Sappiamo che piantare alberi è l’unica soluzione immediata e attuabile che abbiamo a disposizione per contrastare e mitigare i cambiamenti climatici. Da quanto questo tema è stato portato con forza nell’agenda politica globale da Greta Thunberg e dai ragazzi dei movimenti Friday For Future, i leader politici di tutto il mondo, tranne ovviamente gli immancabili e inutili negazionisti, hanno promesso che realizzeranno e finanzieranno importanti interventi di riforestazione nel proprio territorio per dare una risposta immediata al problema. Ad oggi però quelle promesse sono rimaste tali e avanti di questo passo lo resteranno per sempre. Vediamo prima di capire il perché e poi di individuare la soluzione.
Prendiamo ad esempio il caso del Lazio, la regione dove noi viviamo. Lo scorso anno il Presidente Nicola Zingaretti ha assunto un preciso impegno politico, lanciando il progetto “Ossigeno”, che consiste nel piantare 6 milioni di nuovi alberi, uno per ogni abitante della regione, prevedendo un investimento di 12 milioni di euro in 3 anni: soldi pubblici e da spendere subito, quindi. La piantumazione dovrebbe avvenire su tutto il territorio regionale con alberi e arbusti autoctoni certificati e prodotti dai vivai regionali. Qui è nato il primo problema (facilmente immaginabile da chi è del mestiere). Al momento dell’annuncio i vivai interessati dal progetto di piante in produzione ne avevano appena qualche migliaio e con le potenzialità lavorative e logistiche attuali ci vogliono almeno 40 anni per soddisfare la richiesta di 6 milioni di esemplari. Dopodiché bisogna aspettare che crescano per avere il risultato atteso e il fatto che si arrivi troppo tardi è già oggi quasi una certezza più che un rischio. Cosi si è pensato di acquistarli dai vivai privati, ma per far questo una pubblica amministrazione deve sempre ricorrere alla burocrazia: ratifica dell’impegno economico di spesa nel bilancio dell’Ente, avviso pubblico per le manifestazioni di interesse, esame delle offerte pervenute, ecc. Quasi sicuramente i 3 anni annunciati per la realizzazione del progetto passeranno solo per svolgere tutte queste procedure, ma poi comunque nascerà un altro problema. Per acquistare da un produttore privato una pianta che abbia una buona possibilità di attecchimento (altrimenti sono soldi buttati) ci vogliono almeno 10 -15 euro ad esemplare. A questi costi vanno poi aggiunti quelli per il trapianto, l’innaffiamento periodico e le manutenzioni per l’attecchimento e l’accrescimento degli alberi. La cifra da stanziare, in sostanza, dovrà essere almeno 50 volte più grande di quella già effettuata. Ma anche se così fosse ci sarà da superare un ulteriore problema, il più grande: trovare i terreni dove trapiantare gli alberi per mettere a dimora quei 6 milioni di piante annunciate.
Ad occhio e croce occorreranno circa 30mila ettari (300 milioni di metri quadrati) di suolo pubblico/privato libero che attualmente, da un lato nessuno sa come reperire, mentre dall’altro comunque bisogna pensare a come gestirlo quando il progetto verrà realizzato (se sarà realizzato …). Ecco perché la promessa politica di avere un albero per ogni residente nella regione, rischia di restare tale.
Qui però finiscono le analisi di un problema che prevede un obiettivo politico di fatto inapplicabile. Vediamo invece cosa si può fare in tempi brevi ad un costo di gran lunga inferiore e con la soddisfazione di tutti.
In Italia, cosi come in tutti i paesi del mondo dove un tempo la maggior parte della popolazione viveva di agricoltura e pastorizia, oggi ci sono tantissimi terreni agricoli marginali, poco coltivati e in via di abbandono. Buona parte di questi terreni un tempo erano boscati e non è molto complicato riportarli a questa destinazione d’uso. Ci sono poi altri terreni degradati da impianti industriali dismessi e/o compromessi da vari tipi d’inquinamento, ma in quest’ultimo caso il problema è già risolto a monte in base al principio comunitario di “chi inquina paga”. Tutte queste aree abbandonate a se stesse costano un sacco di soldi alle comunità, ogni anno, in termini di dissesto idrogeologico, di ricostruzione delle infrastrutture danneggiate e di bonifiche ambientali.
Un modo intelligente per poterle riutilizzare, con una spesa molto inferiore a quella che viene destinata a valle degli effetti del degrado e dell’abbandono, ci viene fornito dalle Associazioni Fondiarie, che sono delle organizzazioni volontarie tra proprietari pubblici e privati che mettono in comune i terreni di loro proprietà per affidarli in gestione a chi si offre di coltivarli, mantenerli in sicurezza idrogeologica, garantire un minimo di prevenzione degli incendi e, magari, renderli anche produttivi. Queste associazioni sono nate in Francia agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, dopo una legge che è stata approvata nel 1972 e sono state promosse recentemente anche nelle regioni alpine italiane, soprattutto in Piemonte, con interessanti esperienze anche in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia. La cosa importante, sotto il profilo politico, è che queste associazioni possono essere patrocinate, come una sorta di motorino di avviamento di una macchina, dai rispettivi Comuni. Per costituirle quindi c’è solo bisogno di una precisa e ben determinata volontà delle rispettive comunità locali.
Realizzata questa volontà poi, quello di recuperare la disponibilità di 30mila ettari (restando nell’esempio del Lazio) non costituirebbe più un problema, ma lo resterebbe la loro gestione. E’ necessario quindi reperire le risorse economiche per realizzare una riforestazione di larga scala senza pesare sui magri bilanci degli Enti pubblici e di conseguenza sulle tasche dei cittadini. Anche questo è un problema sostanzialmente già risolto perché, sempre in base al principio di “chi inquina paga”, nella legislazione dell’Unione Europea è stato introdotta la compensazione dei crediti di carbonio (molto criticata da più parti, ma a nostro avviso è un passo avanti). Questo meccanismo finanziario prevede che le aziende, grandi o piccole che siano (incluse le recalcitranti multinazionali in affannosa ricerca di “green washing” o ecologia di facciata), con apposite detrazioni fiscali, hanno la possibilità di finanziare le riforestazioni, persino e a maggior ragione in ambito urbano.
Resta a questo punto da risolvere l’ultimo problema: quello di riuscire a produrre in pochissimo tempo e con una spesa pro-capite molto contenuta, quasi insignificante e comunque fiscalmente deducibile, la produzione su larga scala di 6 milioni di alberi da trapiantare, sempre per restare nell’esempio della regione dove viviamo. Cosa bisogna fare? Siamo in autunno (nell’emisfero Nord del pianeta, s’intende) ed è il momento giusto per agire. Intanto per fare delle belle passeggiate in bona compagnia nei parchi urbani e nei boschi che sono vicini alla nostra zona di residenza, ovviamente rispettando tutte le regole per prevenire la diffusione della pandemia da Covid 19 ed attrezzati di mascherine, indumenti e calzature adatte. Le passeggiate non saranno solo per utili per passare piacevolmente del tempo libero, cosa già di per sé molto opportuna, ma avranno lo scopo di raccogliere i frutti e i semi che le piante producono incessantemente, esattamente come fanno gli esseri umani, per mantenere la vita su questo pianeta vivo. I frutti ed i semi ci serviranno proprio per riprodurre, in un modo semplice e naturale, non solo la vita, ma anche lavoro e reddito.
Ne riparliamo in un prossimo articolo che pubblicheremo a breve su questo sito.
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