Non è molto lontano il giorno in cui la plastica e gli scarti alimentari avariati entreranno a pieno titolo nella catena alimentare umana: non stiamo scherzando. Mancano meno di trenta anni al 2050, cioè a quando, secondo le ultime stime, gli abitanti del pianeta Terra saranno oltre nove miliardi. Per quella data molto probabilmente l’orientamento del consumo di prodotti alimentari sarà molto diverso da quello attuale, ma comunque è previsto che la domanda globale di carne e pesce salirà almeno del 70%. Difficilmente questo aumento potrà essere sostenuto da ulteriori disboscamenti delle foreste tropicali per ricavare terreni agricoli e dal ricorso alla soia e al mais (magari OGM) per produrre mangimi per gli animali da allevamento.
Una delle soluzioni possibili potrebbe essere la produzione su larga scala di insetti che sono molto ricchi di proteine, lipidi e grassi. Ma non per il consumo diretto degli stessi, come già avviene da sempre in molti paesi del Sud Est Asiatico e come è stato recentemente stabilito anche dall’Unione Europea. Parliamo di insetti che si nutrono di rifiuti inquinanti e dannosi, di plastica e di scarti organici in particolare, con i quali si riescono ad ottenere prodotti di alto valore da usare sia come mangimi per gli animali che come ingredienti dei prodotti alimentari che acquistiamo al supermercato. Si ottiene cosi un doppio vantaggio economico ed ecologico, che nel pieno rispetto dei criteri dell’economia circolare vera, non quella del greenwashing”, trasforma un problema (i rifiuti) in una risorsa (gli alimenti, ma anche prodotti farmaceutici, biocarburanti, lubrificanti e fertilizzanti). Il processo si chiama bio-conversione basata sugli insetti ed ha già guadagnato molto terreno nel campo della ricerca scientifica, mentre ora si appresta a diventare una ottima opportunità di business. Ecco un paio di esempi.
Le mosche in generale sono considerate degli insetti molto fastidiosi, soprattutto d’estate, ma non sono tutte uguali: in natura ne esistono circa 125mila specie. Sono tutte comunque un ottimo cibo, sia allo stato larvale che adulto, di molti tipi di animali tra cui gli uccelli, i pesci e vari mammiferi. Tra le specie vi è anche la mosca soldato, originaria delle Americhe e poi diffusasi in tutto il mondo, che da oltre un secolo è stata studiata per il suo uso nella lotta biologica alla mosca domestica. Le larve della mosca soldato (che è completamente innocua per gli esseri umani e per gli animali) hanno una caratteristica molto particolare: sono molto voraci. Malgrado il fatto che allo stato adulto si trasformino in insetti “pacifici”, quando si trovano ancora allo stato larvale mangiano in continuazione tutto ciò che gli capita a tiro, incluse le larve di altre mosce e di altri insetti. Il loro cibo preferito però resta la sostanza organica in decomposizione che viene letteralmente divorata e digerita in poche ore. Recentemente è stato messo a punto un metodo per utilizzare la voracità delle larve di mosca soldato al fine di “smaltire” i rifiuti organici prodotti dalle aziende agricole, ma anche dall’agro-industria e (soprattutto) dalla raccolta differenziata domiciliare dei rifiuti urbani. A quel punto ci si è accorti che nelle larve erano contenute una notevole quantità di proteine e di lipidi, utilizzabili quindi come mangime per gli animali, mentre allo stato di pupa le stesse mosche sono costituite per lo più da un grasso che poteva essere trasformato in bio-carburante. Sono nate cosi le prime fabbriche di insetti allevati appositamente per tali scopi, prima negli USA (nel 2014 con la società Agriprotein), poi in Sud Africa e recentemente anche nel Regno Unito: fabbriche che ormai sono diventate una realtà industriale consolidata.
Le plastiche le usiamo tutti i giorni e spesso non ci rendiamo conto di quanto siano utili e necessarie alla nostra vita quotidiana. In casa, come nei luoghi di lavoro, sia per gli acquisti che per usi personali, non potremmo fare a meno di queste materie. Sono però prodotti anche molto pericolosi per la salute umana e animale quando entrano nella fase post – consumo e non vengono riciclati, ma invece vengono bruciati, smaltiti male o dispersi indiscriminatamente nell’ambiente. Il dato più preoccupante però è un altro: l’uso esagerato nel confezionamento dei prodotti alimentari. Ogni cento chilogrammi di plastica prodotti nel mondo, quaranta vengono utilizzati per gli imballaggi, il trasporto e il confezionamento del cibo che acquistiamo regolarmente al supermercato. Buona parte sono costituiti dalle classiche buste o sacchetti della spesa (ogni anno a livello globale se ne producono circa mille miliardi di unità) che sempre più spesso finiscono in mare, costituendo delle vere e proprie isole galleggianti. I biologi hanno da tempo dimostrato che la loro ingestione è la principale causa della morte di tantissimi animali marini che le scambiano per alimenti.
La produzione delle bio-plastiche è una soluzione, ma i tempi di sostituzione rispetto a quelli di origine chimica sembrano incompatibili con il quadro drammatico che si sta delineando. Siamo di fronte ad un problema gigantesco che interessa il mondo intero: un problema per il quale, ancora una volta, è la Natura a prospettarci una soluzione alternativa e innovativa, anche se non risolutiva.
La chiave di svolta che potrebbe prospettare una soluzione al problema è stata individuata da una ricercatrice italiana, Federica Bertocchini, che lavora per l’Istituto di Biomedicina e Biotecnologia della Cantabria, in Spagna. Si tratta dell’apparato intestinale di un insetto comunemente conosciuto come bruco, baco o falena della cera (Galleria mellonella), il quale risulterebbe in grado di biodegradare anche le plastiche più resistenti e più comunemente in uso (tipo gli shoppers, per l’appunto). La scoperta è avvenuta quasi per caso: la Bertocchini e i suoi colleghi hanno notato che nei sacchetti di plastica che contenevano questo tipo di bruchi, con i quali stavano effettuando delle ricerche, erano comparsi dei fori. I bruchi in sostanza erano letteralmente scappati e c’è voluto poco per capire che gli stessi erano in grado di danneggiare il sacchetto di plastica in meno di un’ora. Questa però poteva sembrare solo una capacità di rodere il materiale, senza digerirlo. Invece i ricercatori hanno dimostrato che le larve di questi insetti sono in grado di trasformare chimicamente il materiale ingerito attraverso il loro apparato intestinale. Il polietilene è stato trasformato in glicol etilenico: un prodotto facilmente biodegradabile. Anche questi bruchi quindi potrebbero essere utilizzati come le mosche soldato per smaltire rifiuti e ricavarne proteine, lipidi e grassi. C’è anche la possibilità di ottenerne dei fertilizzanti che potrebbero essere utilizzati persino in agricoltura biologica. Qualcosa di impensabile fino a pochi anni fa.
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