La crisi sanitaria del Covid 19 ha reso irreversibile la necessità di dare un reddito alle persone che perdono il lavoro e a coloro che non l’hanno mai avuto. C’è chi sostiene che si debba creare un sistema di reddito universale di base, sostenuto dalla fiscalità generale di ogni paese, per fornire ad ogni individuo un pagamento in contanti a intervalli regolari, incondizionato e sufficiente per soddisfare le esigenze di base. Cioè concesso senza nulla chiedere in cambio, né per svolgere una qualche forma di attività (magari di utilità sociale), né per qualificarsi professionalmente per lo stesso fine.
Ci sono indubbiamente dei vantaggi con questa impostazione perché, oltre a ridurre la povertà e aiutare, anche se indirettamente, il sostegno psicologico delle persone, così si eliminerebbe gran parte della burocrazia che di solito accompagna le politiche del welfare (pensioni, assistenza sanitaria, ammortizzatori sociali, servizi individuali alle persone, assegni familiari, ecc.) che da sola assorbe buona parte degli stanziamenti complessivi per il settore. In Europa in media si spende tra il 28 e il 29% del PIL per il sostegno sociale ed economico alle persone. Le differenze tra nazione e nazione però sono molto rilevanti.
Tra i paesi “ricchi” ad esempio, un conto è considerare che in Italia, dove la media in confronto al PIL è più alta rispetto agli altri paesi europei (circa il 30% del PIL conto la media europea del 28-29% – dati del 2019) si spendono circa 626 miliardi di euro l’anno; un altro conto è considerare la media del 29,1% della Germania, che in percentuale è più basso rispetto all’Italia, ma dove però il PIL è quasi doppio rispetto al paese mediterraneo e quindi la spesa media annuale supera la bella cifra di 1.172.000 euro.
A conti fatti quindi una buona fetta che oggi viene destinata alla parte “burocratica” del sistema potrebbe essere riallocata per fornire un reddito universale di base a tutti, anche a quelli che un lavoro ce l’hanno (fatte ovviamente le dovute decurtazioni/compensazioni dagli stipendi percepiti). Le emergenze del Covid 19 e dei cambiamenti climatici però hanno finalmente dimostrato a tutti, a cominciare dai nostri governanti, quanto sia inscindibile il legame tra sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale. L’una non può esistere a prescindere dall’altra e per realizzarle entrambe e contemporaneamente occorre tanto lavoro. Per questo motivo noi siamo tra coloro che sostengono necessaria, a cominciare da Papa Francesco, l’istituzione di una “retribuzione universale di base” e non di semplice e generico reddito ottenuto in cambio di nulla. Da un modello sostanzialmente passivo per la fiscalità generale, occorre invece pensare al un modello molto più attivo, con un progetto di più grande respiro.
La retribuzione universale di base infatti deve dare la possibilità di pagare quei lavori indispensabili per il nostro futuro comune. Possibilità che, alle condizioni attuali e per svariati motivi, ancora non esiste. Pensiamo ad esempio ai grandi piani di rimboschimento che bisogna attuare il prima possibile per contrastare l’emergenza climatica; oppure agli interventi di ri-naturazione dei fiumi e i corsi d’acqua, soprattutto nelle zone a rischio idrogeologico; per non parlare di tutti i lavori che dovrebbero essere realizzati per rendere le nostre città più belle e accoglienti. La retribuzione quindi andrebbe a pagare un lavoro e non solo un diritto di cittadinanza, dando una grande spinta, soprattutto psicologica e morale, proprio alle persone che si trovano nella situazione di indigenza. La somma ricevuta in cambio del proprio lavoro, in altre parole, favorirebbe il recupero dell’autodeterminazione, della dignità e della capacità di controllo della propria vita da parte di queste persone. Non c’è niente di più drammatico dal punto di vista esistenziale del senso di vergogna, dell’umiliazione e della paura di non essere capaci a fare nulla o, con una interpretazione inversa e molto diffusa, di essere incapace di fare qualcosa di utile per la società intera. E non si tratta, come si potrebbe pensare, che questa è una delle tante ipotesi per continuare a sfruttare i poveri per riparare i disastri combinati dai ricchi.
Nel Regno Unito è stato calcolato che su ogni 5 sterline di spesa pubblica per il welfare, una sterlina (quindi il 20%) viene spesa per affrontare le conseguenze della povertà. Nel solo settore dell’assistenza sanitaria, quasi 30 miliardi di sterline vengono spesi per trattare malattie e condizioni sanitarie precarie, sempre legate alla povertà: si tratta del 25% dell’intera spesa sanitaria nazionale. Vuol dire che solo per prestare le cure ad ogni indigente, che con il Covid 19 sono saliti a oltre 15 milioni, in questa nazione si spendono circa 2mila sterline l’anno. A questa cifra poi vanno aggiunti i costi per l’alloggio, l’assistenza socio-psicologica, la sicurezza e le carceri, ecc.
A conti fatti quindi, oltre a fornire un grande contributo per affrontare le emergenze planetarie, la retribuzione universale di base costituisce un vero e proprio affare per le casse pubbliche. Un affare che inoltre ne determinerebbe automaticamente uno ancora più grande. Cambiando completamente la qualità della vita dei poveri, dei disoccupati e dei sottopagati (o pagati in nero), la retribuzione permetterebbe loro di passare da una condizione disperazione e sofferenza ad una situazione di tranquillità economica. Vuol dire il recupero della propria dignità attraverso il proprio lavoro: un affare che non ha prezzo per nessuna persona al mondo.