Utilizzare risorse improbabili, tipo le grandi onde dell’oceano, per farle diventare una grande opportunità economica a vantaggio di tutta la comunità locale è una buona idea. Può sembrare strano ma è ciò che hanno realizzato, su base volontaria, un gruppo di surfisti delle isole Hawaii davanti alla Banzai Pipeline Beach (la “spiaggia dei tubi”), così chiamata dall’effetto che crea ogni singola onda (come l’avvolgimento di un tubo, per l’appunto) quando la loro cresta raggiunge l’apice, mentre si frange su se stessa. A praticare il surf su quella spiaggia all’inizio erano stati esclusivamente gli sportivi locali, che si erano accordati per divertirsi insieme rispettando antiche regole non scritte. Ma poi, grazie alle sue caratteristiche uniche, il luogo era diventato una sorta di paradiso globale per tutti gli amanti di questo sport. Il sovraffollamento creava spesso situazioni di pericolosità dovuta proprio al non rispetto delle regole. Un documento del 2008, “The Pipeline: Deep Inside the World’s Most Respected Wave”, affermava che più di 30 persone erano morte lì da quando si è iniziato a fare surf nel 1961. E’ stato così che un gruppo di ragazzi locali, circa 12 anni fa, ha deciso di costituire un’associazione, la Wolfpak di Oahu, per gestire (letteralmente) l’accesso alle più grandi onde del mondo. All’inizio la cosa non è risultata gradita, anche perché talvolta i ragazzi ricorrevano all’uso delle maniere forti per imporre le loro regole antiche.
Alla fine però tutti hanno capito che la condivisione di un bene comune, che tra l’altro si può utilizzare solo per poco tempo ogni anno e talvolta per niente, era molto meglio del caos che si era venuto a creare a causa del fatto che ognuno faceva quello che gli pareva. Questo caso potremmo considerarlo come un esempio dell’assenza dello Stato.
Altra buona idea. Utilizzando lo stesso principio si stanno diffondendo in Spagna, soprattutto nella Comunità Valenciana della Catalogna, delle reti Internet libere, aperte e completamente neutrali; cioè che non sono gestite da grandi “corporations” delle comunicazioni. La più importante di queste reti si chiama Guifi.net (che è sostenuta da un’apposita Fondazione) è stata registrata come operatore presso la Commissione spagnola del mercato delle telecomunicazioni (CMT) nell’aprile 2009. La rete è nata inizialmente per collegare decine di fattorie e casali nella città di Gurb ed utilizza principalmente la tecnologia wireless: i nodi attivi sono ormai decine di migliaia, mentre la lunghezza dei collegamenti è ormai vicina ai 100mila chilometri. Queste reti utilizzano la fibra ottica per i collegamenti, è auto-organizzata in un modo molto originale, viene gestita dagli stessi utenti ed è facilmente comprensibile su come è strutturata. In pratica, i nodi sono forniti da individui, aziende e amministrazioni che si connettono liberamente a una rete attraverso una piccola antenna domestica collocata sui tetti delle loro abitazioni/uffici che poi funge anche come una sorta di ripetitore per altri residenti nelle vicinanze. Ognuno può creare nuove sezioni secondo le proprie necessità e in questo modo i vari nodi si uniscono così in un’unica rete che si espande sempre di più senza l’ausilio della costosissima tecnologia imposta dalle grande aziende del settore: in particolar modo i pali per le enormi antenne che deturpano il paesaggio e che determinano intensi campi elettro-magnetici nel loro intorno. Il progetto è iniziato nel 2004 proprio perché alcuni residenti della zona rurale di Gurb non erano in grado di ottenere l’accesso a Internet a banda larga a causa del fatto che gli operatori privati non avevano alcun interesse ad investirci sopra. Si sono così accorti che già esisteva la licenza Wireless Commons ed è questo il principio in base al quale il modello sta funzionando alla grande.
Non a caso i colossi spagnoli delle telecomunicazioni, che poi sono in buona parte gli stessi in Europa, stanno cercando di contrastare l’espansione di questo bene comune (non c’è da stupirsi), sia perché il costo di utilizzo è molto basso in base ad un meccanismo di compensazione e di condivisione tra gli utenti, sia perché fornisce anche servizi Internet che gli altri operatori non offrono, sia perché la connettività è molto migliore e abbondante. Quest’altro caso potremmo considerarlo come un esempio di assenza del Mercato.
I due casi su rappresentati quindi dimostrano come i beni comuni rappresentino un’alternativa reale ai vecchi concetti dello Stato e del Mercato, costituendone dei modelli di organizzazione sociale e produttiva completamente diversi rispetto al passato. In giro per il mondo tanti altri buoni affari con i beni comuni si stanno compiendo ormai in ogni settore: nelle battaglie per la sovranità alimentare locale, per la gestione amministrativa dei Comuni da parte di cittadini non iscritti ad alcun partito, con la creazione di valute alternative, con la realizzazione di software open-source, con il design open-source di produzioni locali, con la ricerca accademica e l’uso di risorse educative aperte e molto altro ancora.
Nella creazione di questi modelli è di fondamentale importanza la decisione delle comunità locali di impegnarsi realmente, non solo a parole, nella gestione della cosa pubblica e a beneficio di tutti. Soprattutto in riferimento al fatto che i beni comuni non riguardano solo le risorse condivise (anche occasionali, come le grandi onde delle Hawaii), ma interessano anche i valori, le modalità e le pratiche sociali che adottiamo per gestirle direttamente e/o da chi merita la nostra fiducia. Qualcosa su cui riflettere e pensarci bene su, ogni volta che andiamo e andremo a votare.