanno la stessa cosa: collegano le comunità in un modo inclusivo. Sono nate cosi le “ciclo cucine” (Cyklo Kuchyňa in svolacco) che si vedono in questa foto.
Dalle iniziali 50 bici sparse per tutta Bratislava, in pochi anni il servizio è cresciuto fino a coinvolgere ormai quasi 1.000 utenti. Nella cooperativa non si entra su semplice richiesta dell’interessato, ma attraverso un colloquio formativo di 20 minuti dove ai nuovi utenti viene chiesto che cosa possono offrire per migliorare l’intero servizio: magari anche solo pulire le biciclette o dare una mano a trasportare il cibo. A differenza dei sistemi dei servizi di bike-sharing a pagamento, il sistema gratuito White Bikes, è praticamente quasi autosufficiente sotto il profilo economico grazie alle scelte progettuali basate sulla condivisione e incorporate nel sistema fin dall’inizio. Ogni utente viene inserito in un data base regolato da un’applicazione open source che a sua volta gestisce i punti di credito virtuale di cui ogni socio dispone grazie alla propria attività collaborativa/cooperativa (per esempio, pulire e riparare le biciclette). Usare la bici per un’ora poi costa 1 punto, ma se non la riporta indietro, non la si chiude o la chiude male o si compiono altre irregolarità, l’utente perde ulteriori punti extra. Questo per rafforzare il senso di responsabilità, piuttosto che una punizione vera e propria. Una volta esaurito il credito, l’interessato può guadagnare nuovi punti con una nuova attività collaborativa e cosi via.
Il progetto attualmente sta affrontando anche altre sfide sociali importanti, tutte caratterizzate dalla mancanza di impegno da parte del Comune di Bratislava (a prescindere dal colore politico al governo). Il movimento sta assumendo un’importanza anche a carattere nazionale. L’idea di fondo è sempre la stessa: mettere in contatto le comunità in modo inclusivo con cibo e bici. Non a caso i fondatori attribuiscono il successo di Bike Kitchen al fatto di essersi concentrati proprio sui valori che tengono insieme le comunità. Valori che uniscono e identificano chi li pratica e che allo stesso tempo tengono lontane le persone che a questi valori non sono interessate.