(con la collaborazione di Roberto Lessio)
Secondo la Banca Mondiale entro il 2025 sul nostro pianeta si produrranno 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti all’anno. Oltre all’incremento dell’inquinamento ambientale, è sicuro che ci sarà anche un aumento delle crisi per la salute pubblica, con o senza Covid 19, perché l’idea dell’economia circolare fa ancora molta fatica ad entrare nella testa della gente e nelle decisioni politiche. E’ necessario per questo obbligare e incentivare i produttori a progettare e realizzare i loro prodotti in modo completamente diverso dall’attuale, esattamente come fanno da sempre gli ecosistemi naturali con la trasformazione in nutrienti di tutto ciò è che arrivato a fine vita. In sostanza i rifiuti devono essere riconcepiti come una risorsa economica che non ci obblighi più ad ulteriori prelievi di materie prime dalla natura e dal suolo (molte delle quali sono ormai in via di esaurimento) e che allo stesso tempo ci liberi anche dal costo aggiuntivo per il loro smaltimento. Per questo è nata a livello internazionale una alleanza di città, la “Zero Waste International Alliance” (conosciuta come Rifiuti Zero), con lo scopo di sviluppare strategie condivise che portino avanti queste idee. In alcune città queste strategie si sono rivelate molto efficaci quando sono riuscite a far passare nei comportamenti dei cittadini proprio il concetto di ecosistema, ottenendo a monte un’ottima prevenzione nella produzione di rifiuti.
Queste strategie sono state poi completate con una raccolta differenziata ben organizzata a valle, che così ha potuto gestire una quantità di rifiuti nettamente inferiore. Fondamentale in tal senso è stato il sostegno pubblico dato a queste strategie. Questo ha portato in primo luogo ad una drastica riduzione dei rifiuti alimentari e la contestuale promozione del compostaggio comunitario (i rifiuti organici rappresentano il 30-40% di tutti i rifiuti domestici). Allo stesso tempo sono stati anche promossi i “movimenti di riparazione” degli oggetti rotti e delle apparecchiature fuori uso, insieme ad altre soluzioni di prevenzione. In tanti casi le soluzioni, che hanno portato alla creazione di nuovi posti di lavoro, sono state molto originali rispetto ai tradizionali metodi di raccolta. Ne illustriamo intanto uno dei più curiosi e significativi.
Proprio i rifiuti organici non sono solo causa di significative perdite economiche, ma hanno anche un impatto dannoso sia sull’ambiente (gas serra, inquinamento dell’acqua, ecc.) che per la salute. Lo spreco di cibo avviene in ogni fase di produzione: nei campi, nelle industrie di lavorazione, nella commercializzazione, nelle mense, nei ristoranti e nelle nostre case. Malgrado la normativa diventi sempre più stringente, una quantità significativa di rifiuti alimentari finisce ancora nelle discariche, producendo grandi quantità di metano. Questo è un gas molto più potente della CO2 nel contribuire al riscaldamento globale del pianeta. Dall’altra parte, la restituzione della sostanza organica ai terreni agricoli permetterebbe di limitare la perdita della fertilità e biodiversità dei suoli. E’ stato così che per abbinare in una unica soluzione questi due problemi, alcuni ragazzi americani, attivisti nelle questioni ambientali e stanchi del modo in cui si faceva la raccolta dei rifiuti nella loro città, nel 2012 hanno fondato l’organizzazione Compost Pedallers, con sede a Austin, nel Texas, mettendo in piedi un metodo di raccolta domiciliare basato su una flotta di biciclette speciali da carico (vedi foto qui di fianco). I fondatori sono quelli che si vedono nell’immagine iniziale.
Con queste “cargo bike” gli addetti hanno iniziato a raccogliere i rifiuti organici dalle case e dalle aziende della città per portarli presso le fattorie urbane e agli orti comunitari locali dove vengono compostati. Questo approccio integrato non solo riduce i rifiuti alimentari e crea compost per l’agricoltura urbana, ma rafforza anche i sistemi alimentari locali e favorisce la connessione sociale a livello di quartiere. La flotta di cargo bike del gruppo è stata equipaggiata con tre bidoni da 32 galloni (circa 120 litri). Ogni bicicletta può trasportare 500-800 libbre di rifiuti alimentari, circa 227 – 363 kg). Con un programma incentivante chiamato “The Loop”, i cittadini ottengono anche dei punti, una sorta di buoni acquisto, che possono essere spesi in negozi locali per acquistare prodotti di stagione, bevande e persino lezioni di yoga. Il costo del servizio per i cittadini è stato da subito inferiore al costo della raccolta classica con i automezzi meccanici a motore.
Nell’arco dell’attività di sette anni i ragazzi dell’organizzazione hanno raccolto circa 545 tonnellate di rifiuti organici che sono stati poi trasformati in 136 tonnellate di compost, facendo risparmiare 30mila dollari alle aziende agricole. Pedalando i ragazzi hanno “bruciato” circa sei milioni e mezzo di calorie risparmiando così sia combustibili fossili che emissioni di gas serra. All’attività giudicata inizialmente un po’ folle dei Compost Pedallers, dall’inizio del 2019 è subentrata quella della società municipalizzata Austin Resource Recovery che ora fornisce il servizio a tutte le case della città texana: tutti i cittadini dallo scorso anno possono riutilizzare così il compost prodotto con i loro rifiuti riciclati. Hanno così vinto i ragazzi che avevano deciso di fornire un servizio umile, ma necessario per far capire a tutti come funzionano gli ecosistemi naturali e come potrebbero funzionare, se lo volessero, anche le comunità umane.
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